Così la follia nucleare ignorata diventa sempre più mortale

Politica | 15 luglio 2020
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1.Sacrosanto battersi per l’ambiente e contro il razzismo. Ma perché non lottiamo più per il disarmo?

Nel 2018-2019-2020 milioni di persone nel mondo si sono ribellate come mai in precedenza alla crisi climatica e al degrado ambientale con il quale stiamo soffocando il pianeta così come al razzismo sempre presente, sempre “duro a morire”. La giovane attivista svedese Greta Thunberg e l’afroamericano George Perry Floyd, barbaramente ucciso da agenti bianchi della polizia di Minneapolis, nel Minnesota, il 25 maggio 2020, sono i simboli di questa ribellione nelle menti e nelle piazze.

Disastri climatico-ambientali, colore della pelle, Covid-19 faranno sì che niente sarà più come prima. Addirittura in Gran Bretagna Roger Hallam, fondatore del movimento Extinction Rebellion propugna una vera e propria dichiarazione di guerra ideologica, non violenta, per l’ambiente: “Dobbiamo farci arrestare a centinaia di migliaia. Basta marce, basta petizioni. Lo strumento più efficace è la disobbedienza civile nonviolenta, diffusa e reiterata. Dobbiamo lottare contro il genocidio ecologico delle future generazioni. (…) Serve una rivoluzione, come scrisse l’americano Thomas Paine nel 1776 per l’indipendenza dalla Corona. (…) Abbattimento della democrazia rappresentativa, per una nuova politica più giusta e liberale”. Così teorizza Hallam, “celebre nel mondo per le resistenze di massa e le proteste radicali contro il cambiamento climatico e per l’energia pulita e zero emissioni entro il 2025” (Antonello Guerrera “Ci meritiamo l’extinction”, “Il Venerdì di Repubblica”, 15 maggio 2020)

Se in difesa dell’ambiente si manifesta, si dimostra, si sfila – insomma si combatte ed è indispensabile che sia così – se contro il razzismo e la violenza delle istituzioni sui neri finalmente si dimostra, si sfila, ci si fa arrestare – anche in tempi di (sommario) lockdown e distanziamento fisico, non solo negli Usa ma in molti altri paesi in più continenti – perché su altri temi cruciali per il mondo nessuno si schioda più dalla sedia? Prendiamo temi vitali come le catastrofiche armi nucleari di cui sono strapieni gli arsenali, i galoppanti rischi di guerra mondiale, i sempre più conflittuali rapporti tra Usa e Russia e, ancora di più negli anni della nefasta presidenza Trump, tra Usa e Cina. Perché nessuno dimostra più per la pace nelle capitali occidentali e non solo? Perché, piuttosto che nascondere la testa nella sabbia per non vedere come fanno gli struzzi, la difesa della pace – il primo di tutti gli esercizi, il più indispensabile – non fa più parte del nostro modo di pensare? Inconsapevolezza? Ignoranza? Pigrizia mentale? Convinzione che ad uno scontro nucleare tra superpotenze non si arriverà mai stante la protezione assicurata dalla “Teoria della deterrenza”? Sottovalutazione dei rischi? “Non volerci neppure pensare” visto che l’ipotesi è così terrorizzante?

Sono anni ormai che Stati Uniti e Cina percorrono una rotta di collisione. Mentre scriviamo il Pentagono ha mandato due portaerei, la Reagan e la Nimitz, più altre quattro unità leggere di scorta, nel Mar Cinese Meridionale “una delle zone strategiche più importanti e contese del pianeta proprio mentre Pechino sta tenendo alcune sue esercitazioni in quella stessa area che reclama da settanta anni: grandi manovre iniziate l’1 luglio intorno alle isole Paracel, sottratte al Vietnam nel 1974”. (Anna Lombardi “Giochi di guerra nel Mar Cinese, gli Usa inviano due portaerei”, “La Repubblica”, 4 luglio 2020)

La campagna di Pechino per controllare il Mar Cinese Meridionale e le sue risorse è assolutamente illegale. Gli Stati Uniti non permetteranno la costituzione di un impero marittimo cinese. Gli Stati Uniti sono dalla parte degli alleati e dei partner sud asiatici e dalla parte della legge internazionale” ha dichiarato il Segretario di Stato Mike Pompeo sul contenzioso che oppone la Cina a Filippine, Vietnam, Malesia, Brunei, Indonesia. “Il rischio di un conflitto militare con gli americani non è mai stato così alto” ha replicato seccamente Pechino.

Mai come in questo tempo “virato” - con i paesi in ginocchio per il Covid-19, la globalizzazione ed i commerci internazionali in stallo critico, lo scontro sociale esplosivo per il disastro economico prodotto dalla pandemia – l’ordine mondiale è stato appeso ad un filo. E lascia spazi sempre più pericolosamente ampi al disordine mondiale, a sovranismi, populismi e colpi di mano.

