Di ritorno in Italia, dall’altrove

Cultura | 15 maggio 2019
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Nel tardo pomeriggio di domenica registrare un ritardo di mezz’ora al Salone Internazionale del Libro per l’incontro con l’autore di Italiani si rimane equivale pressoché al fallimento dell’iniziativa.

E invece?

Beppe Severgnini si avvicina agli addetti alla sala azzurra e con un sorriso soave, indirizzando lo sguardo ai giornalisti accorsi per ascoltarlo e recensirlo: Per me nessun problema, vado a prendere un caffè. Mi spiace per le persone e i colleghi della stampa!

Come sciogliersi di neve al sole, gli organizzatori spariscono, precipitandosi dentro a interrompere la precedente presentazione, ormai fuori dall’ora canonica di spettanza.

Malia delle parole!

E del mago, cosa dire?

Nel suo libro, Italiani si rimane, editore Solferino, trovano posto aneddoti, vicissitudini, mozioni, quanto basta per definirlo il diario sentimentale di un giornalista.

Vezzo di un intuitivo e mordace intellettuale cresciuto alla scuola di Indro Montanelli e, poi, approdato, sul finire degli anni settanta, a Londra, quando la scuola di giornalismo anglosassone aveva tanto da insegnare.

Nel naturale intreccio tra professione e vita, Severgnini mostra se stesso. Giornalista di razza ha avuto inculcato fin dalla culla l’imperativo di stabilire un patto con i lettori, con i quali ha sperimentato, fin dagli esordi, una frequentazione di quotidiano confronto non prima di confidenza, come avviene con i propri amici, ai quali dedicare cure e attenzioni.

Dalla sua prima uscita da inviato, in Australia, il cronista, nativo di Crema, sperimenta con la giovinezza, ormoni in libera uscita!, un amore itinerante con una ragazza americana, talmente fascinosa da indurlo ad abbandonare l’aereo in partenza da Sidney per Milano e a recapitare al direttore del Corriere della Sera, il mitico Montanelli, un telegramma nel quale si dichiarava latitante per le vie del mondo!

A ogni cronista di razza, nell’arco degli anni, sorge il desiderio di cimentarsi con la scrittura e così è accaduto a Beppe Severgnini, fin da subito.

Acquisito il mestiere, insieme con la lingua internazionale, un autentico londinese, al quale tiene tanto, avendo abitato e lavorato nella capitale del Regno Unito, collaborò con il New York Times, sperimentò la radio e il teatro, rimanendo catturato dal fascino dell’impegno letterario.

Così è, se vi pare, affiancando ai mezzi di comunicazione tradizionali, l’apertura ai social network, di cui il nostro apprezza l’efficacia comunicativa.

Del temperamento del cremasco ci sarebbe tanto da dire, lo stesso Severgnini non nasconde la tignosa costanza con la quale ha inseguito il successo, non fermandosi, di fronte agli ostacoli disseminati lungo la strada per raggiungere notorietà e pubblico.

A Gardone Riviera, in un pomeriggio piovoso di primavera, il giornalista si ritrovò a presentare un suo libro, pubblicato con Rizzoli.

Dalla redazione dell’editrice gli indicarono di rivolgersi a un tale del posto, Gelati. Alla pioggia si aggiunse la scoperta del mestiere del procuratore o guida, come lo si voglia definire, era quello del bancarellaro. Passi! Diventava insuperabile, invece, con quel freddo e con le sedie ancora bagnate di pioggia, l’assenza di spettatori, anzi a essere precisi, la presenza di quattro, leggasi quattro, persone.

Signori, - chiede Severgnini. - cosa vi porta qua?

Siamo parenti di Gelati, l’organizzatore, ci ha pregati di venire. - risposero i malcapitati.

Ebbene, nonostante il giornalista, appena diventato scrittore, aveva già deciso di mollare, Ortensia, la moglie lo obbligò a rispettare l’impegno di parlare agli astanti.

Da lì, il percorso fu in discesa, giacché Beppe, autore di Interismi, Un italiano in America, Inglesi,Off the rails: a train trip through life e di tanto altro ancora, quel giorno, chiamando a raccolta gruppetti di passanti e coinvolgendoli nella presentazione del suo libro non salvò l’evento dal fallimento, bensì prese coscienza della capacità di gestione di se stesso, in una parola, la moglie lo aveva instradato per acquisire l’autostima necessaria a conseguire il successo.

Tra gli italiani, pochi in verità, pubblicati in America da Penguin Books, come essere editi, in Italia, da Adelphi, Severgnini ha percorso le vie del mondo per tornare sui suoi passi a rintracciare le orme del passato, di un padre, notaio in Crema, morto quasi centenario, appassionato di solidarietà, un gesto, affatto parola, al quale legare l’intero ciclo della propria vita.

Con Italiani si diventa, e La vita è un viaggio, lo scrittore cremasco aveva seguito le orme della vocazione, rintracciando all’interno di essa l’insegnamento del padre, Angelo, codificato con Italiani si rimane. Dall’erranza alla stanzialità, la distanza è stata coperta dal ribelle Severgnini con una serie di atti, descritti attraverso la sua infaticabile penna e affidati ai suoi amici più cari, i lettori.

Adesso, chioma bianca e energia da millennial, si accosta alla professione con l’entusiasmo di chi vuole lasciare eredità di segreti e consigli, ai giovani. Non a caso, anni fa, in una preziosa pubblicazione delle edizioni Corriere della Sera, curò la sezione di scrittura giornalistica in Io scrivo.

Ecco, se la scrittura fosse un demone, come riferiremo in un altro articolo, Severgnini ne è posseduto, sebbene non sia preda della glossolalia, riesce a pregare, lodare e sacrificare alla letteratura con lo stesso piglio di un narratore di razza.

 Da Torino, Salone Internazionale del Libro

Angelo Mattone

 






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