Cresce l'esercito dei giornalisti minacciati o insultati in Italia
Durante l’estate, minacce e insulti hanno continuato a colpire molti giornalisti e blogger impegnati a raccogliere e diffondere informazioni di pubblico interesse che alcuni avrebbero voluto nascondere o distorcere a proprio vantaggio. Ossigeno riprende l’attività dopo la pausa estiva, con uno sguardo d’insieme su ciò che è accaduto e svolgendo alcune considerazioni.
Gli episodi sono stati numerosi, come si temeva. La frequenza e le modalità di questi attacchi sono preoccupanti come in passato, com’è ormai noto a chiunque voglia sapere come vanno queste tristi vicende. Non si tratta di un casuale succedersi di eventi ma di un fenomeno sistemico che colpisce la libertà di stampa come una malattia professionale e che pertanto richiederebbe una profilassi, una serie di rimedi e una cura appropriata per evitare produca gravi danni a chi ne è colpito e alla società tutta.
Siamo arrivati con molta fatica a individuare questo fenomeno e a convincere tutti della sua esistenza. Pochi anni fa si sapeva davvero poco di questa malattia. Si negava che esistesse. Si incolpavano i cronisti minacciati. Si parlava raramente di loro e di ciò che pativano. Ormai ciò non accade, perché Ossigeno e varie istituzioni hanno mostrato i fatti e ciò ha cambiato la percezione della questione, ha dimostrato la natura, le cause, la consistenza del fenomeno. Ossigeno ha contribuito a questa causa pubblicando migliaia di prove, decine di analisi e rapporti, un elenco di rimedi possibili e necessari in un paese democratico per limitarne le gravi conseguenze. Per aiutare gli increduli, Ossigeno ha documentato pubblicamente 4106 casi clinici che dicono in modo scientifico che cos’è questa malattia, perché si diffonde con molta frequenza, perché il numero dei cronisti minacciati continua a essere alto. Perché la situazione è questa e si va aggravando.
Basta dire che nei primi sei mesi del 2020, prima della pausa estiva, Ossigeno ha documentato 250 intimidazioni e minacce nei confronti di altrettanti cronisti. Altri centri di osservazione ne hanno segnalato di meno ma, come abbiamo avuto modo di dire, ciò dipende dal fatto che osservano soltanto una parte del fenomeno e mettono in campo meno osservatori e per meno tempo. Lo diciamo con la competenza acquisita in 13 anni di monitoraggio: questo mare è molto pescoso. Anche noi prenderemmo più pesci se potessimo mettere più barche in mare.
Oggi comunque il dato saliente non è il numero dei giornalisti minacciati in Italia, stabilire se fra gennaio e giugno del 2020 siano stati 250 come dice Ossigeno, oppure 87 come ha detto il Ministero dell’Interno, o soltanto 3 come sostiene l’osservatorio della Commissione Europea. Il dato saliente è che in Italia ci sono dei giornalisti minacciati, e sono troppi per un paese libero come il nostro. Il dato saliente è che ciò è indiscutibilmente accertato ormai da tempo, è che questo fenomeno si manifesta nel nostro paese con gravi conseguenze sociali, mettendo a rischio molti giornalisti, danneggiando la libertà di informazione e la democrazia e limitando la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Il dato saliente, aggiungiamo, è che si fa poco o nulla per impedirlo.
Di fronte a tutto ciò, vogliamo invitare le persone di buona volontà a riflettere sul fatto che in questa situazione chiunque voglia mostrare il proprio impegno concreto per risolvere il problema deve farlo e non può farlo limitandosi a denunciare nuovi episodi, a esprimere solidarietà alle vittime senza farsi carico dei problemi concreti che essi devono risolvere in conseguenza delle minacce, o limitandosi a dire ad altri ciò che dovrebbero fare. Loro stessi (giornalisti e non giornalisti, singoli, associazioni, istituzioni) dovrebbero fare la propria parte.
Alcuni fatti di quest’estate dicono quanto sia necessario superare una situazione di stallo che è allarmante. A metà agosto in Italia ha suscitato apprensione e attenzione mediatica la vicenda del giornalista italiano Claudio Locatelli arrestato e ingiustamente detenuto per tre giorni in Bielorussia durante le proteste contro Lukashenko e poi, per fortuna, liberato senza conseguenze. Molti giornali ne hanno parlato e hanno fatto bene. Invece non hanno parlato con altrettanta attenzione di un dato veramente allarmante che riguarda ciò che accadeva negli stessi giorni in Italia: di un dato diffuso a Ferragosto dal Ministro dell’Interno, secondo il quale nel 2020 in Italia le minacce ai giornalisti sono aumentate del 51,6 per cento.
E’ un dato preoccupante che esprime l’aumento di una pressione intimidatoria già alta. Molti non ne hanno saputo nulla. Non si conoscono commenti del mondo politico. I notiziari in rete, le tv, le agenzie e alcuni giornali si sono limitati a pubblicare il comunicato stampa del Viminale che elenca questo dato insieme all’andamento di altri reati. C’è da aggiungere che già a fine giugno, lo stesso dato era stato diffuso una prima volta dal Ministero dell’Interno insieme a una dichiarazione del ministro Luciana Lamorgese, che esprimeva la sua preoccupazione. Anche allora era passato inosservato. Possiamo recuperare in autunno questa inspiegabile disattenzione estiva? Chiedere ai giornali di parlarne? Di farlo sapere ai lettori? Speriamo proprio di sì.
Se accettiamo passivamente che la politica, i giornali, le stesse organizzazioni che difendono la libertà di stampa possano girare la testa dall’altra parte e tacere di fronte a dati così allarmanti, non serve a niente denunciare nuove violenze e abusi. Per andare avanti dobbiamo trovare il modo di superare questo inspiegabile oscuramento. (Ossigeno per l'informazione)
Ultimi articoli
- La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione
- Perché l’Occidente si autorinnega
- Ovazza, storia di un tecnico
prestato alla politica - Si smantella l’antimafia
e si indebolisce lo Stato - C’era una volta l’alleanza progressista
- Vito Giacalone, un secolo
di lotte sociali e politiche - Violenza sulle donne, come fermare
l’ondata di sangue