Dario Fo e Qu, il giullare che sfida i potenti
Cultura | 11 giugno 2015
Dice Camus che " la giovinezza è un insieme di possibilità". Affermazione che si può leggere da più punti di vista. Per esempio così : più il tempo passa, più si restringe il campo. Ma non è vero per tutti.Dario Fo, classe 1926, risponde al telefono della sua casa di campagna ed è molto affaccendato. Ha un mucchio di cose da fare nelle prossime settimane : un libro in uscita, un corso di teatro con suo figlio Jacopo alla Libera Università di Alcatraz, la nuova messa in scena della sua Storia di Qu, testo scritto a quattro mani con l' indimenticata (anche da noi) Franca Rame.Siccome il maestro che non vuol essere chiamato maestro è soprattutto un grande raccontatore, si comincia proprio dalle peripezie di Qu. E la prima domanda la fa lui : " Ma tu lo sai chi era Qu? ".No. Ce lo racconta? La prima volta che io e Franca siamo andati in Cina erano gli anni Sessanta, c' era ancora Mao. È stato un viaggio stupefacente, pieno di scoperte. Tra cui anche l' incontro con Lu Xun, lo scrittore e poeta amatissimo da Mao che inventò la scrittura semplificata, un linguaggio che ha permesso a milioni di analfabeti di imparare a leggere e scrivere. In questa lingua, Lu Xun ha scritto una grande quantità di racconti, e fra questi, la storia di Qu. Una specie di Arlecchino -è una figura della tradizione popolare cinese -che ne combina di ogni : uno che tira a campare, rubacchia e s' arrangia come può. A un certo punto, quasi senza rendersene conto, partecipa a una rivolta di contadini al culmine della quale i ribelli obbligano i signori a volare su enormi aquiloni.Una presa in giro del potere? Eh sì, perché vediamo nobili e generali abituati a essere superbi e arroganti che davanti alla magia delle macchine volanti si spaventano come bambini e vengono pubblicamente umiliati. Qu viene arrestato e condannato a morte perché ritenuto uno dei maggiori responsabili di questo atto eversivo. In un primo tempo lotta per convincere gli accusatori della sua innocenza. Ma proprio quando comincia ad avere guai con la giustizia, Qu si accorge di essere improvvisamente diventato importante. Si sente rispettato : così decide di interpretare la sua parte di rivoltoso con gioia.Un riscatto che costa caro. Tanto che il protagonista esclama ' per certe cose val la pena di morire'. Quando sale sul patibolo lo costringono a cantare per dimostrare la sua forza. Lui sceglie una canzone che parla di un cavallo, bendato e legato a una corda, che gira su stesso convinto di essere libero. Mi pare un' allegoria estremamente attuale ! Nell' ultima scena -un momento veramente poetico -vediamo la testa di Qu che si libera in aria e vola in cielo.Il vostro testo è già stato rappresentato l' anno scorso, messo in scena da giovani attori, scenografi e costumisti, studenti e attori diplomati alla Scuola Paolo Grassi, alla Scuola di Scenografia di Brera e all' Accademia dell' Arte di Arezzo. Come è cambiato? La prima rappresentazione è stata la prova generale di un lavoro che è continuato nel tempo. Come è giusto che sia perché il teatro è sempre in trasformazione. Oggi viene riproposto con una compagnia americana all' unisono col gruppo della Paolo Grassi : ora inizia una vera e propria tournée, che parte il 25 giugno nella ex chiesa di San Carpoforo e poi al Piccolo Teatro. La regia di Massimo Navone ha reso benissimo il nostro testo. Ho assistito alle prove : il copione è cambiato, com' è giusto che sia. Ha inciso -e io trovo questo bellissimo -anche il fatto che gli attori parlino lingue diverse, una circostanza che ha arricchito il lavoro sul testo.E ad Alcatraz? Con Jacopo e altri attori faremo un corso di teatro che dura dieci giorni. Scriveremo pezzi e canzoni che poi metteremo in scena. La mia lezione si occupa del recupero della conoscenza del teatro che parte da un libro, il Manuale minimo dell' attore numero 2, in uscita ai primi di luglio con Chiarelettere. È un aggiornamento di un libro uscito per la prima volta nel 1987, che naturalmente avevo scritto con Franca. E dove spaziavamo dall' analisi dei testi alle varie forme di teatro, raccontando anche le nostre esperienze. Mi è successo spesso, nelle università e durante gli incontri pubblici in giro per l' Europa, che mi chiedessero una nuova versione di quelle lezioni. Visto che dalla prima edizione sono passati quasi trent' anni, ho deciso di raccontare evoluzioni e metamorfosi del teatro. È molto importante per chi fa il nostro lavoro saper costruire ponti tra la tradizione e il presente. Savinio diceva : narrate, uomini, la vostra storia. Vuol dire guardate il vostro tempo. Su questi temi farò il corso, cercando di coinvolgere il più possibile i ragazzi per spingerli a inventare situazioni sceniche che poi proveremo a recitare.Cosa c' è di nuovo nel Manuale numero 2? Quel libro io Franca l' abbiamo scritto durante una lunga tournée americana. Lì ci siamo resi conto che alcune cose che davamo per scontate non lo erano affatto. Fra queste cose c' era anche la tecnica del recitare. Che non vuol dire solo far colpo : la recitazione è fatta anche di modestia, attenzione, umiltà. Si può parlare di sé senza proporsi come modello. Poi ci sono le tecnologie, che bisogna assolutamente saper usare bene perché non si può essere distratti, non si può non essere aggiornati. Il teatro deve servirsi di tutti i mezzi che possono condurre a creare meraviglia.Cos' è lo stupore secondo lei? Non è il gioco di prestigio : il paradosso serve a sottolineare il grottesco che si trova nella realtà. Creare meraviglia vuol dire suscitare l' incanto in chi ti guarda. E attraverso il coinvolgimento passano al pubblico molte cose : per questo fare teatro è il mestiere più straordinario del mondo. (Il Fatto Quotidiano)
di Silvia Truzzi
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