Dentro l’ignoto di Antonio Tabucchi.

Cultura | 25 marzo 2022
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A dieci anni dalla scomparsa dello scrittore pisano, poco o nulla si è scritto per mostrare l’aspetto saliente del suo percorso letterario, inteso a penetrare, scandagliare e fissare le molteplici profondità dell’ignoto. Benché abbia ricevuto da uno stuolo sempre più vasto di esigenti lettori attestati di stima, a giudicare dalle vendite, per la produzione più intimamente legata all’inquietezza dell’esplorazione della sua scrittura, da Donna di Porto Pim a Notturno indiano, dal L’angelo nero al La testa perduta di Damasceno Monteiro, nessun riscontro è arrivato dalla critica.
Eppure, Tabucchi ha tenuto la testa delle classifiche, primo tra gli scrittori stranieri, in Francia, in Germania, in Inghilterra, percorrendo in campo narrativo la parabola di Paolo Conte sul versante musicale. In quel silenzioso distacco degli addetti ai lavori si legge, in tralice, il giudizio complessivo sull’intera opera, considerata incompiuta, una specie di salto logico, una dislessia del testo.
Affidare al presente pezzo il compito di una interpretazione epistemologica dell’opera di Tabucchi sarebbe velleitario, seppure pressante risulti il tracciamento del complesso della sua attività. Per Isabel, Si sta facendo sempre più tardi, Tristano muore sono eccezioni alle regole vigenti, oppure le infrazioni hanno segnato un punto di svolta nella storia del romanzo contemporaneo?
E, ancora, si è di fronte a un incoerente scrittore, che considerava la percezione soggettiva della realtà più importante del valore estrinseco della stessa oppure l’elaborazione della finzione in chiave fantasmatica serve a Tabucchi per superare la concezione novecentista, basata sulla fantasia intesa unicamente come riflesso dell’oggetto a base della narrazione, mentre si tratta dell’esser-ci, per usare il linguaggio di Heidegger per indicare l’individualità?
A considerare l’interezza dei lavori di Tabucchi verrebbe da sostenere il concetto di immaginazione, metalessi del reale, ovvero trasposizione di significati su diversi registri narrativi e linguistici del racconto.
Dagli approfondimenti della poetica dello scrittore, peregrinante tra Vecchiano e Lisbona, emerge chiaramente il costante ricorso alla categoria temporale per superarla in funzione dell’atemporalità, declinata con i segni dello spazio perduto, del restringersi del perimetro dei valori, del prevalere dei luoghi comuni a discapito delle inquietudini dello spirito. Ne Il tempo invecchia in fretta, Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa, Sostiene Pereira il romanziere racconta le macerie del ventesimo secolo, il crollo delle ideologie con il piglio del figlio insonne e del testimone sbalordito e tenace.
Con Tristano muore il cerchio si chiude, la morte irrompe in scena con secchezza ontologica; la sperimentazione linguistica già di per sé essenziale perde qualunque pulsione di vita, si rifugia in figure e simboli di derivazione kafkiani.
A fermare le immagini del passaggio dal secondo al terzo millennio Tabucchi colse dall’angolo visuale del Cabo da Roca (Aqui … Onde a terra se acabra e o mar comença, nei versi di Luís Vaz de Camōes) in quel promontorio, il più a occidente d’Europa, il vallo di confine tra il Vecchio Continente e le Americhe, a suggellare, i miasmi della fine della civiltà, quella occidentale, anche letteraria, ormai allo stremo. Con Requiem, scritto in portoghese, ne certificò l’imminente tracollo.
All’amore per la terra lusitana non era estranea l’idea di fuga dalla patria d’origine, reputata obsoleta, forse addirittura stantia, scartata in favore degli altrove del mondo, giacché nell’intraducibilità dei luoghi, nella sconfinatezza degli orizzonti stava la tensione a bucare la scorza delle cose.
Tra le bancarelle di libri usati a Parigi, sul quai Voltaire, nel 1984, Tabucchi acquistò Tabaccheria, Essenza musicale dei miei versi / inutili …, poetava Pessoa, con quel suo versificare metafisico, in cui lo sguardo dalla finestra di casa sul mondo coglieva nel niente la complessità del sogno. E, fu subito incendio, l’incontro fatale di un intellettuale italiano con il figlio, appunto Pessoa, di un impero morale, il sebastianismo portoghese, allora per il presente, in lento, costante disfacimento.
In una ricognizione generosa e spasmodica volta a innovare le lettere nella penisola, Tabucchi, negli ultimi anni, tenne a battesimo giovani romanzieri, e affettatamente tali, difendendo a spada tratta, pubblicazioni modeste, siccome orientate dal punto di vista del narratore all’interno della vicenda, nella definizione di scrittura, intradiegetico, con la variante d’immedesimazione tra voce narrante e autore. Esperimento di per sé azzardato, andato a monte per inevitabile difetto di equilibrio tra emozioni e distacco, venuto meno con l’irruzione sulla scena del romanzo di un estraneo, appunto, lo scrittore proteso a sovrapporsi all’io narrante nella incongrua velleità di sovrastarlo.
Fondamentale distinzione, spesso, intraducibile per i neofiti, nota, ovviamente a Tabucchi, impegnato nel superamento della regola senza l’appoggiatura necessaria.
Talento puro, privilegiava il ritmo nei suoi scritti culti, romanzi brevi o racconti lunghi, li si definisca come più aggrada; della lingua si serviva per condensare nella pagina, attraverso il travaglio del segno, il momento, l’attimo, la circolarità del tempo, le emozioni, quell’irrequietezza fuggente e sfuggente, impossibile da concentrare in una trama dai connotati convenzionali, bensì affidata all’ordito, segnacolo della saudade.
In quel triste giorno del 25 marzo 2012, in morte, Antonio Tabucchi fu assunto nel gotha degli immortali, in funzione della sua produzione letteraria, vasta e profonda, nel segno della saudosa una nostalgia tanto somigliante a un groppo in gola, mentre le ceneri venivano inumate, quattro giorni dopo la scomparsa, nel cimitero dei Prazeres, a un tiro di schioppo dal monastero dei Jeronimos dove riposa Fernando Pessoa.
 di Angelo Mattone

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