Dagli scuolabus ai giocattoli, i ricchi affari dei boss
Innumerevoli, i tentacoli
della piovra mafiosa si allungano ormai su qualunque settore di
mercato da catturare. Appena pubblicata, la relazione della Dia
(direzione investigativa antimafia) sul secondo semestre 2018 è la
fotografia di un' impresa criminale diffusa sul territorio,
multinazionale, ad alto tasso di sviluppo, investimento e profitto.
In crescita continua.
«Cosa nostra investe dove ci sono i soldi»
ha detto ieri al Sole24Ore il procuratore di Palermo Francesco Lo
Voi. Il documento messo a punto dagli analisti guidati dal generale
Giuseppe Governale, direttore della Dia, consegnato al Capo della
polizia, Franco Gabrielli, e trasmesso in Parlamento dal ministro
dell' Interno, Matteo Salvini, sembra un manuale di tecnica economica
e finanziaria. Applicata dalla criminalità organizzata.
Le fette
di mercato dove mafia, 'ndrangheta, camorra, organizzazioni pugliesi
ed etniche si diffondono quasi non si contano più. La ricognizione della Dia sulle operazioni di polizia
giudiziaria mette a fuoco settori particolari: i servizi di
scuolabus, il trasporto e vendita di cassette di legno, i prodotti
ortopedici, il commercio all' ingrosso dei giocattoli. Dappertutto,
«dove stanno i soldi», appunto.
La luna imprenditoriale mafiosa
ha due facce, una economica e l' altra finanziaria. Tutte e due nere,
ma la seconda di più. Scrivono gli analisti: i mafiosi dimostrano e
confermano di «saper variare il "paniere" dei propri
investimenti». È la regola aurea della diversificazione del
portafoglio. Rinunciano persino a una quota di evasione fiscale:
meglio l' elusione. La Dia ha fatto uno studio sui soggetti
denunciati e arrestati per reati mafiosi negli ultimi cinque anni
(2014-2018), esaminate 12.054 posizioni, i dati ripartiti poi per
settore economico (primario, secondario, terziario e terziario
avanzato).
I settori terziario e secondario predominano con il
46,8% (5.638) e il 44,8 % (5.394) del totale; seguono il settore
primario (6,3 %, pari a 766 posizioni) e il terziario avanzato (2,1%,
pari a 256 posizioni). Vale nel quinquiennio ma in particolare, nel
2018, si vede la «prevalenza delle attività economiche del Sud
Italia (86,6%) tra quelle infiltrate dai soggetti mafiosi». Sullo
stesso piano le attività economiche infiltrate del Nord e del Centro
(entrambe al 6,7%)».
Se si guarda la finanza mafiosa lo scenario
cambia, è più inquietante. I dati sulle operazioni finanziarie
sospette, ripartite per regione, sono chiari: Nord in testa con il
46,3%, Lombardia prima regione con quasi 20mila movimenti finanziari
sospetti.
Il paradosso - apparente - è semplice: i mafiosi
riciclano meglio e di più nelle regioni meno mafiose. Ma non solo
perchè quelle settentrionali sono le più produttive. Lì la
criminalità organizzata utilizza «soprattutto dei prestanome»:
personaggi insospettabili, il più possibile accreditati nel tessuto
sociale. Al contrario «in molte realtà del Sud Italia operano
istituti di credito di piccole dimensioni, in alcuni casi addirittura
mono-sportello». Dove «i mafiosi potrebbero esercitare una
pressione tale da rendere difficoltosa per l' operatore della banca
l' effettuazione di una segnalazione di operazione sospetta». Per
star tranquilli, insomma, di gran lunga meglio investire al
Nord.
Certo, dopo la Lombardia (19.752 operazioni sospette) ci
sono la Campania (17.660) e il Lazio (10.639). Ma poi subito dopo
arriva l' Emilia Romagna (9.812) e quasi a pari merito Veneto (6.673)
e Piemonte (6.656), che battono la Sicilia, e a seguire la Toscana
(5.781).
Quella del Nord si può chiamare per la Dia «una mafia
latente». Ma che «potrebbe, in prospettiva, manifestarsi con
caratteri più evidenti».
L' insidia finanziaria mafiosa, in
maggioranza azionaria nel Nord Italia, mostra una criticità
emergente ancora più preoccupante. Scrivono i tecnici guidati dal
generale Governale: davanti a questa evoluzione la competenza
territoriale degli uffici giudiziari diventa un limite grave. «I
fascicoli processuali tendono a essere attratti dai distretti
giudiziari in cui la consorteria mafiosa si è storicamente
sviluppata». La conseguenza è nefasta: «Una limitata possibilità
di perseguire l' azione illecita da parte dei distretti del
Centro-Nord, in cui oggi invece si manifestano con sempre maggior
forza le attività economico-finanziarie delle mafie». La Dia lo
definisce «un vulnus che non può più essere trascurato».
Il
dato del Nord, tuttavia, non deve mai far dimenticare come «in molte
aree del sud l' arretratezza economica e il disagio sociale
rappresentano l' humus che rigenera le strutture mafiose». E dunque
«c' è bisogno di una presa di posizione decisa contro una
microcultura mafiosa che è cresciuta progressivamente in tutto il
Paese, spogliandosi della sue veste violenta e sfruttando l'
insensibilità e la sottovalutazione».
Una denuncia drammatica:
c' è «una mancanza di allarme sociale - secondo fattore che ha
favorito lo sviluppo al Nord - che sembra aver anestetizzato la
coscienza collettiva rispetto alla pervicacia delle mafie». (Il Sole 24 Ore)
Marco Ludovico
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