Dipendenti pubblici in Sicilia: pochi e anziani
E' stato pubblicato uno studio della Banca d'Italia sulle differenze territoriali nella composizione e selezione del pubblico impiego in Italia ( Licia Rizzica su “Questioni di Economia e Finanza, numero 658, 17 dicembre 2021) che offre riflessioni utilissime proprio nel momento in cui emerge con tutta evidenza che uno dei fattori decisivi- se non il più importante – per la effettiva ed efficace attuazione del PNRR sarà la presenza di risorse umane adeguate nelle pubbliche amministrazioni statali, regionali, locali. Esaminando, in una prospettiva comparata, dimensione e composizione degli oltre 3,3 milioni di pubblici impiegati si conferma che nelle regioni meridionali permane un ritardo nella qualità dell'offerta dei servizi pubblici che viene influenzato anche dalla presenza nelle amministrazioni meridionali di lavoratrici e lavoratori più anziani e mediamente meno istruiti che in altre aree del paese. Sembra inoltre, afferma l'autrice, “che le amministrazioni meridionali abbiano privilegiato profili meno qualificati quando hanno avuto la possibilità di assumere nuovo personale.”
Vediamo innanzitutto quanto pesa il settore pubblico sul complesso dell'occupazione dipendente. Nelle regioni meridionali la percentuali dei pubblici dipendenti sul totale degli occupati è più alta che nel resto del paese. In particolare, rispetto ad un media nazionale del 14%, in Calabria e Sicilia la P.A. dà lavoro al 20% degli occupati mentre in Veneto e Lombardia solamente al 10%. Diversa è invece la situazione se si considera il numero dei dipendenti pubblici in rapporto alla popolazione residente: in questo caso la Sicilia si colloca al livello dell'Emilia Romagna, della Toscana e delle Marche. Un'altra importante istituzione di ricerca, l'Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica di Milano, lavorando su dati 2016 aveva collocato la nostra isola immediatamente a ridosso delle altre regioni a statuto speciale per quanto riguarda il numero di dipendenti per 100 abitanti (vedi tabella), a dimostrazione del ruolo assunto dalla specialità regionale; ruolo del resto evidenziato anche dalla Rizzica.
Il dato di novità proposto da Bankitalia è relativo alla diminuzione dell'incidenza del lavoro pubblico in rapporto alla popolazione del Mezzogiorno, sceso nell'ultimo decennio da 6 a 5,3 dipendenti per 100 abitanti (dati 2018).
Certo è che la Sicilia risulta aver subito nel periodo indicato un decremento di 6000 occupati per effetto delle uscite incentivate e del mancato rinnovo del turn over nell'amministrazione regionale ed in molti enti locali, che ha attestato i numeri (dati 2018) a 133.049 dipendenti statali e 82.000 tra Regione ed Enti locali. Il Sud ha perso più occupazione pubblica rispetto alle altre ripartizioni territoriali. Infatti “Il tasso di turn over effettivo, definito come il rapporto tra nuove assunzioni e cessazioni, è stato pari a 0,94 nelle regioni del Nord, 0,87 in quelle del Centro, e 0,65 in quelle del Sud tra il 2001 e il 2018.”
Le maggiori carenze riguardano la Sanità: il 25% della forza lavoro impegnata nel servizio sanitario pubblico lavora al Nord, solo il 17% al Sud. Per contro, la scuola impiega al Sud il 39% del personale contro il 34% al Nord. Per quanto riguarda l'equilibrio di genere, nel Nord oltre due terzi dei dipendenti pubblici sono donne, mentre nel Sud non si va oltre il 55%. L'analisi si sposta poi sulla composizione qualitativa del comparto. Al Sud la quota di lavoratori con più di 50 anni è maggiore che al Nord di circa 10 punti percentuali; la quota di laureati (o in possesso di titoli post-laurea) è più bassa che nelle altre aree del paese. Le professioni più qualificate rappresentano il 38% al Nord e solo il 28% al Sud, anche se l'incidenza dei dirigenti è sostanzialmente eguale nelle due aree. Insomma, difettano i quadri tecnici e le professioni qualificate intermedie. Aggiungendo a tali fattori, il mancato ricambio generazionale, si percepisce un quadro preoccupante dello stato del lavoro pubblico nel Mezzogiorno che fa temere ritardi anche nell'utilizzo delle risorse europee. A ciò si aggiunge, secondo i risultati della ricerca, che “la tendenza a stabilizzare i lavoratori precari di lungo corso invece che reclutarne di nuovi, per esempio, è indice di criteri di selezione subottimali.”
Per verificare quanto tali osservazioni colgano nel segno, basta riguardare la notizie di stampa di domenica scorsa: tra i settanta esperti che la Regione siciliana assumerà a tempo determinato per il Recovery Plan sono ricercati ingegneri ambientali, geologi, avvocati esperti in diritto ambientale ed amministrativo, ingegneri gestionali ed energetici, esperti di appalti nel sistema di smaltimento dei rifiuti. E così via. Tutte professionalità pesantemente carenti, quando non inesistenti, nei pur nutriti organici dell'amministrazione.
Franco Garufi
Ultimi articoli
- Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione
- Perché l’Occidente si autorinnega
- Ovazza, storia di un tecnico
prestato alla politica - Si smantella l’antimafia
e si indebolisce lo Stato - C’era una volta l’alleanza progressista
- Vito Giacalone, un secolo
di lotte sociali e politiche - Violenza sulle donne, come fermare
l’ondata di sangue - Ovazza, l'ingegnere ebreo comunista
padre della riforma agraria - Uno studio sui movimenti
studenteschi e le università