Dopo 37 anni la conferma: il giudice Caccia fu ucciso dalla 'ndrangheta

Società | 10 giugno 2020
Condividi su WhatsApp Twitter

«L'omicidio di Bruno Caccia è qualificabile come delitto di criminalità organizzata": lo afferma definitivamente la Cassazione nelle motivazioni della condanna all’ergastolo per Rocco Schirripa che, insieme a Domenico Belfiore e altre persone non identificate, organizzò l'agguato mortale al Procuratore capo di Torino ucciso la sera del 26 giugno 1983 sotto la sua abitazione.

 Il delitto è stato a lungo un 'cold casè e la riapertura delle indagini si deve alla perseveranza dei familiari di Caccia. Il magistrato fu sorpreso dai killer che gli spararono da una Fiat 128 mentre portava a spasso il cane in Via Sommacampagna, nel capoluogo piemontese, uno di loro scese dall’auto ed esplose i colpi per finirlo. «La matrice del delitto - affermano gli 'ermellinì nella sentenza 17647 condividendo il verdetto della Corte di Assise di Appello di Milano del 2019 - è da collegare alla stretta vicinanza di Belfiore», uomo della mafia catanese, e Schirripa, affiliato alla 'ndrangheta, «come attestato dalle conversazioni captate». Erano 'comparì: Belfiore e la moglie avevano tenuto a battesimo la figlia di Schirripa. Ad avviso della Cassazione, tra i moventi dell’omicidio di Caccia - ucciso a 65 anni - c'è «l'azione di antagonismo giudiziario» che il procuratore capo di Torino, 37 anni fa, stava conducendo «verso l’espansione calabrese illecita nell’area piemontese e torinese», anche nei casinò. Comunque, ritengono gli 'ermellinì che «per la partecipazione a un delitto non serve, in contesti siffatti, un movente personale, specie se si considera che la vicinanza tra Schirripa e Belfiore era un elemento inconfutabile». Belfiore è stato condannato al carcere a vita nel 1992, definitivamente, dopo un precedente annullamento da parte della Cassazione.

 Lungo e complesso il cammino investigativo per l'accertamento delle responsabilità, con la partecipazione dei servizi segreti e di infiltrati nelle carceri. Nella requisitoria all’udienza svoltasi lo scorso febbraio, il Procuratore della Cassazione Alfredo Viola aveva detto che "Caccia è stato un servitore dello Stato con una condotta fuori dall’ordinario non per i passi fatti in avanti ma per i passi indietro fatti da altri, e con le parole di Giovanni Falcone ricordo che 'si muore perchè spesso si è privi delle necessarie alleanzè». Caccia, aveva sottolineato il Pg Viola, "è la prima vittima di mafia al nord» e le misure di protezione disposte per tutelarlo «purtroppo si sono rivelate non stringenti». Piena luce sul delitto deve ancora essere fatta, e si è arrivati all’individuazione di Schirripa - in cella dal 2015 - tramite intercettazioni raccolte da un trojan nel maxiprocesso 'Minotaurò, contro i clan calabresi. A causa delle indagini lacunose condotte dalla Dda di Milano, il fascicolo sul caso Caccia venne avocato dalla procura generale del capoluogo lombardo. «Questa inchiesta sulla morte di un magistrato è l’unico caso nel quale l’attività processuale si è rifiutata di sentire i colleghi di Caccia e i suoi familiari», aveva rilevato a febbraio l’avvocato Fabio Repaci che rappresenta i congiunti del magistrato ucciso.



Ultimi articoli

« Articoli precedenti