Decolla la banca dati nazionale antimafia
Ci sono voluti più di tre anni per mettere in funzione la Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia. Da quando, cioè, era stata prevista dall’art.96 del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159. Con la pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale dello scorso 7 gennaio, del DPCM 30 ottobre 2014 n. 193, è entrato in vigore questo importante strumento finalizzato al rilascio della documentazione antimafia nei confronti di tutte le imprese coinvolte nell’esecuzione dei lavori pubblici.
I dati ospitati nella Banca dati Antimafia Unica, infatti, riguardano le informazioni e le comunicazioni antimafia, le liberatorie e le interdittive rilasciate alle società interessate. I dati sono organizzati in due archivi: uno riguardante la documentazione antimafia – vi si trovano, tra l’altro, il numero di codice fiscale e la P.I. di ogni impresa, la ragione sociale, la sede legale, la data di rilascio di ciascun provvedimento e l’indicazione della Prefettura competente territorialmente che lo ha emesso, la segnalazione della tipologia e della natura della documentazione antimafia concessa - l’altro relativo agli accertamenti – come, ad esempio, l’indicazione della sussistenza di comunicazioni indirizzate dall’autorità giudiziaria alle Prefetture o quella degli accertamenti in corso disposti dalle Prefetture stesse. Informazioni che possono essere trattate, nell’ambito delle rispettive competenze, da «la DIA, nonché la Direzione centrale della polizia criminale e la Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno; le Prefetture; gli uffici e i comandi delle Forze di polizia; la struttura tecnica del Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere» – si legge all’art. 3 del sopracitato DPCM. Una volta che tali indicazioni saranno inserite nel database nazionale, queste potranno essere consultate, ai fini del rilascio della documentazione antimafia, dai dipendenti della Pubblica Amministrazione e degli enti pubblici, anche costituiti in Stazioni Uniche Appaltanti, individuati dai capi degli uffici competenti; dal personale degli organismi e delle società controllati dallo Stato e selezionato dal legale rappresentante di tali strutture; dai lavoratori dei concessionari di opere pubbliche e da quelli dei contraenti generali preposti dai relativi legali rappresentanti; dai dipendenti delle camere di commercio e da quelli degli ordini professionali incaricati dai rispettivi presidenti.
Viene, quindi, alzata «di molto la possibilità che soggetti interessati alla consultazione hanno nel prevenire l’infiltrazione mafiosa nei cantieri pubblici e in tutti i campi di intervento della Banca dati Antimafia Unica» - si legge in una nota della Fillea Cgil e dell'Osservatorio Edilizia e Legalità, rappresentati rispettivamente da Salvatore Lo Balbo, segretario nazionale Fillea Cgil, e da Giuseppe Ayala, Presidente del Comitato Scientifico dell'Osservatorio Edilizia e Legalità. Una maggiore responsabilità, dunque, dal momento che essi potranno sapere, in tempo reale, se le imprese coinvolte negli appalti possono avere le liberatorie per le comunicazioni antimafia (ex certificazione antimafia) o se le stesse hanno avuto informazioni antimafia (ex interdittive). Proprio per una completezza delle conoscenze su tutti i soggetti economici che operano nei cantieri pubblici, la Banca dati Antimafia Unica, istituita presso il Ministero dell’Interno, ‘Dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie’, è collegata ad altre banche dati quali il CED (Centro Elaborazioni Dati), per i dati necessari all’accertamento nei confronti delle imprese dei requisiti per il rilascio della documentazione antimafia; il sistema informatico costituito presso la DIA, relativamente ai dati acquisiti nel corso degli accertamenti nei cantieri delle imprese titolari dell’esecuzione di lavori pubblici; l’osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture; i sistemi informativi delle camere di commercio e quelli del Ministero della Giustizia; l’anagrafe nazionale della popolazione residente «limitatamente al riscontro e all’accertamento delle generalità dei familiari conviventi, residenti nel territorio dello Stato» - specifica il comma 2, lettera ‘b’, dell’art. 6 del DPCM in oggetto.
Il DPCM disciplina anche i tempi di conservazione dei dati, distinguendoli in base alla loro tipologia. Così, mentre quelli relativi alla documentazione antimafia liberatoria permangono cinque anni, gli altri riguardanti le interdittive vengono mantenuti per quindici anni. L’indicazione dell’esistenza di accertamenti ancora in corso nel momento in cui viene richiesto il rilascio della documentazione antimafia, invece, dovrà permanere «fino alla data di adozione da parte del Prefetto del provvedimento conseguente all’esito conclusivo di tali accertamenti»- precisa il DPCM. E, per una maggiore trasparenza, vengono anche conservati, per dieci anni, le registrazioni dei trattamenti eseguiti dagli operatori.
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