Da un anno all'altro a caccia di usato
A rovistare tra le macerie del passato si trovano anni peggiori di quello concluso?
Sì, sicuramente, sebbene bisognerebbe attingere al secolo scorso e ricorrere a due disastrose guerre mondiali per trovare più morti, più terrore, più precarietà.
Raramente, un termine, segnatamente una parola, ha racchiuso, da sola, la condizione degli ultimi vent’anni. Eppure, nel sostantivo astratto, precarietà, vi è la concretezza del disagio dell’intera popolazione globale e, soprattutto, riassume in uno la disperazione, lo scoraggiamento, l’insoddisfazione, la disillusione delle giovani generazioni, dalla zeta degli ultimi arrivati ai più maturi Millennials.
Quando una presunta normalità attraversava il globo, tra fine anno e l’inizio del successivo, bilanci ottimistici, carrellate di eventi, foto di vacanzieri in rinomate località da diporto riempivano le pagine di giornali, immagini scorrevano nei canali televisivi ad assicurare quella proiezione futuristica, basilare per alimentare il consumo di massa.
E, nonostante tra iniquità e ingiustizie affogassero le attese di ragazzi, giovani, bambini, affacciatisi sulla soglia della vita per completare gli studi, in prospettiva di un’occupazione, per provare un inserimento lavorativo, per estrarre dalla sacca della befana un gioco di strategia, simulazione veridica della vita futura, impossibile da prevedere in costante involuzione sociale, il progresso, sul versante economico avanzava tra andirivieni, tipici nelle società a democrazia digitale, registrando, nel contempo, un arretramento civile e civico, unico per deprezzamento nella storia degli ultimi cinquant’anni.
Accade in questi casi, a portarne il peso delle colpe, le generazioni agli antipodi, I vecchi e i giovani, titolo di uno dei romanzi di Luigi Pirandello, anch’esso scritto a sancire lo scorcio di cambiamenti epocali, cioè i moti sanguinosi dei Fasci siciliani del 1893, in cui la contrapposizione tra clericali e liberali, funge da marcatore per la passata generazione corrotta e prevaricatrice, cattiva maestra dei figli, a loro volta continuatori delle nequizie dei padri. Mentre i primi impietosamente abbandonati a sé stessi sul finire della vita, in momenti di assoluta fragilità a espiare colpe imputabili all’egoismo scontavano i peccati di insolvenza morale, di miopia politica, di egoismi di ceto e di casta, i giovani, avendo conquistato il potere imperversavano peggio dei vecchi. Facile a dirsi: nulla di diverso dall’attuale presente.
Al riguardo, seppure valgano le parole del messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, obbligate dai fatti ma coraggiose a suggerire discontinuità, nell’esortare i giovani a combattere per appropriarsi del loro futuro, il gesto in sé sconta quell’uccisione del padre, vexata quaestio di matrice freudiana difficile a perpetrare, se non a prezzo di un feroce ed eversivo abbandono morale e materiale dell’immediato passato.
Svolta peraltro in atto, impressa dall’atteggiamento collettivo dei ragazzi, restii a sposarsi a formare famiglia, a generare marmocchi. Nel domandarsi il motivo del decremento delle nascite si comprenderebbe la rivolta di chi catapultato in questo mondo di pazzi, ha deciso di fermare la riproduzione di infelici!
Ebbene, a esplicitare il segno di questi due anni di galoppante pandemia, la perorazione di Papa Bergoglio, l’abbrivio di rispettare i vecchi, di non abbandonarli nel letto di dolore, accompagnarli nell’estremo viaggio. Ma quanto questa pietas, a richiamare la visione della fuga di Enea da Troia in fiamme con l’anziano padre Anchise sulle spalle e il figlioletto Ascanio tenuto per mano, può convincere i figli a soccorrere i padri a loro volta nei panni di Edipo, colpevoli dell’uccisione di Laio per copulare con la madre, Giocasta, simbolo imperituro del potere conquistato, a costo del parricidio?
Di buoni propositi è lastricata la via dell’inferno, diceva quel vecchio adagio di anni passati. E, forse, risponde a verità, se, un virus, possibilmente scappato da un laboratorio di genetica, ha messo non tanto e non solo, il mondo in ginocchio quanto modificato significativamente la mentalità, le abitudini, indotto riflessioni impensabili fino a un paio d’anni fa su tempi, ritmi e luoghi della società attuale. Dalla concezione e ripartizione del tempo dipende la vita di ciascuno di noi. Come dire, maledetto virus ci hai fermati, hai scandito ore, giorni, mesi e, finora, anni, costringendoci a riflettere, a cambiare scopi, obiettivi, a rifuggire dalla ripetitività, a selezionare gli impegni, ad avvicinarci a emozioni e sentimenti smarriti nel caos di una quotidianità galoppante, precedente la pandemia. Adesso gustiamo un viaggio, potendo partire, nel passato salivamo e scendevamo dall’aereo come stessimo viaggiando sul bus di città.
E, allora?
Guai ad augurare buon anno nuovo, in questo 2022, ti sentiresti rispondere che ci si potrebbe accontentare di uno anche usato migliore del precedente. Nella battuta, a riflettere, ci sta dentro l’intera lezione da trarre dalla pandemia, dove lo scontro tra tradizione e innovazione ha raggiunto lo zenit dell’equilibrio, ridimensionando la dittatura della tecnologia per riportarla a servizio dell’umanità e dando al passato il fascino dell’esperienza e il valore della conquista da preservare.
Auguri.
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