Dall’eternità alla quotidianità, l'ordinario eroismo di Camilleri
Così vicino all’eternità, l’ha sfiorata senza volerci entrare, consapevole della libertà toccategli in sorte di essere celebrato in vita.
Da uomo di spettacolo non l’ha sfiorato l’idea d’iscriversi nel canone, legato alla quotidianità dai vantaggi derivanti da essa, altrimenti avrebbe volto lo sguardo a Pantalica, la scomparsa Hybla, laddove miti e leggende traggono origine dall’ubertosa Magna Grecia e la letteratura affonda profonde radici nei simboli e nella storia di una millenaria Sicilia.
Nel tempio della parola, l’antico anfiteatro greco di Siracusa, all’origine del dramma umano, l’intrattenitore per eccellenza celebrò la commedia, impersonando Tiresia, dimentico dell’ambiguità del maschio, mutato in femmina per ritornare uomo, fosse l’essenza divina di Dioniso, il dio dell’ebbrezza, abbagliato, invece dal mito della cecità legato indissolubilmente alla preveggenza, almeno nella mitologia, nel tentativo di dare forma alla modernità.
Presentiva la fine e volle congedarsi dal pubblico, alla maniera dei dominatori, uomini autentici con un rapporto amletico con la finzione, cui preferiva l’autenticità, tanto distante dai canoni classici della poesia.
Nel certame tra sincerità e nascondimento, cedette all’istinto tipico del mostro di bravura, narrando, a cuore aperto, dopo avere sperimentato lo schema di successo, in una lingua eteroclita, i delitti consumati in un paesetto siciliano, dove un commissario diventato famoso, grazie all’ingegno e alla perizia della sua penna, muoveva i passi con intuito, onestà e rigore nella lotta alla mafia.
A riparo dalla tempesta tecnologica dei nostri giorni, Camilleri usava il fax, mentre a scrivere al computer era l’assistente, Valentina Alferj. Nulla da dire per un uomo alla soglia dei novantaquattro anni, sennonché erano i suoi neuroni a funzionare da internet, a provvedere alla connessione con il cervello dei lettori, poi, diventati, grazie alle entrature in Rai, spettatori dei gialli del commissario Montalbano. Senza colpo ferire, serviva divagazione, svago, leggerezza come fossero cassatine siciliane, dolci e accattivanti, colorate e trasportabili in aereo, in treno, in nave, senza ingombro.
Tra Andrea Camilleri e Giulio Mozzi, valente editor, a sua volta romanziere, non è dato sapere chi fosse il maestro e chi fungesse da alunno, tale era la convergenza d’intenti.
“Un libro lineare, ben scritto, con un protagonista in cui ci si possa identificare senza indugi, che affronti difficoltà che fanno parte dell’esperienza quotidiana, e che contenga alla fine un messaggio di conforto.”
Se questo fosse il dettato della narrativa di consumo, per carità, legittimamente teorizzata da un autorevole addetto ai lavori, nessuno più di Camilleri ne è stato il superbo interprete.
In diverse occasioni tenne a precisare, a ragione, di avere salvato la casa editrice Sellerio dal fallimento, e questo dovrebbe stimolare una riflessione anche tra i più refrattari ad accettare la giallistica, tra i generi narrativi a elevato livello di diffusione e, pertanto, strumento di acculturazione tra i più penetranti.
Ecco, perché il cantastorie empedoclino, sul finire del percorso, lamentava di essere sottovalutato, di patire un pregiudizio della critica in funzione dell’esclusione dal paradiso dei giganti.
Con semplicità appoggiava la richiesta di entrare nel canone, rivendicando di avere incarnato il gusto della narrazione, all’origine del mondo e del percorso dei viandanti, con oltre cento romanzi scritti, diversi milioni di copie vendute, uno share da capogiro, se soltanto si pensi ai singoli episodi trasmessi fino a cinque volte dalla televisione italiana, ai trenta paesi dove sono tradotti, e venduti, i suoi romanzi.
A indagare la complessità della scrittura, si accostò, in una intervista recentissima, rievocando il piacere della fatica del plot, la sperimentazione di generi diversi dal giallo. Tuttavia, quando si cimentò, tale fu la fatica, ne Il re di Girgenti, ne Il birraio di Preston, da smettere subito per tornare all’origine, a quel commissario Montalbano, amato e odiato in uno, giacché lo aveva reso ricco e famoso, impedendogli l’ingresso nel sacrario degli eroi.
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