Il pacifismo è morto, come il Dio che cantavano “I Nomadi”. Ma del pacifismo abbiamo un bisogno imperioso, per ricorrere ad un aggettivo solo apparentemente contraddittorio. Come si fa in difesa dell’ambiente e contro il razzismo occorre gridare nelle piazze che il mondo è a rischio. E – attenzione – in fatto di armi di distruzione di massa non ci si sta approssimando pericolosamente al punto di non ritorno. Il punto di non ritorno è stato superato. Da tempo.

Approfittiamo di una svolta molto importante a favore del bisogno di una forte ripresa del pacifismo: la deideologizzazione. Per decenni fino al 1989 se ero simpatizzante di sinistra per dogma i buoni stavano a Mosca e a Pechino e i cattivi a Washington. Se ero un filoccidentale (in Italia un democristiano, un liberale o un repubblicano) sempre per dogma i buoni stavano a Washington e i cattivi a Mosca e a Pechino. Ora tutti nel mondo – tranne le arroccate leadership delle superpotenze che ovviamente operano secondo la logica del Cicero pro domo sua e gli strati sociali che le sostengono per adesione o convenienza – siamo consapevoli che non ci sono buoni e i cattivi stanno a Washington, Mosca e Pechino. Dismessa la divisa della difesa di nobili interessi ideologici, le superpotenze giocano a carte scoperte: sono solo stati che – come Roma venti secoli fa o l’Inghilterra tre secoli fa – mettono in atto una politica imperiale regionale e globale. Non hanno più neppure bisogno di ripararsi dietro il paravento comodo dell’ideologia.

Abbiamo dunque un bisogno disperato di riprendere la lotta pacifista, per imporre lo svuotamento degli arsenali. Senza derive utopistiche ma con concreta convinzione e fattiva determinazione. Altro che armi sempre più apocalittiche messe in linea negli ultimi anni dalle forze armate cinesi, americane, russe, coreane e via discorrendo, a cominciare dai missili ipersonici inintercettabili. Altro che parate militari ed esposizioni nelle piazze di missili giganteschi. Bisogna lottare perché si smantellino arsenali esagerati che rendono la deterrenza la più catastrofica delle strategie. Perché se scricchiola anche solo di un millimetro non crolla solo un sistema strategico o concettuale. Sparisce il mondo.

Ecco perché bisogna innanzitutto avere contezza del vulcano attivo sul cui cratere ci siamo posizionati. Tranquilli e beati. Conoscere queste armi, cosa comportano, quanto e come distruggono, quali cataclismi possono provocare. Le informazioni che riporteremo nelle pagine che seguono non sono segrete né devono intendersi talmente specialistiche da essere destinate solo ad un pubblico di addetti ai lavori. Al contrario, risultano di facilissima reperibilità sul web a partire dalla supercompulsata Wikipedia, alla quale abbiamo fatto spesso riferimento per questo approfondimento. Hanno pertanto tutte le caratteristiche per essere materia di conoscenza: nelle scuole, nei circoli informativi, sulla stampa, nelle trasmissioni radiotelevisive, presso i movimenti di opinione. Conoscere per operare, conoscere per gridare il proprio “no”. Lasciano sconvolti a leggerle per il livello distruttivo che viene descritto e per la dimostrazione di scientifica, imperdonabile follia criminale che fisici, progettisti, scienziati, ingegneri, militari, industriali mettono in atto trasformandole da progetto sulla carta in strumenti operativi di morte. Entreremo nella più inimmaginabile galleria degli orrori. Un viaggio che dovrà stimolarci a combattere per un solo obiettivo: disinnescarle, smantellarle, annientarle, distruggerle. Prima che esse distruggano ed annientino ogni forma di vita sul nostro pianeta.


2. Gli effetti di una esplosione nucleare nella tua città e nella tua regione? Tutto in una app

Nukemap è uno strumento che ti permette di far esplodere un ordigno nucleare su una mappa interattiva del mondo.

La app è stata creata da uno storico per migliorare la comprensione degli effetti delle esplosioni nucleari.

Una nuova versione mostra come i vari tipi di rifugi antiatomici potrebbero proteggerti dall’esposizione al fallout.

Nukemap vorrebbe aiutare gli utenti a capire sia l’orrore degli attacchi nucleari, sia la loro potenziale capacità di sopravvivenza.

Dal febbraio del 2012 sono state fatte esplodere più di 159 milioni di armi atomiche. Ne hanno innescate di grandi e di piccole, le hanno sganciate su Washington, Parigi, Mosca e anche su casa propria.

