Donna oggetto, soggetto e anche assassina all'ombra dell'Etna
Eterna dicotomia del concusso universo femminile. Donna angelicata, alma mater, sottomessa depositaria dei sacri valori della famiglia, “marcusianamente” reificata, al contempo docile macchina di sesso, merce da godere al comando dispotico del “macho”; all’opposto demonio, lupa e tigre reale verghiana, Carmen di Mérimée e Bizet, Salomè assassina, femme fatal, spietata vampira (celebrata dal cinema, fin dall’epoca del muto, nelle inquietanti incarnazioni della “vamp” Theda Bara e Pina Menichelli, “prototipo della lussuriosa femmina dannunziana), che dopo aver donato un’ora di delirio sessuale fa strame dell’uomo e l’accompagna con ghigno satanico alla perdizione. Così, scissa schizofrenicamente in due piani, appare la donna portata in scena da Serena Mazzone al “Teatro Coppola-Teatro dei cittadini” di Catania”, che coraggiosamente offre simbolicamente agli spettatori il suo corpo nudo alla fine dello stringente, martoriante, a tratti ironicamente drammatico e straniante monologo “Pornodramma-Eutanasia di un amore”, avvalorandone la contraddittoria valenza di oggetto (come “altro da sé”) e soggetto (come “appartenenza al sé”), per chiudere nelle vesti di virago celebrando (come in un rito pagano e dionisiaco) la morte per piacere della carne, inflitta come atto di estrema liberazione alla vittima della sua stessa ossessione sessuale.
Capovolgendo il protagonismo maschile del celeberrimo romanzo di Lev Tolstoj “Sonata a Kreutzer” (1889, a cui la Mazzone si è ispirata, estremizzando ed attualizzando la scabrosità tematica) – in cui il celebre scrittore russo immaginò l’omonima sonata per pianoforte e violino di Beethoven complice d’un adulterio (forse mai avvenuto) ma conclusosi con un uxoricidio – Serena Mazzone assume la femmina di “Pornodramma-Eutanasia di un amore”, macchina instancabile di orgasmi compulsivi, frenetici e mai paghi, ad interprete principale d’uno psicodramma erotico, mantenendo il mistero del tradimento (fisico o solo mentale?) e perfino dell’omicidio del marito (è davvero un “omicida sessuale”?), chiusura “obbligata” d’un rapporto logorato nel deperimento mortifero della carne. L’ossessivo ripetersi di spogliarelli indossando sbrilluccicanti abiti osé e scarpe dai tacchi altissimi non basta a liberare la donna da una sua perduta ricerca di purezza, inutilmente inseguita camuffando involuzioni mentali verso un’infanzia popolata da incontaminati modelli favolistici (in cui l’attrice-autrice trasporta la sua inappagata protagonista), ormai solo sbiaditi fantasmi d’un’inarrivabile esistenza. Collaborazione alla drammaturgia Alessandro Garzella;messa in scena Alessandro Garzella e Serena Mazzone; musiche Guido Iandelli; promosso da “Animali Celesti/teatro d’arte civile”.
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