Dall'autrice di "La Figlia" arriva "Valori", intreccio in tono minore

Cultura | 30 dicembre 2016
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C'è un abbagliante romanzo della catalana Clara Usòn, “La figlia”, edito da Sellerio, che da qualche anno lascia senza fiato chi ha la fortuna di leggerlo: una tragedia degna del Bardo o della Grecia classica, gli abissi dell'ex Jugoslavia e quelli di una giovane donna, suicida, Ana Mladić, figlia di Ratko, il carnefice di Srebrenica, fra ricostruzione storica e fiction, in un congegno narrativo modernissimo, complesso e appassionante, dal respiro epico. Il più recente romanzo di Clara Usòn, pubblicato ancora dall'editore palermitano è “Valori” (276 pagine, 16 euro), tradotto come il primo da Silvia Sichel. Si avvicina a “La figlia” solo per l'ambizione, come il precedente intreccia piani temporali, Storia e fiction. Per il resto delude. 

Nel senso che ciò che è difficile è di sicuro stimolante, e i lettori amano anche le storie complesse, non quelle però affastellate nel caos, in cui districarsi è qualcosa di improbabile: il disorientamento che emerge progressivamente non rende merito al talento dell'autrice. “Valori” si regge su tre poli, i soldi, la rivoluzione e la religione, perseguiti in modo cieco sulle pagine della Usòn. In questo volume s'intrecciano confusamente tre vicende, quella principale ha come protagonista Mati, direttrice di banca, convinta che i soldi siano la misura del mondo, tanto da gabbare risparmiatori e perfino familiari, pur di guadagnare di più. 

La sua storia (un marito, Paco, che la tradisce spudoratamente, una figlia, Mar, che sogna di fare la cubista) è intervallata da due vicende del passato, con due protagonisti prossimi alla morte: il capitano Fermín Galán, nel 1930 tra gli autori di una rivolta fallita contro la monarchia spagnola (il sogno della democrazia, nobile, che però finisce male, nel sangue perché perseguito in modo a dir poco goffo), di fronte al plotone d'esecuzione; padre Casimiro, un anziano frate, che ricorda nefandezze estreme – assassinii e torture ai danni di serbi, ebrei e zingari in nome di un fanatismo religioso e di una pulizia etnica mai estirpata da quelle terre – compiute, in un lager croato, nel corso della seconda guerra mondiale, da lui e da altri esponenti del nazionalismo ustascia. Non è felice la gestione dei tempi narrativi multipli, e il finale che vorrebbe spiegare e risolvere, convince poco. 

 di Salvatore Lo Iacono

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