Ma nessuna di queste esplosioni nucleari è vera. Sono state simulate tramite Nukemap, una app che ti permette di scegliere un qualsiasi luogo della Terra, giocherellare con alcune opzioni e poi sganciare un’ipotetica bomba.

Il programma è la creazione di Alex Wellerstein, uno storico degli armamenti dello Stevens Institute of Technology. L’impiego della app mette i brividi — prova solo a ingrandire la località scelta e a premere “detonate” per vedere cosa succede – una sensazione subito rimpiazzata da un terrore esistenziale quando si osserva la stima delle vittime e dei feriti crescere velocemente nonché gli effetti di lunga durata che una singola esplosione può causare su una superficie di migliaia di chilometri quadrati.

Potresti iniziare a chiederti se nella realtà riusciresti a sopravvivere a un attacco simile”.

Abbiamo appena letto l’incipit di un articolo a firma di Dave Mosher pubblicato il 7 giugno 2020 da it.businessinsider.com dal titolo “Questo simulatore mostra gli effetti di una esplosione nucleare sulla tua città, con una nuova funzione tanto inquietante quanto utile”. Lo Stevens Institute of Technology è una università statunitense con sede a Hoboken, città di 50.000 abitanti nello stato del New Jersey.

“ “Viviamo in un mondo in cui la questione degli armamenti nucleari è regolarmente sulle prime pagine dei giornali, ma la maggior parte delle persone ha ancora un’idea davvero sbagliata di cosa un’esplosione nucleare possa provocare veramente“, ha scritto Wellerstein.

Ha pertanto creato Nukemap sei anni fa per attirare chi è curioso e illustragli una serie di conseguenze delle detonazioni nucleari.

Una comprensione realistica di quello che un’esplosione nucleare può e non può fare è fondamentale in ogni discussione in proposito”, ha detto Wellerstein. Le persone tendono ad avere immagini estremamente esagerate delle armi, o a sottovalutare estremamente la loro potenza, sempre che ci pensino. E ciò può condurre a ogni genere di politiche isteriche”.

Da allora, Wellerstein aggiorna il proprio progetto di educazione pubblica ed è arrivato alla versione 2.6. Nella nuova versione, gli utenti possono esaminare più approfonditamente le conseguenze di un fallout radioattivo, anche se e come una persona potrebbe sopravvivere al terrificante fenomeno.

Il software Nukemap si basa su dati resi pubblici, e sui modelli di armi nucleari e i loro effetti — fattori come dimensione del fungo atomico, raggio di distruzione, zone di radiazione e altro. Elabora i numeri e poi dà i risultati sotto forma di grafici su una mappa interattiva”.

Questa app - per certi versi sconcertante per altri illuminante – consente diverse funzioni. “Le opzioni preimpostate – continua l’articolo - ti permettono di scegliere esplosioni storiche e recenti, tra cui i test atomici nordcoreani e la Bomba Zar, l’ordigno nucleare più potente mai fatto esplodere. Lo strumento consente anche una stima delle vittime e dei feriti a seconda della potenza, altitudine e posizione dell’arma.

Il più recente aggiornamento di Wellerstein ha debuttato la settimana scorsa e offre una nuova opzione interessante: un modo per vedere quanto se la passa bene qualcuno all’interno di un rifugio antiatomico.

La versione precedente di Nukemap poteva generare una nuvola di fallout radioattivo e mostrare agli utenti come avrebbe potuto disperdersi in base alle reali condizioni climatiche. Adesso, uno strumento “sonda” ti permette di analizzare questa nuvola e di stimare meglio le tue possibilità di sopravvivenza al suo interno.

La caratteristica consente agli utenti di scegliere un determinato punto e di capire l’ammontare di esposizione alla radioattività nel corso di un certo periodo di tempo e i suoi effetti. Puoi capire come i diversi tipi di rifugi influenzano tale esposizione. Tra le opzioni: nessun rifugio, la cantina di una casa a un piano, il centro di un edificio per uffici, e così via.

Come esempio, immagina che una bomba da 150 chilotoni esploda a New York (vicino al suolo).

Tale potenza, in chilotoni di Tnt, sarebbe dieci volte superiore rispetto a quella della bomba sganciata su Hiroshima. Nukemap prevede così che il fallout pericoloso generato da un tale cataclisma potrebbe diffondersi al Connecticut fino a Stamford.

Questo tipo di bomba sarebbe simile in potenza alle bombe all’idrogeno che la Corea del Nord potrebbe fare arrivare fino agli Stati Uniti orientali (Wellerstein ha sviluppato anche la browser app Missilemap per valutare la portata dei missili balistici intercontinentali a testata nucleare).

Nell’esplosione dell’esempio, una persona all’aria aperta in un parco di Stamford, nel Connecticut, potrebbe essere esposta a 116 rad di radiazioni nel corso di 5 ore, tanto da indurre malattie secondo Nukemap, dato che sarebbe sufficiente a indebolire il sistema immunitario (tra le altre cose).

