Criminalità e politica imbavagliano la stampa
Ben ventiquattro posizioni sotto rispetto alla collocazione dell'anno precedente. In tema di libertà di informazione, misurata annualmente da Reporter Senza Frontiere, il nostro Paese piomba dal 49esimo al 73esimo posto nella classifica che censisce 180 nazioni di tutto il mondo. A spiegare questo allarmante risultato sono, secondo il rapporto 2015 dell'ONG che monitora lo stato di salute della stampa mondiale, "l'esplosione di minacce, in particolare della mafia, e procedimenti per diffamazione ingiustificati" che si sono verificati nell'ultimo anno. Nei primi dieci mesi del 2014, infatti, sono stati registrati 43 casi di aggressione fisica, 7 di incendio doloso ad abitazioni ed auto dei cronisti e 332 minacce verbali. Da non dimenticare, inoltre, che sono 14 i giornalisti attualmente sotto scorta. A questi numeri si sommano le 129 cause per presunte offese alla reputazione intentate contro i reporter sempre nello stesso periodo preso in considerazione, con un aumento di quaranticique processi rispetto agli 84 dell'anno passato. Non solo la violenza fisica, dunque, ma anche i tentativi di bavaglio ad opera di esponenti del mondo politico limitano la libertà di espressione dei giornalisti italiani. Libertà che rischia ancor più di essere soffocata dalla legge sulla diffamazione.
L'Italia non è la sola ad indietreggiare sul fronte del diritto fondamentale di informare e di essere informati. Come emerge dal report pubblicato il 12 febbraio scorso, la situazione è peggiorata in tutti i continenti: due terzi dei 180 Paesi censiti hanno raggiunto una performance inferiore rispetto allo scorso anno. A determinare tale retrocessione concorrerebbero diversi fattori. Innanzitutto l'aumento dei conflitti armati come quelli in Medio Oriente, in Ucraina, in Siria e in Iraq poiché, "in un ambiente instabile", i media diventano obiettivi strategici per tentare di controllare le informazioni. In questo quadro si colloca anche la minaccia terroristica dal momento che l'Isis tenta di usare tali mezzi come strumento di propaganda e di reclutamento. Un'altra ragione è da ricondurre all'abusato pretesto di sicurezza nazionale che sacrifica la libertà di informazione anche in quei Paesi, come gli Stati Uniti, che vantano essere delle democrazie avanzate. L'interferenza sulla stampa da parte dei governi riguarda, però, soprattutto molti Paesi dell'UE e dei Balcani. "Ciò è dovuto alla concentrazione della proprietà dei mezzi di informazione in poche mani e all'assenza di trasparenza sui proprietari" - si legge nel rapporto. Da non sottovalutare, per una lettura più completa di questo quadro europeo, anche il fatto che "la Ue non ha regole sulla distribuzione degli aiuti di Stato ai media" - osserva ancora il report. E, inoltre, altro limite alla libertà di informazione proviene dall'azione dei cosiddetti "gruppi non statali" che sono i principali responsabili della violenza fisica subita dai reporter in diversi Paesi. Dalle operazioni terroristiche dell'ISIS e di Boko Haram, dai trafficanti di droga dell'America Latina alla mafia italiana, le motivazioni possono variare, ma il loro modus operandi è lo stesso: l'uso della paura e delle rappresaglie per mettere a tacere i giornalisti che osano indagare o si rifiutano di agire come loro portavoce. La violenza delle organizzazioni criminali spesso è accompagnata dalla "passività o indifferenza mostrate dalle autorità" se non, addirittura, talvolta anche dalla "loro connivenza o dal coinvolgimento diretto"- specifica il report. Un atteggiamento che, sicuramente, alimenta il ciclo della violenza contro i cronisti.
La classifica annuale di Reporter senza frontiere si basa su sette indicatori: il pluralismo dell'informazione, l'indipendenza dei media dagli organi politici, il rispetto per la sicurezza e la libertà dei giornalisti, il contesto legislativo, istituzionale e infrastrutturale in cui opera la stampa. In cima all'elenco troviamo, come di consueto, la Finlandia, seguita da Norvegia e Danimarca. Nella top ten anche Nuova Zelanda (6°), Canada (8°) e Giamaica (9°). La Mongolia è il Paese che ha registrato l'incremento più significativo, balzando dall'84esima al 54esima posizione. Gli Stati Uniti occupano il 49esimo posto (in calo di tre posizioni), la Russia il 152esimo, l'Egitto il 158esimo. I Paesi più pericolosi al mondo per i giornalisti sono l'Eritrea (180°), la Corea del Nord (179°), il Turkmenistan (178°), la Siria (177°), la Cina (176°). Tra gli Stati dell'Unione Europea, l'ultimo posto va alla Bulgaria (106°). Male anche la Grecia (91°), dietro il Kuwait. La Francia (38°) conquista una posizione in più rispetto all'anno scorso, mentre il Regno Unito (34°) indietreggia di una.
Ultimi articoli
- La marcia del 1983, si rinnova la sfida alla mafia
- Bagheria, consiglio
aperto sulla “marcia” - La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione