Da Piazza Armerina a Pechino, la rivoluzione cinese di Prospero Intorcetta
Era convinto di scorgere nel pensiero confuciano una religiosità naturale, un orizzonte esotico in grado di orientare una nuova strategia per evangelizzare la Cina. Era questo, in estrema sintesi, il tratto caratteristico dell’opera di Prospero Intorcetta, nato in Sicilia nel 1625. Gesuita e missionario in Cina è una figura centrale nella storia della sinologia. La sua opera torna alla ribalta grazie alla recente traduzione in inglese di uno dei suoi libri meno noti. Il volume “Zhongyong, la costante pratica del giusto mezzo” è stato presentato a Palermo presso l’Oratorio di Sant’Elena e Costantino. Un nuovo contributo scientifico che è stato dedicato all’opera del gesuita primo traduttore di Confucio in latino in Europa. Il nuovo volume, stampato in una preziosa veste grafica, è stato curato dal latinista e professore di Filologia italiana, Rodney Lokaj e da Alessandro Tosco, sinologo e direttore dell’Istituto Confucio di Enna. Il nuovo testo presentato è una comparazione filologica che si inquadra nel solco della tradizione alessandrino-origeniana degli hexalpa. Una formulazione in sei colonne che pone al fianco del testo pubblicato da Intorcetta anche la nuova traduzione in inglese e quella in cinese come è noto oggi. Alla presentazione hanno partecipato i vertici delle istituzioni siciliane impegnate nell’opera di valorizzazione del gesuita siciliano.
Attività scientifiche come queste rivestono un grande valore ma non nascondono un duplice portato. Proprio come era accaduto tre secoli prima, quando il sinologo nato a Piazza Armerina, all’epoca un eccentrico villaggio nel cuore dell’isola, intraprese la perigliosa avventura missionaria. A sedici anni fu inviato presso il Collegio dei gesuiti di Catania ove operava lo zio, Francesco Intorcetta, teologo di fama. Passò successivamente al Collegio di Messina per conseguire l’ordinamento sacerdotale. Dopo una breve parentesi a Palermo, decise di recarsi in Cina come missionario. Il lungo viaggio cominciato a Lisbona dai seguaci di Sant’Ignazio di Loyola si concluse a Goa, principale approdo dell’impero coloniale portoghese. La delegazione dei gesuiti europei si spostò nel 1658 a Macao. Intorcetta fece il suo ingresso nel territorio dell’Impero Cinese il XVIemo anno del regno di Chun-Tchi (1659). Destinato alla missione di Jianchang (l’odierna Nachang) presso la regione dello Jiangxi. Gli affidarono l’incarico della comunità cristiana di Kien-Tsaian ove edificò una chiesa grazie alla benevolenza dell’imperatore Xun-Chi. La sua lunga permanenza cinese fu improntata all’insegna dello studio della cultura del drago cinese. Un processo di assimilazione che accomunava tutte le attività missionarie intraprese dalla Compagnia di Gesù. Permanenza di quasi quaranta anni nella terra del fiume Giallo che procurò a Prosperò Intorcetta grandi onori ma anche terribili torture e una detenzione in una oscura prigione di Canton. Il passaggio dalla dinastia Ming a quella Tsing fu accompagnata da gravi moti insurrezionali che presto sfociarono in una sanguinosa guerra civile. Il gesuita siciliano che dopo lunghi tentativi era stato accolto a corte, fu accusato di complottare contro il nuovo ordine. Nel settembre del 1665, l’imperatore Kanxi ordinò l’arresto dei missionari gesuiti. Intorcetta fu accusato di aver capeggiato una banda di cinquecento sediziosi. L’edificio sacro che lui aveva innalzato fu distrutto. Il gesuita siciliano fu arrestato e tradotto nel carcere di Pechino. Condannato alla battitura e all’esilio in Tartarìa, ottenne la commutazione della pena in detenzione. Nel 1666 con altri ventiquattro correligiosi fu trasferito nel carcere di Canton. Intorcetta riuscì ad evadere con uno stratagemma. Si fece sostituire da un altro prelato, giunto appositamente da Macao per prendere il suo posto. Riuscì a racimolare una provvigione di venti scudi d’oro che gli consentirono di raggiungere Goa e imbarcarsi alla volta dell’Europa. Era il 21 gennaio del 1669. Facendo scalo a Lisbona e Genova giunse a Roma nei primi mesi del 1671. Presso la Curia romana, al cospetto del Papa, relazionò il suo “Compendiosa narrazione dello stato della Missione in Cina”. Intorcetta era giunto al cospetto del pontefice portando in dono non solo le sue traduzioni, ma soprattutto una nuova intuizione. Un suggerimento rivolto alla diplomazia vaticana, una nuova strategia per evangelizzare la Cina. Chiusa la parentesi romana, il gesuita siciliano raggiunse Palermo nello stesso anno. Per l’occasione i suoi confratelli fecero eseguire un dipinto che lo ritrae nelle sembianze di un saggio cinese. Intorcetta aveva da