Nel frattempo, se questo cittadino del Connecticut dovesse nascondersi in cantina di un vicino edificio di tre piani per 72 ore, sarebbe esposto solo a 8 rad - approssimativamente la stessa quantità cui sono esposti gli astronauti dopo aver vissuto sei mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale”.

Ipotesi che fanno accapponare la pelle. Scenari da brivido in questa app, probabilmente anzi sicuramente la più angosciante che sia mai stata progettata. Ma l’inventore non è né un ciarlatano né un superficiale. Al contrario.

Prosegue l’articolo: “La funzionalità con la nuvola di fallout presente in Nukemap mostra che il fallout è limitato fondamentalmente alle esplosioni che avvengono vicino al suolo — al contrario delle esplosioni aeree a centinaia di metri o addirittura chilometri di altitudine. Questo perché il fallout consiste quasi interamente di polvere e detriti che vengono aspirati da un’esplosione nucleare, irraggiati a livelli pericolosi, spinti nell’atmosfera e sparsi su grandi distanze (per cui un’esplosione in alto nel cielo non può aspirare la stessa quantità di suolo e macerie).

In ogni caso, gli esperti di sicurezza nucleare dicono che 48 ore è la quantità di tempo minima per rifugiarsi, dato che la radioattività da fallout si allontanerebbe dai livelli pericolosi dopo questo periodo.

Wellerstein spera che il suo strumento porti le persone a comprendere questo tipo di informazioni tramite sperimentazione e iterazione.

Spero che le persone capiscano cosa potrebbe fare un ordigno nucleare ai luoghi che conoscono bene, e come la grandezza diversa di armi nucleari provochi risultati diversi”, ha scritto sul suo sito.

L’aggiornamento a Nukemap arriva in parallelo all’impegno di Wellerstein e di altri suoi colleghi dello Stevens Institute of Technology in un’iniziativa chiamata Reinventing Civil Defense.

Così, se non ti trovi nell’epicentro, sei consapevole di un possibile attacco e sai cosa fare — e cosa evitare, come salire in macchina — hai una possibilità di sopravvivere (escludendo una guerra nucleare globale).

Il che non vuol dire che dovremmo abituarci all’idea delle armi nucleari o considerare inevitabile o normale il loro impiego. Al contrario: una tendenza simile avvicinerebbe il mondo a un conflitto nucleare catastrofico, magari involontario”.

Lo storico perviene nell’intervista a Business Insider alla seguente conclusione: “Una concezione più razionale, seria ed equilibrata di queste armi, secondo la mia esperienza, porta le persone ad affrontarle in maniera più seria. Una detonazione nucleare non sarebbe la fine di tutto, ma dobbiamo impegnarci a evitarla praticamente ad ogni costo”.


3. “Status of World Nuclear Forces”

La FAS (Federation of American Scientists) è stata fondata nel 1945 dagli scienziati che costruirono la prima bomba atomica ed ha l’obiettivo di sensibilizzare sui rischi di un eventuale conflitto atomico. Scrivono Hans M. Kristensen e Matt Korda nell’aprile 2020 sul sito della FAS (il testo è in inglese, la traduzione nostra): “Il numero di armi nucleari nel mondo è diminuito in modo significativo dalla Guerra Fredda: da un picco di circa 70.300 nel 1986 a 13.410 stimato all’inizio del 2020. I funzionari governativi spesso descrivono tale risultato a seguito di accordi di controllo degli armamenti attuali o recenti, ma la parte schiacciante della riduzione è avvenuta negli anni ’90. Alcuni confrontano anche i numeri di oggi con quelli degli anni ’50, ma è come confrontare mele e arance; le forze di oggi sono di gran lunga più capaci. Il ritmo della riduzione è rallentato in modo significativo rispetto agli anni ’90. Invece di pianificare il disarmo nucleare, gli stati dotati di armi nucleari sembrano progettare di conservare grandi arsenali per il futuro indefinito, stanno aggiungendo nuove armi nucleari e stanno aumentando il ruolo che tali armi svolgono nelle loro strategie nucleari.

Nonostante i progressi nella riduzione degli arsenali nucleari della Guerra Fredda, l’inventario combinato mondiale di testate nucleari rimane a un livello molto alto: circa 13.410 tesate all’inizio del 2020. Di queste, circa 9.320 sono negli arsenali militari (il resto è in attesa di smantellamento), di cui circa 3.720 testate sono schierate con forze operative. Delle circa 3.720 testate schierate con forze operative circa 1.800 testate statunitensi, russe, britanniche e francesi sono in stato di massima allerta (high alert), pronte cioè per l’uso con un breve preavviso.

