Così la Sicilia non perderà i fondi europei

29 dicembre 2013
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Il Consiglio dei ministri del 27 dicembre ha approvato, su proposta del ministro della coesione Carlo Trigilia, una manovra di 6,2 miliardi di euro da destinare ad interventi antirecessivi. L'intervento era stato preannunciato alle parti economiche e sociali e si colloca nella complessa fase di transizione tra la fine della programmazione dei fondi strutturali europei del periodo 2007-2013 e l'inizio della nuova che coprirà il settennio 2014-2020. Il monitoraggio della spesa  del periodo in corso, certificato allo scorso 31 ottobre, rilevava un avanzamento pari al 47,5% su scala nazionale (43,15 nelle regioni convergenza e 53,1% in quelle competitività) per una cifra assoluta di 22,693 miliardi di euro. Con il monitoraggio del 31 dicembre i programmi operativi che non avranno raggiunto i target comunitari subiranno l'effettivo disimpegno automatico delle risorse. La buona notizia è che la Sicilia ce l'ha fatta a superare il budget sia nel FSE (33,9%) che nel FESR (51,1%). Poiché le risorse dell'attuale ciclo di programmazione andranno spese entro il 31 dicembre 2015, restano attualmente a rischio disimpegno, nei programmi nazionali ed in quelli regionali, circa sette miliardi di euro. Per completare il quadro, va segnalato che il 10 dicembre è stata presentata la bozza dell'Accordo di partenariato, cioè il documento di strategie ed obiettivi che sarà alla base del contratto istituzionale che, in base ai regolamenti europei, il nostro paese firmerà con l'Unione Europea. Siamo in ritardo perché la nuova programmazione partirà, nell'ipotesi più ottimistica, nella seconda metà del 2014. Per il Governo si trattava quindi rispondere da un lato all'esigenza di evitare di restituire  risorse a Bruxelles, dall'altro di rafforzare il finanziamento di provvedimenti già assunti in precedenza, ma a corto di risorse per le difficoltà del  bilancio dello Stato.  A tal fine già nel corso del 2012 si era provveduto ad abbassare il cofinanziamento nazionale recuperando  poi nel piano d'azione coesione (PAC) circa dodici miliardi da destinare a vari interventi. In questa scia  si colloca l'ultimo Consiglio dei ministri del 2014 che recupera e rimette in circolo 2,2 miliardi del Fondo sviluppo coesione (l'ex Fas) del periodo 2007-2013, 1,8 miliardi dalla quarta riprogrammazione del PAC e 2,2 miliardi da programmi regionali dei fondi strutturali del periodo che sta per concludersi. Un pacchetto di 6,2 miliardi destinati ad interventi di carattere anticiclico, nel tentativo di dare risposte alle difficoltà economiche ed ai drammi sociali provocati dalla crisi. Certo, si tratta di risorse limitate, il cui impatto non va enfatizzato ma che potranno comunque contribuire a supplire a qualcuna delle troppe carenze di una legge di stabilità dalla quale è assente ogni idea di sviluppo. Non va taciuto, inoltre, che si fa di necessità virtù, continuando ad utilizzare per la spesa ordinaria risorse destinate a sostenere lo sviluppo. Ma il crollo della spesa pubblica per investimenti ed il perdurare della crisi, nonostante le dichiarazioni ottimistiche di qualche ministro, rendono indispensabile l'utilizzo di queste risorse per gli scopi che più sotto sintetizzo.

1,2 miliardi (previsti nella legge di stabilità) vengono destinati al sostegno del credito per le piccole e medie imprese rifinanziando il fondo centrale di garanzia, con l'obbligo di utilizzarne il 50% per imprese del centro-nord e il 50% per quelle del Mezzogiorno (in questo caso si tratta di  una garanzia di accesso per le nostre imprese, data la maggiore capacità di tiraggio di quelle delle regioni più sviluppate. Un miliardo va ad interventi di sostegno, in tutto il territorio nazionale, alla creazione di nuove imprese  a prevalente partecipazione giovanile e femminile. La misura durerà fino al 2018 e prevede la finanziabilità di programmi di investimento non superiori a 1,5 milioni di euro.  In tutto 2,2 miliardi di euro ricavati dalla riprogrammazione del FSC

