Così la mafia controlla l’agricoltura in tutta Italia

Economia | 17 febbraio 2016
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Associazione per delinquere di stampo mafioso e camorristico, concorso in associazione

mafiosa, truffa, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, riciclaggio, impiego di denaro,

beni o utilità di provenienza illecita, contraffazione di marchi. Sono queste le tipologie di

illeciti riscontrate con più frequenza da parte delle organizzazioni criminali nel settore

agroalimentare, con il business delle Agromafie che ha superato i 16 miliardi di euro nel

2015. È quanto è emerso nel quarto Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia

Eurispes-Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema

agroalimentare.

 Per raggiungere l'obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali, usura,

racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli,

abigeato e macellazioni clandestine. Gli aspetti patologici dell'indotto agroalimentare, come

la lievitazione dei prezzi di frutta e verdura fino a quattro volte nella filiera, secondo l'analisi

della Direzione Investigativa Antimafia, sono la conseguenza non solo dell'effetto dei

monopoli ma anche delle distorsioni dovute alle infiltrazioni della malavita nelle attività di

intermediazione e trasporto.

 Ma il Rapporto mette in risalto anche un efficace sistema di controlli per combattere le

agromafie dal campo allo scaffale, con oltre 100 mila effettuati nel 2015. Il valore totale dei

sequestri è stato di 436 milioni di euro, di cui il 24% nella ristorazione, il 18% nel settore

della carne e salumi, l'11% in quello delle farine, del pane e della pasta. Nel 2015 sono stati

chiuse dai Nas 1.035 strutture del sistema agroalimentare con il sequestro di 25,2 milioni di

prodotti alimentari adulterati, contraffatti, senza le adeguate garanzie qualitative o sanitarie o

carenze nell'etichettatura e nella rintracciabilità. Dai 38.786 controlli effettuati dai Nas

nell'ultimo anno sono emerse non conformità in un caso su tre (32%).

LO SPRECO DEI BENI SOTTRATTI AI BOSS E INUTILIZZATI

 In Italia sono 26.200 i terreni nelle mani di soggetti condannati in via definitiva per reati che riguardano, tra l'altro, l'associazione a delinquere di stampo mafioso e la contraffazione. È quanto è emerso dal

quarto Rapporto Agromafie elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità

nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, dal quale si evidenzia che sono 20-25 i miliardi

di euro sprecati per il mancato utilizzo dei beni confiscati.

Complice di questa situazione, spiega il rapporto, il fatto che processo di sequestro,

confisca e destinazione dei beni di provenienza mafiosa «si presenta lungo e confuso».

 Si stima che circa 1 immobile su 5 confiscato alla criminalità organizzata sia

nell'agroalimentare. Il 53,5% si concentra in Sicilia, mentre la restante parte riguarda

soprattutto le altre regioni a forte connotazione mafiosa, quali la Calabria (17,6%), la Puglia

(9,5%) e la Campania (8%); seguono con percentuali più contenute la Sardegna (2,3%), la

Lombardia (1,6%), la Basilicata (1,5%) e il Piemonte (1,3%). Le altre regioni si attestano

sotto l'1%. La Dia ha avviato un monitoraggio e i report - sottolinea Coldiretti - denunciano

molte irregolarità con molti beni che risultano ancora occupati o dai mafiosi stessi o da loro

parenti e prestanome. All'origine di ciò, spiega il rapporto, inadempienze, procedure

farraginose, lungaggini burocratiche. I criminali che non vengono sgomberati dagli immobili

godono persino del vantaggio di non dover pagare le tasse sul bene, poichè sequestrato.

 

AGROMAFIE DIFFUSE DA NORD A SUD, ECCO LA MAPPA

L'intensità dell'associazionismo criminale non risparmia nessuna regione italiana: se è

elevata nel Mezzogiorno, è stabile e forte nel Centro dell'Italia, in modo particolare in

Abruzzo e Umbria, in alcune zone delle Marche, nel Grossetano e nel Lazio, per lo più a

Latina e Frosinone. Al Nord il fenomeno è molto evidente in Piemonte, nell'Alto lombardo,

nella provincia di Venezia e nelle province romagnole lungo la Via Emilia. È quanto emerge

dell'Indice di Organizzazione Criminale (Ioc) elaborato dall'Eurispes nell'ambito del quarto

Rapporto Agromafie con Coldiretti e l'Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul

sistema agroalimentare, che si fonda su 29 indicatori specifici e rappresenta la diffusione e

l'intensità della criminalità in una data provincia.

 In Calabria e Sicilia si denota un grado di controllo criminale del territorio pressochè totale,

al pari della Campania, riflettendo la forza di 'Ndrangheta, Mafia e Camorra - sottolinea il

rapporto. Il grado di controllo e penetrazione territoriale della Sacra Corona Unita in Puglia,

invece, pur mantenendosi elevato, risulta inferiore che altrove, così come in Sardegna. In

Sicilia l'unica provincia non caratterizzata da un Indice Ioc alto è stata Messina, mentre sul

restante territorio i valori sono molto elevati, in particolar modo nelle zone meridionali e

orientali. Al di sopra della media nazionale dell'indicatore si collocano i territori lungo tutta la

catena appenninica, sia in Meridione che in Italia centrale e lungo l'Appennino tosco-ligure.

Sia pur con livelli inferiori alla media nazionale, la provincia di Roma ha un livello di indicatore

medio-alto, mentre è medio-basso nella maggior parte delle province del Centro e Nord

Italia, quali Genova, Torino, Firenze, Milano, Bologna e Brescia. 

 di Alida Federico

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