Circa il 91 per cento di tutte le testate nucleari sono di proprietà di Russia e Stati Uniti che hanno a disposizione nei loro arsenali circa quattromila testate ciascuna. Nessuna altra potenza nucleare ravvisa la necessità di disporre per la sicurezza nazionale di più di qualche centinaio di testate atomiche.

A livello globale il numero di armi nucleari è in calo ma il ritmo della riduzione sta rallentando rispetto agli ultimi 30 anni. Gli Stati Uniti, la Russia e il Regno Unito stanno riducendo gli inventari generali delle testate, Francia e Israele hanno inventari relativamente stabili mentre Cina, Pakistan, India e Corea del Nord stanno incrementando gli inventari delle testate.

Tutti gli stati dotati di armi nucleari continuano a modernizzare le loro forze nucleari, aggiungendo nuovi tipi, aumentando il ruolo che svolgono e sembrano impegnati a conservare le armi nucleari per un futuro indefinito.

Il numero esatto di armi nucleari in possesso di ciascun paese è un segreto nazionale strettamente custodito – conclude il rapporto dei due studiosi – tuttavia il grado di segretezza varia considerevolmente da paese a paese. Tra il 2010 e il 2018 gli Stati Uniti hanno rivelato le dimensioni complessive delle scorte ma nel 2019 l’amministrazione Trump ha interrotto tale pratica. Nonostante queste limitazioni, comunque, le informazioni disponibili al pubblico, una attenta analisi dei registri storici e occasionali rivelazioni consentono di effettuare stime attendibili su dimensione e composizione dei “national nuclear weapons stockpiles” “.

Nel report dei due analisti a questo punto viene presentata una complessa tabella intitolata Status od World Nuclear Forces 2020. Tabella a cinque colonne strutturata per essere aggiornata periodicamente. La prima colonna Deployed Strategic ossia “Testate strategiche schierate” indica il numero di ordigni nucleari schierati su missili intercontinentali e su bombardieri strategici (comprese le testate imbarcate sui temibili sottomarini nucleari strategici in perenne navigazione sotto le superfici di oceani e mari): Russia 1.572, Usa 1.600, Francia 280, Regno Unito 120. La seconda colonna Deployed Nonstrategic ossia “Testate non strategiche schierate” enumera quelle posizionate su sistemi d’arma, vettori o basi operative a corto raggio: Usa 150, mentre non sono disponibili i dati di tutti gli altri paesi possessori di armi nucleari ed addirittura nella casella della Cina è presente un punto interrogativo. La terza colonna Reserve/Nondeployed ossia “Riserva/Non schierate” conta gli ordigni non schierati sui lanciatori ma in deposito e in questo caso l’elenco comprende tutte le potenze nucleari: Russia 2.740, Usa 2.050, Francia 10, Cina 320, Regno Unito 75, Israele 90, Pakistan 160, India 150, Corea del Nord 35. La penultima colonna è etichettata come Military Stockpile. Comprende testate attive e inattive sotto la custodia dei militari e destinate all’uso da parte delle forze militari: Russia 4.312, Usa 3.800, Francia 290, Cina 320, Regno Unito 195, Israele 90, Pakistan 160, India 150, Corea del Nord 35. Infine la colonna Total Inventory: l’inventario riassuntivo/complessivo che conta le testate schierate e in deposito negli arsenali e in più gli ordigni nucleari ritirati, non più in postazione ma ancora intatti, in attesa di smantellamento. Ecco i numeri del totale dei nostri giorni, in pratica aggiornato in tempo reale o quasi: Russia 6.372, Usa 5.800, Francia 290, Cina 320, Regno Unito 195, Israele 90, Pakistan 160, India 150, Corea del Nord 35. Sommano in questo funesto e “virato” 2020 qualcosa come 13.412 bombe nucleari o, più correttamente come chiariremo a breve, termonucleari. Un numero sconvolgente. Se per ipotesi teorica si impiegassero tutte si potrebbe distruggere tutta la Terra in ogni suo angolo non una ma decine o più probabilmente centinaia di volte. Una follia già solo un simile sfoggio di ordigni. Molto costosi da produrre e tenere in servizio – per non parlare dei costi elevatissimi dei loro vettori – e di cui sono piuttosto complicati ed onerosi persino lo smantellamento e la distruzione.


4) Il calo numerico (ma non in potenza distruttiva) rispetto al 2019 e le incrinature della “deterrenza”

Ogni 26 settembre si celebra la Giornata internazionale per l'eliminazione delle armi nucleari. Istituita dalle Nazioni Unite, punta a sensibilizzare la comunità internazionale sull’importanza del disarmo quale condizione essenziale per garantire la pace e la sicurezza. Un obiettivo che, nonostante la crescente preoccupazione, continua ad essere ostacolato dalla dottrina della "Deterrenza nucleare" che rappresenta ancora oggi un elemento costitutivo delle politiche di sicurezza di gran parte delle grandi potenze. Non a caso più della metà della popolazione mondiale vive in paesi dotati di armamenti nucleari o che fanno parte di alleanze nucleari.

