Da American snipers all'amore bugiardo, i film da vedere o evitare

Cultura | 23 gennaio 2015
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Hungry hearts, American sniper, Asterix e il regno degli dei, Big Eyes, Sul vulcano, Jimmy’s hall, L’amore bugiardo.

Hungry hearts (2014) di Saverio Costanzo. Claustrofobico, intimista onusto di primi e primissimi piani con pochissimi, essenziali esterni, un dramma familiare potente nel suo studiato minimalismo. Da un romanzo di Marco Franzoso (“Il bambino indaco”, pubblicato da Einaudi) Costanzo ricava una storia solo “per avventura” americana (e non stiamo ad indagare su motivi produttivi e distributivi), penetrando con raro acume psicologico ed entomologa profondità d’analisi in un rapporto di coppia devastato da una donna “placidamente” psicopatica, che rischia d’ammazzare il proprio bambino per preservarne la “purezza” con un’alimentazione aproteica, atta a proteggerlo dalla contaminazione del mondo. Con un andamento da thriller, in un crescendo da incubo, la tragedia finale ne suggella la non banale conclusione. La colonna sonora di Piovani si dimentica quando s’ascolta sui titoli di coda la struggente e sensuale “Tu si ‘na cosa grande” di Modugno, che chiude una funesta storia d’amore comicamente iniziata nella toilette d’un ristorante cinese.                                                                                                                                           Interpreti: Adam Driver - Alba Rohrwacher - Jake Weber - Victor Williams - Natalie Gold - Victoria Cartagena - Cristina J. Huie - Toshiko Onizawa - David Aaron Baker - Roberta Maxwell - Dennis Rees - Ginger Kearns - Jason Selvig - Katherine O'Sullivan.

American sniper (2014) di Clint Eastwood. Nessun intento indagatorio su cause e motivi della guerra americana in Iraq. Eastwood si limita a seguire le ragioni individuali d’un “eroe”, il cecchino USA divenuto “leggenda” per aver ucciso 160 uomini (dagli iraqueni ribattezzato “il diavolo”), che divide “sciascianamente” gli uomini in pecore, lupi e cani da pastore (questi ultimi destinati a proteggere le pecore). Il cecchino Chris Kyle sente su se stesso una sorte d’investitura salvifica, quasi religiosa, per quanto mai fanatica, carica di dubbi ma sempre al di sopra d’ogni altra “missione” terrena. Una sofferta riflessione sulla guerra e sull’odio che avvelena il mondo, mostrata con una narrazione asciutta priva d’insistiti e inutili accanimenti. Tratto dal libro "American Sniper: The Autobiography of the Most Lethal Sniper in U.S. Military History".                           Interpreti:Sienna Miller - Bradley Cooper - Jake McDorman - Brian Hallisay - Kyle Gallner - Luke Grimes - Brando Eaton - Sam Jaeger - Eric Close - Keir O'Donnell - Eric Ladin - Marnette Patterson

Asterix e il regno degli dei (2014) di Alexandre Astier e Louise Clichy. Riecco, inalterato, tutto il comico revanscismo dei francesi che con Asterix, Obelix e la magica pozione resistono, nel loro sperduto villaggio, alla potenza di Cesare, già conquistatore dell’intera Gallia. Trasferita da Roma alle soglie dell’irriducibile villaggio gallico, un’intera comunità di cittadini dell’urbe laziale ne sconvolgerà la vita, facendo lievitare i prezzi, provocando guerre commerciali e pericolosi appetiti mercantili. Ma, come sempre, alla fine sconfitto Cesare e le sue legioni saranno tutti costretti a ripiegare, mentre l’intero insediamento romano verrà distrutto da Obelix rinforzato da una dose suppletiva di pozione. Ottava puntata dalle saga (la prima realizzata al computer) che strappa  momenti di divertimento, ma mostra ormai la stanchezza d’una formula divenuta ripetitiva fino alla nausea.  