I 700 milioni  per il sostegno all'occupazione arrivano dal PAC e si articolano in tre misure: 150 milioni vanno a rafforzare la decontribuzione per l'occupazione giovanile già prevista dalla legge 99/2013, estendendone la durata; 200 milioni vanno al rafforzamento degli interventi per l'occupazione femminile e per i lavoratori più anziani  già previsti dalla legge di riforma del mercato del lavoro e che vengono rafforzati per il Mezzogiorno estendendone la durata temporale; 350 milioni ad una misura introdotta nella legge di stabilità e rivolta alle regioni meridionali, volta a favorire il reinserimento lavorativo dei fruitori di ammortizzatori sociali anche in regime di deroga. Qui i dubbi riguardano l'utilizzo dello strumento della decontribuzione, non il più adatto a favorire la nuova occupazione in fase di crisi ed il rinvio di una misura che riguardi i disoccupati della fascia d'età 29-34 anni, attualmente fuori da qualsiasi misura di sostegno.

Dal PAC provengono anche i 300 milioni per finanziare le misure di contrasto alla povertà che consentono di prolungare fino a tutto il 2015 la sperimentazione nel Mezzogiorno dello strumento per l'inclusione attiva (SIA) che prevede, a  favore di famiglia in situazione di gravissimo disagio economico un trasferimento monetario mensile condizionato all'accettazione di un percorso di presa in carico da parte dei servizi sociali e di inserimento lavorativo.

800 milioni ex PAC e 2,2 miliardi da riprogrammazione dei fondi strutturali 2007-2013 (ricavate in gran parte dalla riprogrammazione dei POR FESR di Calabria, Campania e Sicilia, naturalmente con il consenso delle regioni) costituiscono la dotazione finanziaria di un insieme di misure  assemblate sotto il titolo “sostegno alle economie locali”. Saranno individuati, all'interno di alcuni provvedimenti precedentemente assunti, progetti immediatamente cantierabili e da concludere entro 24 mesi. 500  milioni  vanno , in tale contesto, al piano città avviato nel giugno 2012 per interventi di rigenerazione urbana .; si implementa di un miliardo di euro la scarsa dotazione (100 milioni) prevista dal decreto “del fare” per il programma  “6000 campanili” che, attraverso una convenzione con l'Anci, prevede interventi per i comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti. In sostanza, l'idea è di riattivare la spesa negli enti locali piccoli e medi con interventi già progettati ed immediatamente attivabili che diano respiro sia alle imprese locali che all'occupazione e non incappino nei rigori del patto di stabilità interno. Naturalmente non si perde l'occasione per dare un po' di soldi all'Expo 2015, anche se attraverso la formula criptica di un miliardo concesso per  progetti non superiori ciascuno al milione di euro da realizzarsi entro il 2014 e  per progetti fino a 5 milioni da realizzarsi nei prossimi quindici mesi   per la valorizzazione di di beni storici, culturali ed ambientali “anche in vista dell'Expo”. Dato che è improbabile che si tratti di comuni meridionali,  1,6 miliardi dei 6,2 mobilitati andranno sicuramente al Nord. Non c'è alcuna rivendicazione localistica in ciò che affermo, ma è bene si sappia che un terzo (compresa la quota dell'imprenditorialità giovanile) della manovra di fine dicembre parla alle aree più sviluppate. Assolutamente ben spesi saranno i cinquecento milioni dedicati alla riqualificazione,  messa in sicurezza ed efficientamento  energetico degli edifici scolastici.

In cauda venenum: in che tempi le risorse saranno realmente messe a disposizione dei beneficiari, enti locali, cittadini ed imprese? Non taccio le preoccupazioni che derivano soprattutto dai tempi ancora lunghi, anche se ridotti rispetto al passato, con cui vengono rese operative le delibere Cipe  che attivano le risorse a valere sul fondo sviluppo e coesione. Meno lunghe e complesse dovrebbero invece rivelarsi le riprogrammazioni dei programmi regionali e le delibere del “gruppo d'azione” del PAC.  Se davvero vogliono contribuire alla lotta alla povertà, a dare un contributo contro l'asfissia delle  piccole e medie imprese e  ad alleviare il dramma di coloro che  hanno perso il lavoro, gli interventi vanno fatti partire nei prossimi due o tre mesi. Altrimenti rischiano di trovare un terreno già desolatamente sterile.

Franco Garufi



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