Da Romeo e Giulietta a Balbablù, i grandi rivisitati dai catanesi

Cultura | 29 dicembre 2019
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Non subisce arresti, nemmeno durante le festività di fine anno, l’intensissima stagione teatrale etnea che continua a proporre (tra il puzzle dei molti teatri di prosa sparsi nel tessuto urbano cittadino e il lirico “Bellini”) una rilevante quantità di performaces, non tutte allo stesso livello, ma tutte oscillanti tra messe in scena tradizionali e arditi tentativi di sperimentazioni, di cui qui si tenta di dare parziale resumé (con licenza di perdono dei non citati, per selezione resa necessaria da improvvide coincidenze). 

Un per Catania quasi inedito e insolito Anton Cechov, a tratti addirittura esilarante, ha proposto poco prima di Natale il teatro “L’Istrione” che - con la mordace regia di Filippo Brazzavente (anche attore) - ha portato in palcoscenico con apprezzabile scelta due brevi pièces dello scrittore e drammaturgo russo, L’Orso e La domanda di matrimonio. Un ameno tandem con il quale l’autore (fustigatore – ricorda il regista – del “decadimento morale e intellettuale della società russa”) esplora, con apparente leggerezza, repentini capovolgimenti sentimentali e meschinità dell’animo umano, rendendo la narrazione (per quanto radicata nella realtà della Russia zarista dell’ 800) quasi metastorica, individuandone immodificabili e inconfessabili costanti. 

Pregevole, ragguardevole, coinvolgente prova della “troika” impegnata nelle due recite – Filipppo Brazzavente, Debora Bernardi e Antonio Rapisarda – tutti repentinamente “trasformisti”, passati da una prima ad una seconda recita dando vita a personaggi caratterialmente diametralmente opposti ai precedenti. Con spericolata rivisitazione shakespiriana l’immortale e tragico amore dei due amanti adolescenti di Verona, è tornato sul palco dello Stabile etneo con Romeo e Giulietta (ovvero la perdita dei padri) drammaturgia di Francesca Macrì e Andrea Trapani (drammaturgia musicale Luca Tilli), laddove Capuleti e Montecchi si affrontano in campo aperto in un brutale e urlante scontro “calcistico”, mentre la presenza dei padri (unici due attori professionisti, Andrea Romagnoli e Andrea Trapani, tra dodici giovani d’ambo i sessi) ne mostra drammaticamente l’enorme, incolmabile, distanza tra genitori e figli, questi ultimi vittime inconsapevoli d’una lotta atavica nella quale si lanciano autodistruggendosi quando ancora agli albori della vita ne hanno saggiato soltanto un vago e indistinguibile effluvio. Apprezzabile progetto drammaturgico che tende ad avvicinare i giovani al teatro. 

E sempre in tema di “trasgressioni” stavolta è stato il “tradizionale” Teatro Massimo Bellini a stupire il pubblico con una superba e movimentata Cenerentola, celebre dramma giocoso di Rossini, divenuto “etneo” attraverso location riprodotte in gigantografie e riprese cinematografiche tutte catanesi proiettate sul grande fondale del teatro (perfino con una fittizia eruzione dell’Etna alla fine del primo atto o ancora con gli interpreti mostrati a passeggio tra gli afrori della “pescheria”...) dall’impeccabile esecuzione canora del cast e musicale dell’orchestra diretta da José Miguel Pérez-Sierra, la regia di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi; maestro del coro Luigi Petrozziello. Non meno “sconvolgente” il classico, ma qui totalmente stravolto, Schiaccianoci (in scena con la rodata Compagnia del Balletto di Roma) celeberrimo balletto natalizio di Cajkovskij nella versione ideata e coreografata da Massino Volpini (coproduzione Teatro di Messina e Bellini di Catania), qui divenuto contrapposizione di due classi sociali (da una parte ribelli privi di dimora e dall’altra, oltre un muro che fisicamente li separa, un’indefinibile diversità di umani), ma con un ritorno nella seconda parte ad una più placida tradizione “tra danze e personaggi bizzarri”. Qui nessun soldatino, ma un principe e la donna amata in fuga impossibile che superato il muro affronteranno nuovi pericoli, per comprendere infine che nessuna “liberazione” è possibile, pur avendo intrapreso ed accettato la una nuova vita anelata. 

Coloratissimo, risplendente di luci, scoppiettante, pirotecnico, fantasioso e poetico Il principe ranocchio (al Teatro “Brancati”), musical ispirato al racconto dei fratelli Grimm, riadattato per le scene da Giuseppe Bisicchia, autore della regia insieme a Massimo Giustolisi (coppia già onusta di successi) per una produzione “Buio in Sala” con voce Lorella Cuccarini (prologo). La celeberrima fiaba evergreen ha divertito adulti e adolescenti (in un teatro stracolmo) con la briosa recitazione di una ben collaudata compagnia di attori (interpreti principali: Daniele Virzì, il principe; Floriana Renna e Massimo Giustolisi). 

Inquietante, nerissimo, simbolo della violenza contro le donne, al “Piccolo Teatro della Città” (nei giorni 28 e 29 dicembre), è andato in scena il terrificante monologo Balbablù scritto dalla giovane Costanza Di Quattro (che si scopre talentuosa drammaturga dalla scrittura fittissima e dal notevole scavo psicologico) speditamente narrato da un baldanzoso Mario Incudine (quasi in stato di grazia) e musiche dal vivo eseguite dall’altrettanto talentuoso Antonio Vasta, impeccabile regia di Moni Ovadia e Gianpaolo Romania. Raccapricciante fiaba di Perrault la vicenda del ricchissimo e spaventoso sanguinario uxoricida, qui assunta al di fuori di ogni intento pedagogico, diviene emblema d’estremo, omicida, maschilismo che, attraverso la narrazione del suo raccapriciante mentore, elabora agghiaccianti “spiegazioni-confessioni” degli efferati delitti nello spazio d’una suggestiva e coreografica messa in scena decisamente ammaliante.

 di Franco La Magna

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