Big eyes (2014) di Tim Burton. <<…il mio "Big Eyes" è semplicemente un atto d'amore per quei quadri di trovatelli dagli occhi planetari. Le loro sono solitudini incolmabili espresse da impassibili sguardi accusatori. Il mio cinema e tutti i miei incubi sono già dentro quelle cornici. I dipinti dei Keane, di cui comunque sono pieni i musei e le collezioni di un mucchio di star hollywoodiane, da Joan Crawford a Natalie Wood, da Kim Novak a Jerry Lewis, sono all'origine dei miei primi fantasmi cinematografici. Hanno fatto persino capolino in "Beetlejuice" e in "The Nightmare before Christmas". Il bimbetto del mio corto d'esordio, Vincent, aveva incollati sulla faccia a triangolo due globuli "alla Keane". E ovviamente anche “La sposa cadavere” ha lo stesso gonfiore oculare di quei bambini sepolcrali>>. Così il californiano Tim Burton spiega, in un’intervista rilasciata prima dell’uscita del film, origini e ragioni della sua ultima creazione cinematografica, incredibilmente del tutto avulsa da accensioni fantastiche (e tantomeno del consueto horror-soft  dei lavori precedenti), fondando realisticamente il racconto sulla “schiavitù” artistica e morale della pittrice Margaret Keane, oppressa da un marito-despota malefico genio del marketing, che impadronendosi della paternità dei dipinti della moglie assurge a fama mondiale e diviene in pochi anni ultramiliardario. Dell’incredibile, stremata, remissività e accettazione del ruolo subalterno l’ancor vivente Keane (ma siamo in anni piuttosto lontani dalla rivoluzione femminista) riuscirà a liberarsi soltanto dopo un decennio di avvilente e straniante sfruttamento, finalmente denunciando il coniuge (morto nel 2000) che, incapace di dipingere, verrà condannato dopo una sfida in diretta “all’ultimo olio”. Un irriconoscibile Tim Burton firma il suo personale tributo-liberazione ai fantasmi e alle ossessioni del passato, pencolando tra grottesco e faticosa emancipazione femminile, ma costruendo un film troppo condizionato dall’ansia di verità, privo di colpi di regia e di fantasia. Una noiosa e piatta storia di plagio, che - di fronte all’annosa acquiescenza della frustratissima Keane, incapace di reagire fino al 1986 alla spocchia truffaldina del coniuge-despota-affarista - lascia allo spettatore solo conati di rabbia impotente e spossata incredulità.                                                        Interpreti: Amy Adams - Krysten Ritter - Christoph Waltz - Jason Schwartzman - Terence Stamp - Danny Huston - Elisabetta Fantone - Leela Savasta - Jon Polito - Pomaika'i Brown.

Sul vulcano (2014) di Gianfranco Pannone. Un fatalismo attivo, una rassegnazione consapevole, domina la storica ostinazione delle migliaia di partenopei abbarbicati sulle pendici dell’incombente e pericolosissimo Vesuvio,  tutt’intorno devastato dalla “concentrazione demografica più alta d’Europa”, come spiega una guida agli atterriti ed esterrefatti turisti. Croce e delizia d’un orrido e meraviglioso lembo di Campania, il gigante Vesuvio è al centro della riflessione “morale” dell’ultimo documentario del regista Gianfranco Pannone (anche soggettista e sceneggiatore, insegnante al DAMS, all’Università degli Studi Roma 3 e al Centro Sperimentale di Cinematografia, saggista e autore)  napoletano trapiantato a Roma, Pannone decifra - attraverso alcune emblematiche figure ricorrenti (una giovane cantante neomelodica, una floricultrice, Matteo) ed altri locali - il rapporto degli stanziali con il vulcano, da sempre ondeggiante tra la non rimossa - ma latente - paura del risveglio e la cognizione d’un privilegio ambientale, quello di vivere in un territorio (per quanto sfregiato dalla lebbra cementizia) pressoché unico al mondo. Linguisticamente interessante la sfasatura tra intervista e immagine (spesso gl’intervistati vengono mostrati con la loro stessa voce fuori campo) - prodotto da RAI Cinema, Istituto LUCE e Blue Film - “Sul vulcano” gode (oltre che dell’apporto di terrificanti immagini di repertorio sulle distruzioni compiute dalle eruzioni) dell’apporto letterario corale di una serie di scrittori che sul Vesuvio hanno scritto pagine appassionate e indimenticabili componimenti - da Plino il giovane a Curzio Malaparte, da Matilde Serao a Giacomo Leopardi - recitate sempre fuori campo da una nutrita pattuglia di sperimentate voci narranti (Toni Servillo, Donatella Finocchiaro, Fabrizio Gifuni, Leo Gullotta, Iaia Forte, Enzo Moscato, Renato Carpentieri, Aniello Arena) e d’una triade di “testimoni” (Maria Perfetto, Matteo Fraterno e Yole Loquercio). Non sottovalutate le annose problematiche sociali (disoccupazione, droga, delinquenza…) d’un’area metropolitana sempre più vicina al collasso. Distribuzione claudicante nelle sale cinematografiche (come spessissimo avviene per il documentarismo, nonostante la resurrezione del genere negli ultimi tre lustri), ma visibilità assicurata al grande pubblico con alcuni sicuri passaggi televisivi futuri.          

Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà (2014) di Ken Loach. Non si arresta la vena creativa del quasi ottantenne Ken Loach, da sempre cantore della classe operaia britannica, strenuo difensore delle libertà democratiche e oppositore d’ogni forma di dispotismo pubblico e privato. Attraverso una lunga filmografia a partire dagli scioccanti “Por Cow” (1967) e “Family Life” (1971) fino alle prove più recenti, il cinema di Loach ha sempre privilegiato la lotta per la libertà e la piena affermazione dell’individuo, anche quando questi temi sembrano celati dalla forma commedia, come nel recente e divertente “La parte degli angeli” (2013) - singolare riscatto sociale d’un piccolo spaccato di umili ed emarginati - che ne rivela l’eclettismo artistico ed al contempo la rara e preziosa coerenza ideologica e morale. Con “Jimmy’s Hall - Una storia d’amore e libertà” Loach torna (dopo “Il vento che accarezza l’erba”, 2005) in una Irlanda apparentemente pacificata degli anni ‘20 post guerra civile tra indipendentisti e repubblicani (dopo che questi ultimi avevano accolto il trattato imposto dalla Gran Bretagna). Personaggio chiave il “ribelle” Jimmy Gralton, tornato dopo dieci anni di esilio, assurto a simbolo strenuamente combattivo d’opposizione contro i ricchi proprietari terrieri e il pericoloso bigottismo della potente Chiesa cattolica, alla fine clamorosamente e vergognosamente espulso dal suo paese (nel quale non tornerà mai più) senza processo. Autodidatta, allevato da una madre colta e tollerante, con Jimmy Gralton e l’allegra sala da ballo da lui ricostruita - da subito divenuta altresì centro di aggregazione culturale e di libero confronto di idee e progetti, non tollerabile nel clima di totale chiusura e di continua repressione delle legittime istanze delle classi meno abbienti - Loach ha impartito senza alcuna iattanza, con il suo stile denso e asciutto, una lezione di storia, riesumando opportunamente una microstoria dimenticata che insegna quanto sia stato faticoso e tormentato il cammino verso l’affermazione dell’emancipazione del mondo (laddove questa si è realizzata) da ogni brutale o subdola forma di tirannide.                                                                                                               Interpreti: Barry Ward - Simone Kirby - Andrew Scott - Jim Norton - Brían F. O'Byrne - Francis Magee - Seamus Hughes - Karl Geary - Sorcha Fox - Denise Gough - Martin Lucey - Aisling Franciosi - Seán T. Ó Meallaigh