Nel 2020 rispetto al 2019 si continua a registrare un leggero calo. Numerico ma non in termini di potenza distruttiva e soprattutto di velocità ed inintercettabilità dei vettori che trasportano le bombe termonucleari.

Scrive Daniele Brunetti (“Skytg24”, 26 settembre 2019): “(…) In un documento dello scorso aprile diffuso dalla Commissione per la Sicurezza e la Difesa dell’Assemblea parlamentare Nato si afferma che "nel contesto della Nato, gli Stati Uniti stanno schierando circa 150 armi nucleari in Europa, in particolare le bombe libere B61, che possono essere schierate sia dagli aerei statunitensi che da quelli alleati. Queste bombe sono immagazzinate in sei basi americane ed europee. Kleine Brogel in Belgio, Büchel in Germania, Aviano e Ghedi-Torre in Italia, Volkel in Olanda e Incirlik in Turchia". Il governo italiano, però, non ha mai ammesso apertamente la presenza di queste testate nucleari sul suo suolo. Lo scorso luglio il documento è stato poi ripubblicato in una versione rivisitata dove non si fa riferimento al numero delle bombe nucleari presenti sul territorio europeo.

Secondo l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace (Sipri), con sede a Stoccolma, le testate in possesso di stati all’inizio 2019 sono diminuite rispetto all’anno precedente. Nello specifico, stando alle stime del Sipri, all’inizio del 2019 sarebbero state 13.865, mentre a gennaio del 2018 erano circa 600 in più. Numeri molto più bassi rispetto al picco di 70mila testate raggiunto in piena Guerra Fredda, a metà degli anni Ottanta. Nonostante ciò, secondo Shannon Kile, direttore del programma di controllo delle armi nucleari del Sipri e coautore del rapporto, è necessario tenere un livello di allerta molto alto. Ad esempio, nota l’esperto, l’accumulo di armi nucleari su entrambi i lati del confine indo-pachistano rafforza il pericolo che un conflitto convenzionale possa degenerare in una guerra nucleare. (…)”.

Nel crescente disordine internazionale tre teorizzazioni e applicazioni strategiche rischiano di annullare, o comunque compromettere fortemente, la funzione di deterrenza degli armamenti nucleari. La prima: i vettori strategici di nuova generazione (missili ipersonici) possono colpire da un continente all’altro nel giro di pochi minuti e sono quindi di fatto inintercettabili, ammesso che prima i cosiddetti “missili antimissili” fossero in grado di intercettare nell’atmosfera i vettori balistici prima che raggiungessero il loro obiettivo a terra. La seconda: anno dopo anno nei documenti riservati e nei piani degli strateghi militari si consolida il convincimento dell’uso tattico localizzato delle armi nucleari, non le più terrificanti quanto a megatoni delle esplosioni ma quelle “minori”, cosiddette “di teatro” cioè da impiegare per i campi di battaglia. Orientamento non nuovo ma ormai sempre più teorizzato, suggerito e considerato accettabile in una crisi tra superpotenze (Cina contro Stati Uniti, Stati Uniti contro Russia) o regionale. La terza: potenze militari regionali come nel caso ieri ed oggi di India e Pakistan e domani (non appena Teheran emulando la Corea del Nord realizzerà il suo criminale disegno di dotarsi di armi nucleari) Iran ed Israele o Iran ed Arabia Saudita - che nel frattempo si doterà anch’essa di un arsenale nucleare - avranno una poco controllabile tendenza a fare ricorso ai loro arsenali atomici. Realizzando così quella che era stata una sorta di profezia di Indira Gandhi, primo ministro indiano dal 1966 al 1977 e dal 1980 al 1984, la quale in più di una intervista si era dichiarata convinta che “la Terza Guerra Mondiale scoppierà in Asia”.


5.Tra Fisica e Storia: la bomba atomica

La bomba atomica ("bomba A" secondo una terminologia originaria) è il nome comune della bomba a fissione nucleare. Un ordigno esplosivo, appartenente al gruppo delle armi nucleari, la cui energia è prodotta da una reazione a catena di fissione nucleare. Nell'uso moderno il termine "bomba atomica" o "bomba nucleare" viene usato anche per indicare armi a fusione nucleare, termonucleari, in quanto queste ultime costituiscono quasi interamente gli arsenali nucleari di oggi.

