Così tornano a bruciare i libri in piazza

15 dicembre 2013
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Il disagio sociale nel Paese è evidente, ne parliamo sin da quando era negato dal Governo Berlusconi nel 2008 di fronte al manifestarsi della più grave crisi globale del capitalismo finanziario. Essa si è abbattuta sull’Italia e l’Europa mettendone in discussione le fondamenta del welfare del dopoguerra. Tutte le misure adottate dal governo Monti per salvare il paese dal fallimento e dal precipizio sono state avvertite dalla maggioranza degli italiani come staffilate sul proprio corpo indebolito dalla crisi galoppante e dalla manifesta ingiustizia distributiva. La ripresa annunciata da Letta ancora non si vede e non è percepita dai disoccupati, dai nuovi poveri dei ceti produttivi.

Il disagio è, dunque, reale. Esso alimenta una rabbia generale che forconi, movimento del 9 dicembre, movimenti eversivi di destra e di sinistra,tutti insieme appassionatamente, fanno propria cavalcandola e strumentalizzandola. Lo slogan adottato ne chiarisce in modo chiaro la natura politica di destra. Il “tutti a casa” rivolto al governo, Parlamento e partiti richiama l’appello del “partito dei senza partito” che ha caratterizzato i movimenti populistici dell’ultimo secolo, dalla versione fascista del primo dopoguerra a quella dell’Uomo qualunque del secondo dopoguerra a quella berlusconiana dell’ultimo ventennio e del grillismo dei nostri giorni. Dopo le liste di proscrizione di giornalisti critici, i libri bruciati perché considerati armi pericolose, la riesumazione di un presunto dominio ebreo nella finanza, le minacce a dirigenti di organizzazioni democratiche critiche verso gli obiettivi politici e i blocchi stradali, non poteva mancare il solito  “viva la mafia”. Come sempre nella storia di questo paese estremismi e terrorismi di vario colore si ritrovano sullo stesso obiettivo della spallata al sistema democratico. La risposta non può limitarsi alla repressione di tutte le forme illegali di lotta. Essa deve essere principalmente di natura politica. Bisogna rispondere sin da ora, tramite la legge di stabilità, all’esasperazione delle piccole e medie imprese, ai cassintegrati, agli studenti e agli insegnanti, ai quasi quattro milioni di giovani under 35 che non studiano né lavorano con misure più evidenti di quelle presentate dal governo Letta.     

L’hanno ribadito i sindacati scesi in piazza con una piattaforma di rivendicazioni elaborate unitariamente per far fronte alla recessione e al disagio dei lavoratori e ai pericoli che gravano sulla tenuta democratica del sistema.

Governo e Parlamento ascoltino il paese, è l’unica via per uscire dallo stallo e per conquistare una nuova fiducia verso le istituzioni. È un compito che dovrebbe riguardare tutti i partiti che vogliono riprendersi il ruolo prefigurato dalla Costituzione cioè di essere i pilastri della democrazia parlamentare. Il Pd da parte sua ci sta provando. Con le primarie si è dato un nuovo corso con un nuovo segretario. Se il gruppo dirigente saprà ascoltare e farsi comprendere dal paese reale, potrà assicurarne il cambiamento auspicato e la ri-crescita. Potrà ricostruire una nuova cultura e un nuovo welfare in un’Europa dove solidarietà, giustizia sociale e libertà siano fuse per riportarla al traino della civiltà mondiale. 

Vito Lo Monaco



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