Cultura ed impegno sociale in tempo di Covid 19, tra reale e virtuale
Nel celeberrimo "Cose di cosa nostra", Giovanni Falcone diede a Marcelle Padovani un assioma fondamentale, poi da egli stesso ribadito in successive interviste: La mafia è un fenomeno umano, e, come tale, ha avuto un inizio ed avrà una fine...". Ebbene, pare opportuno prendere le mosse da questo auspicio: anche questa emergenza planetaria, che ha diviso le Nazioni in "virtuose" e "viziose", a seconda dei numeri di contagio e susseguenti percorsi e strategie di salvezza, cesserà, e lascerà ai posteri una serie di considerazioni fondamentali. La prima, su cui si vuol riflettere in questo tempo di "sospensione di spazi e giudizi", è la seguente: l'impegno sociale e la coscienza di una cultura contraria alle mafie, è una attitudine permanente, oppure un "abito delle grandi occasioni?". Non è, codesta, una domanda retorica. La risposta, a cui tutti istintivamente tendiamo, che cioè l'impegno sociale sia e debba essere immanente in ciascun individuo "sano", e pertanto nei giovani, si scontra invece con la contraddittorietà di alcune immagini di questi giorni,in cui spesso il richiamo al rispetto delle regole imposte per legge dalle istituzioni governative viene caducato in nome di particolarismi anche molto banali. La cultura di un popolo, la sua identità aggregante,passa anche da questi comportamenti, soprattutto se necessari a risanare. Come non ricordare il monito di Italo Svevo in "La coscienza di Zeno", quando definisce la società del suo tempo"...inquinata alle radici..."? E dunque: risaniamo, anche con la riflessione che questo tempo indica. Non affidiamo soltanto alla rete il compito di tessere le fila del dato culturale, facciamo della cultura con la buona, vecchia carta stampata, il nostro primato. E dell'impegno sociale, sempre e comunque, il nostro "abito quotidiano".
Dedicato alla memoria di Pio La Torre.
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