Intanto iniziamo cercando di capire come funzionano le armi del primo tipo, cioè a fissione, il cui meccanismo costituisce comunque anche l'innesco delle bombe a fusione e quindi è contenuto anche in queste ultime.

Si basa su un processo di divisione del nucleo atomico di un elemento pesante, detto fissile, in due o più nuclei di massa inferiore, provocato dalla collisione con un neutrone libero. La rottura del nucleo produce a sua volta, oltre che nuclei più leggeri, anche solitamente qualche altro neutrone libero, oltre ad una quantità molto significativa di energia. Se il materiale fissile ha un grado di concentrazione sufficiente ed è in una massa sufficientemente grande, detta massa critica, i neutroni liberi prodotti a loro volta sono in grado di colpire nuovi nuclei di elemento fissile, producendo una reazione a catena che si propaga per tutta la massa di materiale liberando un'enorme quantità di energia in un tempo brevissimo.

Il fondamento teorico è il principio di equivalenza massa-energia, espresso dall'equazione E=mc2 prevista nella teoria della relatività ristretta di Albert Einstein. Questa equivalenza suggerisce in linea di principio la possibilità di trasformare direttamente la materia in energia o viceversa. Einstein non vide applicazioni pratiche della scoperta. Intuì però che il principio di equivalenza massa-energia poteva spiegare il fenomeno della radioattività ovvero che certi elementi emettono energia spontanea.

Successivamente si avanzò l'ipotesi che alcune reazioni che implicano questo principio potevano effettivamente avvenire all'interno dei nuclei atomici. L'idea che una reazione nucleare si potesse produrre artificialmente e in misura massiccia, sotto forma cioè di reazione a catena, fu sviluppata nella seconda metà degli anni trenta in seguito alla scoperta del neutrone. Alcune delle principali ricerche in questo campo furono condotte in Italia da Enrico Fermi.

Un gruppo di scienziati europei rifugiatisi negli Stati Uniti d’America (Enrico Fermi, Leò Szilàrd, Edward Teller ed Eugene Wigner) si preoccuparono del possibile sviluppo militare del principio. Nel 1939 Fermi e Szilàrd, in base ai loro studi teorici, persuasero Albert Einstein a scrivere una lettera al presidente Roosevelt. Nella lettera si segnalava la possibilità ipotetica di costruire una bomba utilizzando il principio della fissione e che era probabile che il governo tedesco avesse già disposto ricerche in materia. Il governo statunitense cominciò così a interessarsi alle ricerche.

La prima bomba atomica fu realizzata con un progetto sviluppato segretamente dal governo degli Stati Uniti. Il programma assunse scala industriale nel 1942 (“Progetto Manhattan”). Per produrre i materiali fissili, l'uranio-235 e il plutonio-239, furono costruiti giganteschi impianti. Con una spesa complessiva non meno colossale di ben due miliardi di dollari dell'epoca. I materiali (esclusi il plutonio prodotto nei reattori dei laboratori di Hanford nello stato di Washington e l'uranio prodotto nei laboratori di Oak Ridge nel Tennessee) e i dispositivi tecnici, principalmente il detonatore a implosione, furono prodotti nei laboratori di Los Alamos, un centro creato appositamente nel deserto del Nuovo Messico. Il progetto era diretto da Robert Oppenheimer e includeva i maggiori fisici del mondo, molti dei quali profughi dall'Europa a seguito delle persecuzioni razziali naziste nei confronti degli ebrei.

La prima bomba al plutonio (nome in codice "The Gadget") fu fatta esplodere il 16 luglio 1945 nel poligono di Alamagordo, nel Nuovo Messico. La prima bomba all'uranio ("Little Boy") fu sganciata sul centro della città giapponese di Hiroshima il 6 agosto 1945. La seconda bomba, al plutonio, denominata in codice "Fat Man", fu sganciata invece su un’altra città giapponese, Nagasaki, il 9 agosto. Sono stati finora gli unici casi d'impiego bellico di armi nucleari, nella forma del bombardamento strategico.

L'Unione Sovietica recuperò rapidamente il ritardo. Stalin attivò la cosiddetta “Operazione Borodino” che, grazie alla ricerca sovietica e anche all'apporto di spie occidentali, raggiunse inattesi successi. La prima bomba a fissione venne sperimentata il 29 agosto1949, ponendo così fine al breve monopolio degli Stati Uniti. Il Regno Unito, la Francia e la Cina sperimentarono un ordigno a fissione rispettivamente nel 1952, nel 1960 e nel 1964. Israele costruì la prima arma nel 1966, si ritiene effettuò un test insieme al Sudafrica nel 1979 e il suo arsenale è tuttora non dichiarato. L'India effettuò il suo primo test nel 1974. Il Pakistan cominciò la produzione di armi nucleari nel 1983 ed effettuò un test nel 1998. La Corea del Nord effettuò un primo test nel 2006. Le testate nucleari, basate sia sul principio della fissione nucleare che della fusione termonucleare, possono essere installate, oltre che su bombe aeree, su missili pronti al lancio in postazioni segrete o mobili o imbarcati su navi e sottomarini, proiettili d'artiglieria, mine o siluri.

