L’Italia è uno dei paesi europei che ha più difficoltà a uscire della crisi. Lo dicono i dati sul Pil e sulla disoccupazione. Ma mentre al Nord si intravede la ripresa, il Sud perde ancora terreno. La nuova decontribuzione e gli incentivi utilizzati prevalentemente dalle aziende meridionali.
L’andamento della disoccupazione
Nel periodo della crisi la disoccupazione italiana è cresciuta, passando dal 6,9 per cento del secondo trimestre del 2008 al 13 per cento dell’ultimo trimestre del 2014. Anche l’occupazione ha registrato dinamiche negative, mostrando un lieve miglioramento solamente nell’ultimo trimestre del 2014.
Come si evince dalla tabella 1, altri paesi europei hanno saputo affrontare
la crisi meglio di noi.
La Germania durante la fase economica negativa che ha
colpito l’Eurozona ha addirittura incrementato gli occupati mentre la Spagna ha
ceduto molto durante la recessione ma è stata capace di recuperare in quattro
trimestri di Pil positivo 434mila occupati. La Francia non sembra recuperare
granché, ma ha perso relativamente poco nel periodo considerato.
È possibile
che la prolungata e profonda recessione che ha colpito l’Italia dal 2008 in poi
abbia prodotto danni persistenti al sistema economico e che quindi il tasso di
disoccupazione si possa comportare in modo asimmetrico durante il ciclo
economico, ossia che aumenti più velocemente in recessione di quanto non
diminuisca durante la fase di recupero (cosiddetta isteresi).
Nella tabella 2
sono riportati i risultati di stime non lineari nella elasticità
dell’occupazione al Pil, distinguendo la reattività del fenomeno rispetto a fasi
recessive o espansive.
I risultati ci sembrano interessanti e sconcertanti
allo stesso tempo. La patologia italiana si vede benissimo:è l’unico caso in cui
la reattività dell’occupazione al Pil e più elevata (1,1) – e di molto – nelle
fasi recessive rispetto a quelle espansive (0,3): come dire che siamo bravi a
distruggere, e lo facciamo in fretta, ma non siamo altrettanto capaci di
costruire. Tutti i numeri tornano con il comune sentire: la Germania in
recessione protegge e poi riparte, la Spagna distrugge, ma ha la capacità di
ripartire e costruire.
Nord e Sud su strade diverse
Nella letteratura economica sono state identificate numerose cause che
possono spiegare l’isteresi: per esempio, la perdita di competenze del capitale
umano in seguito a periodi di lunga inattività, l’erosione della capacità
produttiva in seguito al rallentamento dell’attività economica e la poca
flessibilità del mercato del lavoro.
Per quest’ultima sono da considerare
almeno due aspetti. Il primo riguarda gli istituti contrattuali agibili, che
potrebbero offrire eccessi di protezione a una delle parti – non necessariamente
i lavoratori perché, per esempio, un sistema senza tutele per loro non
accrescerebbe certamente l’offerta di lavoro; oppure potrebbero essere mal
congegnati, creando segmentazioni e discriminazioni nel mercato (che non
aiutano, nel medio termine, l’incontro tra domanda e offerta).
Il secondo
aspetto riguarda il mismatch delle competenze e dei mercati spaziali: qui
vogliamo fare riferimento all’eccessiva eterogeneità territoriale che
caratterizza il nostro paese. Dal 2010 il Sud ha preso una strada opposta a
quella del Centro-Nord: nel biennio 2010-2011 il Pil delle regioni
centro-settentrionali è cresciuto dell’1,6 per cento medio annuo, quello del
Meridione si è ridotto dello 0,4 per cento.
Dalla metà del 2012, questo
andamento si è riflesso sull’occupazione, com’è evidente dalla figura 1. Il
fenomeno, però, è nuovo: non si tratta della perdurante difficoltà di ridurre i
divari territoriali tra Nord e Sud (la questione meridionale tradizionale), ma
di di percorsi semplicemente opposti, con crescita da una parte e regressione
dall’altra.
Vale giusto la pena di ricordare che il tasso di disoccupazione
del Sud è ormai stabilmente sopra il 21 per cento; la disoccupazione di lunga
durata al Centro-Nord è passata dal 46,6 per cento del 2011 al 55,8 per cento
del 2014, mentre nello stesso periodo al Sud è passata dal 57 al 66,4 per
cento.
Effetti del Jobs act
Ecco il paziente “Italia” su cui devono operare il Jobs act e la totale
decontribuzione triennale per i nuovi assunti: questi provvedimenti introducono
elementi di vantaggio in entrata e la maggiore flessibilità in uscita consentirà
agli imprenditori di assumere con più serenità (non tanto nel
licenziare).
Ciò potrebbe consententire un’accelerazione dell’occupazione nel
biennio 2015-2016, ma certamente, a parità di altre condizioni, la segmentazione
territoriale del mercato peserà negativamente sulle possibilità di recupero
della disoccupazione complessiva, misurata sulla media del paese. Tanto più che
la nuova decontribuzione, assorbendo precedenti incentivi all’occupazione
prevalentemente utilizzati al Sud, potrebbe risultare relativamente meno
efficace proprio nelle aree più depresse e nelle quali gli effetti di isteresi –
il ciclo che deteriora la struttura – sono più evidenti, come visto a proposito
del tasso di disoccupazione di lunga durata.
Quindi, se al Jobs act non verranno affiancate politiche strutturali, per esempio sui centri per l’impiego, finalizzate alla rimozione delle tante criticità che affliggono l’economia del Mezzogiorno, i vantaggi in termini occupazionali della riforma potrebbero essere inferiori alle attese.(Info.lavoce)