Cosa insegna l’antimafia dei comunisti

22 febbraio 2014
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Mentre Matteo Renzi concludeva le consultazioni e preparava la lista dei ministri da presentare al Presidente Napolitano, nella sala accanto del Mappamondo, alla Camera dei deputati, discutevamo della ristampa della relazione di minoranza della Commissione antimafia del 1976 firmata da Pio La Torre e Cesare Terranova, vittime di mafia. Il libro, curato dal giovane storico Vittorio Coco per l’Istituto Poligrafico Europeo, dell’altrettanto giovane editore siciliano Carnevale, è stato presentato a un folto pubblico dal Centro studi Pio La Torre e da autorevoli relatori quali Emanuele Macaluso, Giuseppe Pignatone, Sergio Boccadutri, Franco la Torre, Elio Sanfilippo e dal Presidente dell’attuale Commissione Antimafia Rosy Bindi. L’iniziativa trasmessa in diretta streaming dai siti della Camera dei deputati, dell’Ansa e del Centro La Torre ha suscitato grande interesse non solo per gli evidenti aspetti storici, ma soprattutto per le connessioni e i suggerimenti che fornisce per la lettura dell’antimafia del XXI secolo.

Nel 1976, a un secolo esatto dalla pubblicazione dell’indagine sulla Sicilia di Sonnino e Franchetti, si consolidava un’interpretazione culturale e politica della mafia che ha resistito sino a oggi. Scriveva La Torre “ la mafia è un fenomeno criminale afferente alle classi dirigenti”. Sonnino e Franchetti avevano scritto “ la mafia ha dei “manutengoli” appartenenti alla allora classe dirigente dei baroni latifondisti” che saranno spazzati dal movimento contadino del secondo dopoguerra che con grande tributo di sangue conquistò la Riforma agraria. Quell’interpretazione guidò la proposta di legge che diventerà la prima legge antimafia del paese, la Rognoni-La Torre, che ha rivoluzionato l’impegno dello Stato contro ogni organizzazione di stampo mafioso e che rimane operante ancora oggi. Infatti, la relazione come la legge antimafia furono il frutto di un’analisi corretta della società e della sua struttura socioeconomica caratterizzata da una organizzazione criminale segreta per accumulare ricchezza con sistemi extralegali e violenti e alla ricerca costante di rapporto organico, reciprocamente vantaggioso,col potere dominante, cioè con componenti disponibili della classe dirigenti. Così nasce il sistema politico mafioso capace di adeguarsi all’evoluzione del sistema, dal feudo al capitalismo finanziario e globale.  

Coloro che oggi devono dirigere la lotta antimafia sia sul piano istituzionale sia sociale fruiscono del vantaggio di una percezione sociale negativa diffusa del fenomeno mafioso che coinvolge strati sociali diversi, governi, istituzioni nazionali e internazionali. Oggi la lotta antimafia dispone di strumenti giuridici, ordinamenti  e tecniche investigative sperimentate ed efficienti, dal 416 bis al 41bis alla gestione dei beni confiscati, dalle organizzazioni antimafia delle procure e delle forze dell’ordine sino a una legge anticorruzione, seppur ritenuta insufficiente.

La ristampa della relazione del 1976 è servita anche per sollecitare la Commissione Antimafia e il nuovo Governo a usare oggi quel metodo d’indagine sulla fenomenologia del moderno sistema politico mafioso.  Il Presidente Bindi ha prontamente accolto l’invito; dal Governo ci aspettiamo impegni precisi da trasferire nella sua agenda politica. Il neoministro della giustizia Andrea Orlando ha preannunciato quale suo compito prioritario la Riforma della Giustizia affinché sia rapida e giusta, essa dovrà fare da cornice per il superamento delle criticità dell’attuale legislazione antimafia ripetutamente sollecitate dal movimento antimafia, dalle misure di prevenzione alla gestione dei beni confiscati all’introduzione di norme penali  per i nuovi reati finanziari e per i reati spia dell’area grigia ( collusioni, corruzione ecc..) sino al perfezionamento della legge anticorruzione e sul conflitto d’interesse e alla sospensione della candidabilità del soggetto rinviato a giudizio per reati di mafia o contro la pubblica amministrazione fino a sentenza definitiva. Il ministro Orlando dovrà inoltre risolvere le gravi disfunzioni nella gestione dei beni sequestrati e confiscati garantendo governance democratica e rapido riuso sociale, semplificazione delle procedure a cominciare dalla certificazione antimafia provvedendo a far funzionare la prevista anagrafe antimafia e dall’utilizzo dei tre miliardi di euro confiscati ai mafiosi congelati nel FUG.

In conclusione qualsiasi governo italiano voglia contrastare mafie, corruzione, ogni forma di criminalità organizzata ha gli strumenti giuridici, seppur da perfezionare, dispone di apparati investigativi con alta professionalità, pur  con mezzi insufficienti, per prevenirle e reprimerle, purché lo voglia. In tal caso sicuramente potrà avvalersi di quel fronte antimafia ampio che va dal mondo del lavoro all’impresa alla società civile e religiosa.

L’Italia attrarrà nuovi investitori riducendo farraginosità burocratica e accrescendo sicurezza sociale e stabilità economica e politica. Dovrà convincere il mondo che assieme alle bellezze naturali, archeologiche e architettoniche possiede anche una bellezza antimafia.

 di Vito Lo Monaco

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