L’amore bugiardo (2014) di David Fincher. Di dark ladies la letteratura mondiale abbonda e di conseguenza il cinema che con la pagina scritta ha sempre avuto, fin dai primordi, un rapporto strettissimo, quasi consustanziale. Si pensi tra tutte, tanto per restare in Italia, alla diabolica Irene (una straordinaria  Dominique Sanda, miglior interpretazione femminile a Cannes nel 1976) de “L’eredità Ferramonti” dal romanzo del dimenticato verista Gaetano Carlo Chelli trasposto in film nel 1976 da un ispirato Bolognini, che s’ingegna a rendere la protagonista ancor più rapace e malvagia di quanto non sia nel racconto di Chelli, quasi un eroina nicciana al di la del bene e del male, alla fine però castigata dalla “giustizia” trionfante di quelle da lei sprezzantemente definite “rispettabili mediocrità”. Il cinema americano, poi, di anime nere è un vero e proprio santuario. Dalla Barbara Stenwich de La fiamma del peccato alla Sharon Stone di Basic Instinct l’impressionante rosario ne sciorina una vera e propria gragnola. Il fascino sinistro del male, spesso celato nelle persone più anonime e banali.                                                                                                         Così non è, tuttavia, per l’eclettico David Fincher, che spericola da Alien a Benjamin Button fino a MillenniumSocial Netwok, il quale ancora una volta non manca di sorprendere critica e spettatori attingendo abbondante materia di scandalo e preoccupazione da un osannato best-seller di Gilliam Flynn, per disegnare un ritratto a tutto tondo d’una “femmina folle” (il riferimento al film di John Stahl del 1945 non è casuale), che definire satanica accresce la malvagità del Signore delle tenebre, tanto l’incredibile scaltrezza paranoica della protagonista ne spinge le azioni oltre ogni umana pietas e moralità. Incarnazione del male non è, infatti, un’oscura casalinga d’una sperduta provincia americana bensì un’ eroina adorata da milioni di fans più o meno esagitati, l’apparentemente docile e dolcissima scrittrice di successo Amy la quale, mortalmente offesa nell’amor proprio, invece di rassegnarsi (dopo un travolgente incipit d’amour fou) al fallimento del proprio matrimonio (che tutti credono perfetto) con Nick, anch’egli docente e scrittore per quanto mediocre e pressoché sconosciuto, inscena al compimento del quinto anno di stiracchiata vita coniugale una misteriosa scomparsa, ma lasciandosi dietro una serie d’indizi (una vera e propria “caccia al tesoro”, favorendo artatamente la polizia) che fanno credere ad un efferato omicidio compiuto dal maldestro e fedifrago marito, ora odiato.                                                                                                                                  Disseminato di colpi di scena (sono fuori dal comune le capacità della paranoica ma straordinariamente lucida Amy che, compiendo un feroce omicidio e fingendo un rapimento, riesce a trasformare l’apparente disfatta - alla quale sul finire sembra destinata - nel totale trionfo del male) il pur affascinante film di Fincher pare sgorgare da una sorta di puzzle, di  pot-pourri di opere precedenti, un intrigante mélange, un collage di déjà-vu, al centro del quale ad accendere la scintilla della vendetta si trova il motivo più stucchevole e banale, ovvero l’esistenza d’una giuliva amante-allieva del marito, giovane e mediamente cretina (altro immancabile stereotipo). Poi, mentre impazza il colpevolista “grande carnevale” dei media (Billy Wilder docet) orchestrato dall’eccitata conduttrice d’un programma televisivo in cerca di sensazionalismi, dopo aver seguito le tribolazioni di Nick (prima soltanto sospettato e poi accusato dell’omicidio della moglie) nella seconda parte il racconto si sposta sulla nuova vita di Amy  (hitchcockiana donna che visse due volte) rivelandone passo dopo passo il mefistofelico piano per incastrare il marito, tampinandone le mosse successive alla scomparsa (in sovraimpressione appare più volte il numero delle ore poi dei giorni successivi alla sparizione).                                                                                               Nel pirandelliano carnevale della vita dove tutti mentono e tutti fingono di amarsi, mentre covano in realtà non appalesabile odio profondo e inestinguibile, il thriller di Fincher chiude con la più sconfortante delle conclusioni: il clamoroso fallimento della giustizia umana e quello del rapporto di coppia, simboleggiato da un matrimonio trasformatosi ormai in un incubo senza fine.                                                                              Interpreti: Rosamund Pike - Ben Affleck - Missi Pyle - Sela Ward - Neil Patrick Harris - Scoot McNairy - Carrie Coon - Boyd Holbrook - Emily Ratajkowski - Kim Dickens - Tyler Perry - Patrick Fugit - Lee Norris - Kathleen Rose Perkins - Casey Wilson.


 


          

 

 

 di Franco La Magna

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