Deviazioni d'Italia: la mafia non è più pericolosa ed è solo al Sud

Politica | 30 ottobre 2018
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Il 75% degli italiani non ha dubbi: la mafia è presente in tutto il globo, ma in Italia non è una questione di cui occuparsi perché è concentrata soprattutto al Sud. Equesto il dato allarmante che emerge dal Rapporto #LiberaIdee, che raccoglie oltre 100 interviste alle associazioni di categoria. Esso mette insieme lanalisi quantitativa - che ingloba 10.343 questionari, con una ripartizione territoriale che vede primeggiare le regioni del Sud (35,4%), seguite da quelle del Nord-Ovest (31,1%), Nord-Est (20,9%) e Centro (12,6%)- e lanalisi qualitativa e fornisce molti dati dai quali poter partire per ragionare su nuovi metodi capaci di generare cultura antimafia e cittadinanza attiva. Chiedendo agli intervistati se ritengono che le mafie siano un fenomeno del Sud, del resto dItalia, Europeo, globale o di letteratura, il 74,9% non ha dubbi e indica come globale la presenza delle mafie. 

Sicuramente questo è un dato che è cambiato considerevolmente negli ultimi anni e ciò fa pensare a uno scatto di consapevolezza rispetto alla gravità della presenza mafiosa. Tale risultato, tuttavia, è stato incrociato con quello relativo alla pericolosità sociale delle mafie sul proprio territorio: solo il 38% dichiara che la mafia nel luogo dove abita è un fenomeno preoccupante e la sua presenza è socialmente pericolosa, mentre il 52% si divide tra coloro che la ritengono marginale e coloro che la ritengono preoccupante, ma non socialmente pericolosa. Dire che le mafie siano un fenomeno globale (74,9%) non significa dire che anche il livello locale sia inquinato. Solo l8,5% degli intervistati risponde che la mafia esiste anche nel resto dItalia, mentre il 7,5% la considera solo letteratura e che bisogna parlare di tante forme di criminalità. Risulta dunque evidente, secondo l’indagine, la difficoltà ad assumere le mafie come una questione nazionale e tale resistenza risulta preoccupante perché proviene dalle regioni che determinano landamento delleconomia nazionale. Secondo gli intervistati, tra le attività principali delle mafie vi sono il traffico di stupefacenti (59%), la turbativa di appalti (27,9%), il lavoro irregolare (24,5%), lestorsione (23%), la corruzione dei funzionari pubblici (21,5%), il riciclaggio di denaro (20,6%) e lo sfruttamento della prostituzione (20,0%). Nellopinione dei rispondenti la mafia toglie soprattutto libertà (37,8%), giustizia (30,9%), sicurezza (30%) e fiducia nelle istituzioni(23,4%). Più in generale si osserva una netta prevalenza di fattori per così dire ideale- valoriali rispetto a dimensioni più concrete come quella del lavoro e della qualità ambientale. Le mafie sono profondamente cambiate - ha detto don Luigi Ciotti, presidente di Libera - Le mafie imprenditrici sono un problema nazionale, perché operano con passo felpato, senza destare allarme. E hanno ormai inquinato molti ambiti della vita pubblica”.

Parlando di politica, dal rapporto di Libera, emerge che lautocollocazione dei rispondenti mostra una prevalenza di coloro che non si dichiarano né di destra né di sinistra (45,3%) rispetto a chi sostiene di appartenere al centro-sinistra (40,7%) o al centro-destra (14%). I giovani fino ai 25 anni si collocano in misura superiore tra coloro che rifiutano la tradizionale ripartizione tra destra e sinistra, mentre gli adulti dai 26 anni in avanti appartengono più frequentemente al centro-sinistra, secondo una tendenza che cresce allaumentare delletà. Emerge una concezione della politica come di una sfera altrarispetto al proprio vissuto quotidiano, un tema sul quale ci si informa, ma senza partecipazione diretta: soltanto l11,8% degli intervistati si ritiene politicamente impegnato, mentre il 53% dice di tenersi informato, ma senza partecipare. Il restante 34% si divide tra coloro che dichiarano che la politica vada lasciata a chi ne ha le competenze, che la politica non gli interessa o che genera disgusto. Questultimo dato è più numeroso (arriva a oltre il 53% sommando le 3 opzioni) tra i giovani sotto i 25 anni, segno che c’è bisogno di una rinnovata azione di dialogo con le generazioni in erba e di un avvicinamento tra questi e la sfera decisionale pubblica.

Si nota tuttavia una ridotta tendenza allassociazionismo: quasi un rispondente su due, infatti, non aderisce ad alcuna associazione, mentre la maggior parte di chi si attiva su questo fronte dedica il suo tempo soltanto a una realtà associativa. Tra questi ultimi, le preferenze si orientano prevalentemente su associazioni di volontariato sociale (20,7%), sportive (19,7%) e culturali (16,5%). La maggior parte dei rispondenti (54,1%) dichiara di partecipare episodicamente ad attività di varia natura su mafia e antimafia, mentre solo una minoranza dichiara continuità (13,7%). Un intervistato su tre non ha mai partecipato ad attività, iniziative o eventi legati al tema in oggetto. La partecipazione continua è più diffusa tra gli adulti (maggiore di 26 anni) mentre è elevata la percentuale di chi non ha mai preso parte ad alcuna iniziativa tra i giovanissimi (minore di 17 anni). Per quanto concerne, infine, la ripartizione territoriale i rispondenti del Sud rivelano una maggior partecipazione sia assidua sia episodica a differenza delle aree del Nord Italia in cui oltre il 40% dei rispondenti dichiara di non aver mai preso parte ad attività su mafia, vittime di mafia o antimafia.

