Dieci regioni contro le trivelle, la Sicilia grande assente
Economia | 1 ottobre 2015
Era tra i grandi assenti, il 30 settembre scorso, per la presentazione alla Cassazione dei sei quesiti referendari per l'abrogazione delle norme nazionali che regolano le autorizzazioni e gli espropri per la ricerca e l'estrazione di idrocarburi. Un'assenza, quella della Sicilia, che pesa soprattutto sotto il profilo democratico, prima ancora che sulla centralità della Regione nell'amministrazione del proprio territorio. E infatti, appena qualche giorno fa, l'assemblea siciliana non ha raggiunto il quorum dei 46 voti favorevoli per rimettere alla volontà popolare l'articolo 35 del decreto Sviluppo del governo Monti e l'articolo 38 dello 'Sblocca Italia'. Il primo, appunto, prevede che la ricerca e l’estrazione di idrocarburi possano effettuarsi nella fascia tra le 5 e le 12 miglia dalla costa, mentre il secondo consente di accelerare queste attività "di interesse strategico" e che sono "di pubblica utilità, urgenti e indifferibilii". Tale prova di forza del parlamento siciliano non ha comunque impedito, fortunatamente, che i referendum venissero proposti, grazie al raggiungimento delle condizioni minime previste dall'articolo 75 della Costituzione (la proposta deve provenire da cinque consigli regionali). Dieci, infatti, le regioni che hanno votato a maggioranza assoluta la procedura di referendum e che hanno depositato i quesiti contro le trivellazioni vicino alle coste e sul territorio. Basilicata, Abruzzo, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto. “E' la prima volta che dei quesiti referendari sostenuti dai Consigli regionali vengono presentati da dieci Regioni, che rappresentano il doppio del quorum richiesto”- nota Piero Lacorazza, presidente del Consiglio Regionale della Basilicata, in occasione della consegna dei quesiti antitrivelle in Cassazione. Su cinque dei sei articoli oggetto dei quesiti è attesa anche la decisione della Consulta, che si pronuncerà da gennaio ad aprile.
Oltre alla Sicilia, all’appuntamento del 30 settembre a Roma mancava anche l'Emilia Romagna, il cui presidente, Stefano Bonaccini, pur comprendendo le ragioni dei sostenitori del referendum, non considera questo “lo strumento più utile per affrontare la questione”, convinto invece che le modifiche dell'articolo 38 dovranno essere proposte in Conferenza delle Regioni e poi nella Conferenza Stato-Regioni. Capofila dell'iniziativa è la Basilicata, il cui presidente del Consiglio Regionale ha sottolineato l'importanza di questa scelta, sia per l’impatto nella vita dei cittadini dei temi trattati dai due articoli incriminati sia per il peso che le Regioni devono avere sulle scelte del proprio futuro. “Chiediamo che non ci siano trivellazioni entro le 12 miglia- ha dichiarato Lacorazza- e che siano ripristinati i poteri delle Regioni e degli enti locali”. Ed è sempre lo stesso Lacorazza a porre l'attenzione su un altro aspetto della vicenda da non sottovalutare, ossia quello del diritto di proprietà privata che verrebbe limitato. Perché “ad esempio, un articolo dello 'Sblocca Italia' prevede che per 12 anni sia concesso il permesso di ricerca sui terreni privati alle società estrattrici”- argomenta l’esponente del Pd lucano.
La deposizione dei quesiti non ha comunque spento in Sicilia le polemiche attorno alla bocciatura dell’adesione al referendum. La scelta del parlamento siciliano ha suscitato l’ira dei parlamentari del M5S, per i quali si è trattato di "un gesto vile che porterà altri danni ambientali nelle nostre terre e nei nostri mari”. E la decisione dell’Ars ha creato anche delle spaccature all’interno della stessa maggioranza. Subito dopo la votazione all’Ars, infatti, Mimmo Turano e Margherita La Rocca Ruvolo, parlamentari dell'Udc, partito che sostiene il governo regionale, in una nota congiunta hanno espresso il loro rammarico per questa “brutta pagina della storia del Parlamento siciliano” che vede la nostra regione in isolamento “rispetto ad un tema delicatissimo come quello della difesa della nostra terra e del nostro mare” e di cui “contrari ed assenti dovranno rendere conto ai siciliani”. Il riferimento va a quasi tutti i parlamentari siciliani del Pd, allineati al governo nazionale, ma anche al presidente Crocetta che non ha nascosto le motivazioni di questa posizione, ossia il rispetto “dell'accordo con l'Eni” la cui inosservanza “avrebbe compromesso gli investimenti promossi per Gela”. Chissà, dunque, se la Sicilia, dopo “aver votato per prostrarsi al diktat del governo nazionale e agli interessi delle compagnie petrolifere”,come denunciano i parlamentari pentastellati, promuoverà, al pari delle altre regioni, una campagna di sensibilizzazione e di informazione per evitare il pericolo di disinteresse o di disinformazione da parte dei cittadini che eventualmente saranno chiamati alle urne sui quesiti referendari.
di Alida Federico
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