poco compiuto 46 anni. Lo sguardo fiero e deciso è incorniciato da una folta barba e lunghi capelli sormontati da un copricapo all’uso dei letterati cinesi. La tela è affollata da numerose figurazioni simboliche. Il missionario cinge nella mano destra un ventaglio con incisi ideogrammi cinesi. Nei lati superiori del quadro figurano un astro e la prua di una nave. Ai lati del gesuita due figure femminili a simboleggiare i due continenti. Il ritratto dopo la soppressione della Compagnia di Gesù operata in Sicilia nel 1769, fu acquisito dalla Biblioteca comunale di Palermo nella cui quadreria è attualmente custodito. Nel 1885, il pittore Luigi Pizzillo, ne eseguì una copia per la sala del consiglio comunale di Piazza Armerina. Nel corso del suo soggiorno isolano, Intorcetta consegnò ai suoi confratelli siciliani una copia del suo libro “Sinarum Scientia Politico Moralis”, come attesta la nota manoscritta apposta sul frontespizio: Bibliothecae Domus Professae Panorm Societatis Jesu. Una copia del libro è attualmente custodita presso la Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” di Palermo. Nel 1673, sull’onda degli studi sinologici di Matteo Ricci, la traduzione in latino operata dal gesuita Prospero Intorcetta, riscosse un enorme successo presso la società letteraria dell’epoca. L’opera venne inserita da Melchisédech Thévenot, responsabile della Biblioteca Reale di Parigi, nel volume La science des Chinois. Un trattato che raccoglieva le relazioni di viaggio e le notizie relative ai “Mondi Sconosciuti”. Il libro si inseriva in un contesto di fascinazione settecentesca per le chinoiserie. Parigi fu in quegli anni il centro propulsivo di irradiazione delle conoscenze sull’Impero del Drago. Il Re Sole volle a Parigi la Société des missions étrangères, il quartier generale dei gesuiti. Prospero Intorcetta ripartì per la Cina il 15 marzo del 1673. Non fece più ritorno in Occidente. La traversata si rivelò un viaggio orrendo. Una terribile pestilenza scatenatasi a bordo decimò equipaggio e passeggeri. Dei dodici gesuiti imbarcati si salvarono solo in due. Il ritorno di Intorcetta in Cina fu salutato da prestigiosi incarichi che gli vennero tributati. Nel 1676 fu nominato Visitatore delle missioni di Cina e Giappone. Per tre anni, dal 1678 al 1690 fu Vice Provinciale della Cina e quindi superiore della Casa dei Gesuiti di Hang-tcheon, capitale del Tche-kiang. Una nuova ondata di persecuzioni di abbatterà ancora sulle missioni cristiane. La repressione fu operata dal governatore del Tche-kiang che ordinò di bruciare la preziosa biblioteca della Casa dei Gesuiti e trasformò la chiesa in un tempio di idoli pagani. Nel 1692 l’imperatore Kang-Hsi ordinò la fine delle persecuzioni. All’età di 72 anni, Intorcetta rendeva l’anima a Dio nella città di Hang-tchean. Era il 3 ottobre del 1696. Aveva vissuto il suo apostolato cinese per 37 anni con un unico obiettivo: l’interlocuzione tra Europa e Cina affidato alla civiltà della parola, ai segni, alla sapienza divina, alla politica del confronto. Fu sepolto nella città di Hangzhou. Sulla sua tomba, con un vezzo eccentrico, volle si scrivesse: di nazione siciliano, di patria piazzese e la trascrizione fonetica del suo nome cinese Yn to Ce Kio ssè.
Dopo tre secoli l’opera del gesuita siciliano riveste ancora la stessa valenza. La ristampa dei suoi volumi, i convegni dedicati alla sua opera, assumono sempre più la connotazione di nuovo ambasciatore culturale. Nessuno ormai fa mistero che il l’intento epocale della diplomazia vaticana sia quello di agognare un nuovo ritorno in Cina dove si fronteggiano due chiese cristiane, quella governativa e una semiclandestina. Fino ad oggi, nella Cina del nuovo Ordine mondiale non c’è ancora spazio per la libertà di culto. Accade per ogni religione, come il conflitto irrisolto con il buddismo e l’esilio del suo più alto esponente, Sua Santità il Dalai Lama. Un minuscolo volume in carta di gelso dunque, per ricostruire un ponte tra Oriente e Occidente. Operazione infranta, tre secoli prima, per una duplice motivazione, da una parte l’ostilità dei francescani e dei domenicani, tradizionalmente avversari dei gesuiti. Dall’altra la nascente epopea della rivoluzione francese che costrinse l’Europa a distogliere la sua attenzione dall’Oriente per concentrarsi sul nuovo ordine europeo. La speranza è che, ancora una volta, non venga inficiata la potenza del pensiero di Prospero Intorcetta. Il rischio è che trasformarlo in un santino da portare in processione nelle sale dei convegni e in quelle delle diplomazia untuosa possa far perdere di vista la modernità del suo pensiero.
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