Don Luigi Ciotti, in principio era la strada
Cultura | 17 settembre 2015
Punti di riferimento: «Il Vangelo e la Costituzione della Repubblica italiana. Tutta la mia vita è stata spesa per saldare il cielo con la terra, la salvezza celeste con la dignità e la libertà dell' uomo su questa terra». Don Ciotti e la politica italiana: «È stata degradata dal leaderismo, dall' illusione che una persona sola possa toglierci le castagne dal fuoco». Don Ciotti e l' importanza della strada: «La strada arriva sempre prima delle teorie. La strada e il Vangelo sono indissolubili, un' unica realtà.La strada pone, in fondo, sempre la stessa domanda: cosa posso fare affinché tutte le persone siano accolte, abbiano una casa, un lavoro, una dignità, siano chiamate per nome, non siano un numero, un rifiuto dimenticato, una merce?».Se c' è un limite in questo libro-intervista con don Luigi Ciotti, scritto da Nello Scavo e Daniele Zappalà, risiede nel titolo: Non tacerò. Con Francesco, contro l' economia di rapina e la mafia 2.0 (Piemme, pp. 165, € 17). Non è un libro che parla solo di battaglia per la legalità, anche se alla fine si arriva sempre lì. È un libro che attraverso domande e risposte, in uno schema semplice, racconta la storia di un uomo. Un bambino emigrato con i genitori da Pieve di Cadore a Torino, all' inizio degli Anni 50: «Papà faceva il muratore, contribuì alla costruzione del Politecnico. Soldi per affittare una casa non ne avevamo, e allora, per un certo periodo, grazie alla disponibilità dell' impresa costruttrice, abitammo in una baracca del cantiere. Sembrerà strano, ma di quella baracca conservo bei ricordi. Mamma faceva di tutto per renderla dignitosa, pulita, ospitale: una casa. E gli operai del cantiere, che certo non se la passavano meglio di noi, si adoperarono per farci sentire accolti».A scuola andò peggio. Il piccolo Luigi, col grembiule senza il fiocco, subiva sguardi di diffidenza e pregiudizi, sperimentava l' emarginazione. A 17 anni, iscritto a un corso di radiotecnica, si fermava a parlare con i poveri e i senzatetto lungo la strada. Ecco da cosa bisogna partire per arrivare al primo sportello per tossicodipendenti aperto in Italia nel 1973: a Torino, in via Verdi. Si chiamava Molo 53. Ed era un approdo: «Un rifugio per chi si sentiva escluso».Così, accanto all' impegno per affermare che la tossicodipendenza era un problema sociale, c' era già la consapevolezza, maturata sempre sulla strada, che dietro al mercato della droghe proliferassero le mafie. E quindi: «Accoglienza, progetti educativi e lotta al narcotraffico».Quello che forse stiamo incominciando a capire adesso, era già chiaro allora. «Già alla fine degli Anni 70 le mafie erano presenti al Nord. Era evidente per chi non aveva voglia di voltarsi dall' altra parte». Il Gruppo Abele. La nascita di Libera. La giornata in memoria delle vittime delle mafie. L' impegno costante, le critiche ricevute a ogni silenzio rotto. È un racconto anche amaro: «Le stragi di mafia hanno inciso le nostre coscienze meno di quanto si potesse sperare, mi spiace dirlo. Siamo un Paese con tante risorse e capacità, ma che tende a dimenticare in fretta o a trasformare la memoria in pura retorica». L' incontro con papa Francesco è l' esatto opposto: «Un uomo di straordinaria cultura e intelligenza, ma anche una persona umile, immediata, affabile. Un Papa che accorcia le distanze e sovverte i protocolli».C' è una domanda sempre sottesa, ed è forse la più importante. Come è cambiata la strada, nel corso degli anni? «Quando ho iniziato il mio percorso di sacerdozio, la strada era segnata soprattutto dall' emarginazione, dalla fatica esistenziale, dalla malattia e dalle dipendenze, mentre oggi ci sono interi pezzi di società che non dispongono dei mezzi materiali per vivere dignitosamente». La strada non è mai stata così affollata. Parla di questo, don Ciotti. Parla di oggi. Dei profughi in fuga dalla guerra, già vittime di altre mafie. Parla dei migranti sfruttati. Dei nuovi poveri. Dei padri separati. Dei licenziati. Degli sfrattati. Chissà se c' è ancora, da qualche parte in Italia, un ragazzo prete con questa domanda nella bocca: «Ciao, hai bisogno di qualcosa?». (La Stampa)
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