Da Fava a Cutuli la Spoon river parla siciliano
NELLA Spoon River italiana le lapidi siciliane sono le più numerose, a cominciare da quelle dei ventisette magistrati falciati dalla mafia. Pochi i morti nel proprio letto, tante le vittime innocenti sterminate dal piombo malavitoso, qualche boss arrivato al capolinea della vita per i fatti suoi e altri caduti sotto il fuoco degli ex amici. È una sorta di librocimitero "Dormono sulla collina", 1262 pagine in cui Giacomo Di Girolamo racconta quarantasei anni di storia italiana, a partire dal 12 dicembre 1969, quando la bomba esplosa a piazza Fontana a Milano - 17 morti e 80 feriti - fuorvia il nostro futuro verso labirinti oscuri, ancora in parte da esplorare.
L' autore in ordine cronologico racconta la grande storia attraverso la voce di chi in essa ha avuto una parte; migliaia di personaggi che si muovono accodati nel calendario per aiutarci a dipanare i fili di troppi misteri. Morti che parlano, ed ecco la somiglianza con la Spoon River dell' inarrivabile Edgard Lee Masters, che prima ispira Fabrizio De Andrè e ora suggerisce il titolo a questo monumentale testo. Tra i tantissimi palermitani testimoni del loro dolore vogliamo dare subito la parola a due anime belle, due bambini finiti nelle fauci dei mostri per colpe non loro. Ecco come spiegano quel che hanno capito della loro malasorte.
Domino: «Avevo 11 anni. Negli occhi, la primavera. Come tutti i bambini. Ero figlio del gestore del servizio di pulizia dell' aula bunker del maxiprocesso di Palermo. La sera del 7 ottobre 1986 stavo passeggiando nel quartiere San Lorenzo. Un uomo mi chiama. Io mi giro. Lui mi spara un colpo in fronte. Scompare con la motocicletta tra gli alberi del viale». Giuseppe Di Matteo: «"U canuzzu" mi chiamavano. Il cagnolino. Giovanni Brusca che dice a uno dei suoi: "Liberati del canuzzo". Indica una larva, un corpicino che non pesa neanche trenta chili: sono io.
Delle dita che affondano sul mio corpo come fosse burro. Poi l' acido, come una liberazione ». Povero bimbo, come un ebreo dei nostri tempi, torturato oltre ogni immaginazione perché figlio di un pentito. Nel museo della memoria criminale che questo libro (edito da "Il saggiatore", 24 euro, la presentazione alle 18,30 da Modsuvivendi) rappresenta, Claudio e Giuseppe sono il culmine di ogni possibile orrore. Simbolo della deriva disumana della società deviata. Due cuccioli d' uomo seviziati per inviare messaggi funesti al contaminato mondo degli adulti. Apre il viale siciliano dei dormienti sulla collina Mauro De Mauro, il giornalista de "L' Ora" rapito il 16 settembre del 1970 davanti alla soglia di casa in via Delle Magnolie. Finito incastrato nei torbidi ingranaggi isolani.
Come suggerisce lui stesso: «Un gor- go intossicato di piste, voci, veleni, polveroni e depistaggi». Le ultime lapidi - per fortuna non lordate di sangue - sono quelle di Agnese Borsellino («Ora so perché dopo la morte di Paolo mi facevano tutte quelle domande. Era la loro strategia della sopravvivenza: tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta e invece è la fine del mondo!») e del filosofo Manlio Sgalambro («Mi piaceva scrivere canzoni con Battiato. In tre minuti, a volte, dici molto di più di un intero trattato di centinaia di pagine e parli a tutti»).
Tra i primi e gli ultimi, decenni di Sicilia lacerata, dove a fronte di poche decine di scrittori, poeti, pittori, attori, politici, passati all' altra vita per cause naturali (Stefano Pirandello, Renato Guttuso, Ugo La Malfa, Luigi Pintor, Leonardo Sciascia, Sandro Paternostro, Enrico Cuccia, Elvira ed Enzo Sellerio, Vincenzo Consolo) centinai di poveri cristi crivellati dal piombo: da Falcone, Borsellino con Francesca Morvillo e gli uomini delle scorte, una scia interminabile, Michele Reina, Pietro Scaglione, Boris Giuliano, Giovanni Spampinato, Cesare Terranova, Rocco Chinnici, Piesanti Mattarella, Mario D' Aleo, Emanuele Basile, Ninni Cassarà Mario Francese, Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Beppe Alfano, Pippo Fava, Roberto Parisi, Calogero Zucchetto, Pio La Torre, Carlo Alberto dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e tanti altri servitori dello Stato, scorte in prima fila. Tutti a ricordarci le atrocità di questo mondo. Come fanno tre grandi donne: Serafina Battaglia «Negli anni Sessanta ho visto morire mio marito e i miei figli. Era la guerra di mafia. Un giorno in tribunale, avvolta nel mio scialle nero mi avvicino a Marco Semilia e urlo: "Tu hai bevuto il sangue di mio figlio Totuccio e perciò io, qui, davanti a Dio e agli uomini, ti sputo in faccia"». Poi aggiunge: «I mafiosi sono pupi. Fanno gli spavaldi solo con chi ha paura di loro, ma se si ha il coraggio di attaccarli diventano vigliacchi.
Non sono uomini d' onore ma pezze da piedi». Felicia Impastato: «Già appena sposata ci fu l' inferno. Mio marito Luigi attaccava lite per tutto e non si doveva mai sapere quello che faceva, dove andava... Io gli dicevo se mi porti qualcuno dentro, che so, un mafioso, un latitante, io me ne vado da mia madre. Con Peppino poi era una lotta continua. Lui stampava i volantini contro la mafia e io andavo a nasconderli, perché avevo paura, anche se sapevo che la sua era una causa giusta... Non sono mai stata in silenzio. Il silenzio è di chi vuole vendetta. Io, invece, volevo giustizia, e in tribunale ho puntato il dito contro Tano Badalamenti e gliel' ho detto: tu hai fatto uccidere mio figlio ». E Maria Grazia Cutuli: «"Nascoste, invisibili, assenti: non si vedono donne a Jalalabad. Non ci sono donne tra chi fa la guerra, ge- stisce il potere, decide il futuro". Il mio ultimo pezzo.
Poi i talebani mi hanno ammazzata». Nei cimiteri, come si sa, buoni e cattivi a volte stanno dirimpetto, così accanto a questi galantuomini fior di delinquenti. Qui la lista è più lunga: Il primo è Joe Adonis. Poi a valanga: Giuseppe Genco Russo, Giuseppe Di Cristina, Luigi Impastato, Stefano Bontade, Totuccio Inzerillo, Michele Sindona, e così via in una catena inesauribile. «Giacomo Di Girolamo già autore di "Invisibile" e "Cosa grigia" - scrive Andrea Gentile nella prefazione - si configura a tutti gli effetti come uno scrittore per eccellenza. Percorre i sentieri della scrittura come immersione; scrittore che esonda, quando la corrente è lieve; che carezza, quando ci sarebbe da sferrare un pugno».
Dopo tanti elogi qualche nota critica: il libro mette insieme troppe cose, da "Portobello" ai morti di Aids,dal Porcellum alMaurizio Costanzo show. E a forza di dilatare il cimitero, il nostro Spoon River finisce a volte nel ricadere in una sorta di contabilità della morte. Così a pagine di lirismo alto ne seguono altre di bassa tensione. Comunque un testo prezioso, anche dopo averlo letto, per consultare quel che serve alla memoria per nutrire la vita. E mi perdonino i "morti buoni" dimenticati in questo articolo.(La Repubblica)
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