Dallo scrittore al giornalista, ineguaglianze simmetriche.

Cultura | 11 novembre 2021
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Chiunque avesse accettato l’idea, divulgata nel recente passato dalla Rai con spot mirati a promuovere i propri prodotti, di Andrea Camilleri come il più grande scrittore italiano, dovrebbe sostituire l’aggettivo grande, seppure mantenendo il grado comparativo, con venduto. Infatti, l’empedoclino, dopo Umberto Eco occupa il secondo posto nella graduatoria degli italiani i cui libri sono acquistati in quantità industriali in diverse parti del mondo.

Se, tuttavia, qualcuno alla stregua di Astolfo avesse lasciato il proprio cervello sulla luna, acquisirebbe il diritto di pensare, con similare allegoria, a Eugenio Scalfari, titano della carta stampata, giornalista in predicato di entrare nel canone.

A scanso di equivoci, siamo di fronte a due giganti, tanto umani come chiunque di noi da scadere nel ridicolo, talvolta, a causa di ineliminabili spinte narcisistiche o, più spesso nel rivendicare titoli bancari, ovvero soldi dal proprio dante causa di turno.

Al riguardo, chiedere a Carlo De Benedetti, a proposito dell’ex-direttore di Repubblica, vi sentireste rispondere, dopo l’assunzione di una massiccia dose di antiacido, di avere corrisposto montagne di denaro. Naturalmente, non possiamo entrare in merito, se non per suggerire all’imprenditore torinese la più palmare delle evidenze, legata all’effettivo ruolo del civitavecchiese nell’ambito della comunicazione di massa. A nessuno potrà scappare dalla penna, giornalista. Scalfari non rientra nella categoria, piuttosto in quella del politico, del top manager per vocazione e, dopo, per necessità portato a muoversi nei meandri di questa arte antica conseguendo successi clamorosi. Chi mai avrebbe previsto, alla data della fondazione, la lotta spanna a spanna tra la prestigiosa e antica testata italiana de Il Corriere della Sera e La Repubblica, a contendersi la palma del quotidiano più venduto? Nessuno, solamente Scalfari, messo lì a carpire umori, orientamenti e strategie dei partiti, prima ancora di indicare la linea alla redazione e ai talentuosi, questi sì, giornalisti ingaggiati per rendere il tabloid competitivo e vendutissimo, prima che celeberrimo.

E, dunque, nella logica condivisa del mercato liberista, per cui l’autore di brillanti risultati di incremento del fatturato, dovrà godere della ricchezza prodotta, autorizzava le richieste di Scalfari all’editore De Benedetti. Ancora una volta aveva ragione il direttore, come quando aveva collocato nell’area comunista il giornale, catturando due piccioni con la classica fava, avere una platea di lettori n volte maggiore di quella socialista, rivalersi del rifiuto di Craxi di candidarlo nelle liste del Psi, dopo una breve esperienza parlamentare.

Benché, sembrerebbe distante dal racconto precedente, la situazione nata dalla captatio benevolentiae di taluni dirigenti Rai nei confronti di Camilleri, con il definirlo il più grande scrittore italiano, nelle pubblicità di presentazione dello spettacolo, Conversazioni con Tiresia, poi svoltosi al teatro greco di Siracusa, sembrerebbe ripercorrere, invece le medesime orme. Dai romanzi storici, Il re di Girgenti, La presa di Macallè, e altro ancora, con la versatilità del talento posseduto, scrittore di razza, Camilleri si dedicò alla giallistica dove raggiunse vette eccelse di vendite e di fans. Se questo fosse lo spunto per acquartierarlo nel gotha degli scrittori, poco male, diversi premi Nobel hanno conquistato il titolo con meriti minori del siciliano. D’altronde, entrare nel santuario della vexata quaestio sui generi letterari bassi per sceverare quelli degni di altezza, riporterebbe indietro di decenni il dibattito, ai tempi del Gruppo 63, quando l’eccelso Eco, apostrofò l’immenso Giorgio Bassani, succedaneo di Liala, pentendosi in vita e portandosi dietro lo scrupolo, in morte.

Nel modesto tentativo di dirimere la disputa, si suggerirebbe di ammettere, nell’elenco dei meriti dello scrittore, distinguendolo dal narratore, dal saggista, dal giornalista, dal novellatore, non solo il contenuto mainstream, ovvero la capacità di lisciare il pelo alle mode del momento, quanto l’innovazione, sia pure stilistica, ma in combinazione con il plot, quell’andare per dirupi e oscurità a esplorare novità di metodo indispensabili alla letteratura degli anni due del terzo millennio, alla vigilia del centenario dell’Ulisse, pubblicato per la prima volta il 2 febbraio 1922, emblema delle vette letterarie raggiunte nel secolo scorso,

Solenne e paffuto, Buck Mulligan comparve dall’alto delle scale, portando un bacile di schiuma su cui erano posati in croce uno specchio e un rasoio.

a.mattone@icloud.com

 di Angelo Mattone

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