Parlando di beni confiscati, circa due rispondenti su tre del campione (66,2%) sono a conoscenza del fatto che essi vengono poi dati in uso per fini istituzionali o sociali; di questi, poco meno della metà è in possesso di informazioni precise, mentre i restanti sanno dellesistenza di beni confiscati nel territorio regionale, ma non sono in grado di individuarli puntualmente. Nella grande maggioranza dei casi oltre otto su dieci i beni confiscati sono percepiti come una risorsa per il territorio, capace di portare benefici allintera comunità locale. Secondo gli intervistati essi dovrebbero essere destinati in misura prioritaria a cooperative orientate allinserimento lavorativo dei giovani (31%), alla realizzazione di luoghi pubblici di aggregazione e di educazione alla cittadinanza (23,5%) e a progetti di volontariato e di promozione sociale (18%). Il tema del riutilizzo a favore dellinserimento lavorativo sta più a cuore agli adulti e agli over 65 anni (quindi dei lavoratori e dei pensionati), mentre tra i giovani e giovanissimi è maggiormente sentita lesigenza di assegnazione a scopo didattico per far conoscere meglio il fenomeno mafioso nelle scuole.

La memoria delle vittime di mafia è percepita prevalentemente come da esempio per le nuove generazioni (33,4%) e di promozione dellimpegno civile antimafia (22,9%). I più giovani evidenziano in misura superiore alla media il ruolo di conforto ed espressione di solidarietà alle famiglie delle vittime (22,3% vs 13,4% della media). Sono i rispondenti del Sud ad esprimere una maggiore attenzione al riscatto del Meridione e alla necessità di offrire modelli positivi ai giovani, mentre ravvisano meno frequentemente una funzione della memoria in difesa dei valori costituzionali (7%). Dalla ricerca emerge, altresì, che la conoscenza dei fenomeni mafiosi si apprende più dai media che nei luoghi deputati alla disseminazione del sapere: il giornalismo d'inchiesta (20,5%) è il mezzo più adeguato per conoscere i fenomeni mafiosi, seguito dalla televisione (18,3%), dal cinema (16,3%) e dalle lezioni nelle aule scolastiche e universitarie (14,9%). Solo il 6,4% usa internet per conoscere meglio il fenomeno mafioso, percentuale che scende al 4,3% riferendosi ai social network. La preferenza per il giornalismo dinchiesta cresce allaumentare delletà del rispondente, così come quella per le lezioni a scuola o in università. Gli under 25 sottolineano, in misura superiore alla media, il ruolo di internet e dei social network, mentre i giovani e giovani adulti (dai 18 ai 39 anni) attribuiscono particolare rilevanza al cinema.

Relativamente al tema corruzione la percezione negativa risulta dominante, con oltre il 70% di intervistati che ritiene molto o abbastanza diffusa la corruzione a livello regionale, contro un 20% scarso di risposte relativamente ottimiste. Ma a saltare all’occhio è soprattutto la diversificazione territoriale: quasi il 90% degli intervistati del Sud ha una visione pessimistica. Circa il 30% degli intervistati da #LiberaIdee ha incontrato in prima persona o tramite conoscenti richieste indebite di tangenti o altri favori percentuale che come prevedibile anche in questo caso lievita a circa il 40% nelle regioni del Sud, dove è quasi il doppio rispetto al Nord-est. Ma un marcato smarrimento (o una comprensibile preoccupazione) nel valutare la propria capacità di identificare la natura illecita o irregolare delle altrui richieste affiora anche dalla percentuale altissima – pari al 36%– di intervistati che non sannose hanno ricevuto o meno simili richieste.

La corruzione si conferma, pertanto, come un fenomeno profondamente radicato, nelle percezioni e nelle esperienze dei cittadini, soprattutto quelli del Sud Italia. Ela sfera politica il principale bersaglio selettivo della sfiducia: il coinvolgimento nella corruzione viene considerato significativo nei confronti di membri del governo e del Parlamento e dei partiti dalla metà esatta degli intervistati. Il distacco è evidente soprattutto nei confronti della politica più “distante”, basti pensare che la percentuale di sfiducia verso gli amministratori locali quasi si dimezza. Mentre il settore degli appalti con oltre il 40% si conferma “area sensibile” al rischio corruzione, non ne sono immuni il mondo dellimprenditoria (oltre il 30%) e della finanza (15%), e appena il 12% indirizza il proprio malcontento sugli impiegati pubblici in generali.

Le azioni ritenute più efficaci da intraprendere per combattere la corruzione si risolvano in atti individuali: denunciare (51%), rifiutarsi di pagare (27%), votare per gli onesti (20%), mentre minor peso hanno liscriversi in associazioni, il partecipare a manifestazioni o firmare petizioni (tutte intorno al 15%).

 di Melania Federico

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