Nel 1955 fu compilato il “Manifesto di Bertrand Russell-Albert Einstein”: il filosofo e il fisico promossero una dichiarazione invitando gli scienziati di tutto il mondo a riunirsi per discutere sui rischi per l'umanità delle armi nucleari.

Il Sudafrica, che aveva cominciato la produzione di bombe atomiche nel 1977, è stato l'unico paese a cancellare volontariamente il suo programma nucleare nel 1989, smantellando sotto il controllo dell'AIEA tutte le armi già costruite.


6.Tra Fisica e Storia: la bomba termonucleare (bomba H)

Il termine "bomba atomica" nella classificazione originaria di "bomba A" indicava propriamente solo le bombe a fissione. Quelle che invece utilizzano la fusione termonucleare sono chiamate bombe H o bombe all'idrogeno o anche raggruppate nella definizione di "armi termonucleari". Le armi nucleari presenti negli arsenali contemporanei sono praticamente tutte di quest'ultimo tipo. La bomba a fissione è comunque una componente fondamentale delle armi termonucleari, costituendone il cuore o l'innesco. Le armi termonucleari sono perciò bombe a "due stadi": la fusione di nuclei leggeri può essere innescata solo con energie altissime e la bomba a fissione è l'unico dispositivo capace di produrre gli altissimi valori di pressione e temperatura indispensabili per innescare la reazione di fusione termonucleare.

Il principio della bomba atomica è la reazione a catena di fissione nucleare, il fenomeno fisico per cui il nucleo atomico di certi elementi con massa atomica superiore a 230 si può dividere (fissione) in due o più nuclei di elementi più leggeri quando viene colpito da un neutrone libero. La fissione si può innescare in forma massiccia, cioè come reazione a catena, se i nuclei fissili sono tanto numerosi e vicini fra loro da rendere probabile l'ulteriore collisione dei neutroni liberati con nuovi nuclei fissili. Gli isotopi che è possibile utilizzare nella pratica sono l'uranio-235 e il plutonio-239. Questi metalli pesanti sono i materiali fissili per eccellenza.

I neutroni liberati dal processo possono urtare a loro volta altri nuclei fissili presenti nel sistema che quindi si fissionano liberando ulteriori neutroni e propagando la reazione a catena in tutta la massa di materiale.

La bomba viene fatta detonare concentrando insieme il materiale fissile per mezzo di esplosivi convenzionali che portano istantaneamente a contatto le varie masse o fanno collassare il guscio sferico, unendo così il materiale in una massa supercritica.

Energia e potenza dell'ordigno nucleare sono funzioni dirette della quantità di materiale fissile e della sua percentuale di arricchimento, così come dell'efficienza dell'arma, cioè la percentuale di materiale che effettivamente subisce la fissione, quest'ultima determinata dalla qualità o dalla taratura del suo sistema di detonazione.

La massa di materiale fissile in una bomba atomica è detta nocciolo. I materiali fissili utilizzati nelle atomiche sono il plutonio-239 o l'uranio arricchito. Possono essere prodotti solo in paesi altamente industrializzati, essendo richiesta a monte l'esistenza di un ciclo di arricchimento dell'uranio o di reattori nucleari o altri sistemi capaci di produrre plutonio-239 a partire dall'isotopo uranio-238 attraverso la reazione nucleare di fertilizzazione.

Per poterne accumulare una quantità sufficiente occorre quindi "arricchire" l'uranio del proprio isotopo 235. Il nocciolo di una bomba all'uranio deve cioè essere composto di una massa composta in gran parte di uranio-235 ovvero di uranio altamente arricchito.

Una bomba atomica è formata da un nocciolo metallico di alcune decine di chilogrammi di uranio arricchito oltre il 93% (uranio "weapon-grade"), oppure di qualche chilogrammo di plutonio contenente almeno il 93% dell'isotopo 239 (plutonio "weapon-grade"). È possibile anche costruire una bomba utilizzando pochissimi chilogrammi di uranio, seguendo i principi costruttivi messi a punto per le bombe al plutonio. Altresì possibile, oggi, costruire bombe con mini-nocciolo che impiegano poche centinaia di grammi di plutonio. La massa del nocciolo è sempre, comunque, subcritica (se così non fosse la bomba esploderebbe anzitempo).

Il nocciolo è inserito in un contenitore di metallo pesante, come l'uranio-238, a formare uno spesso guscio detto "tamper" ("tampone" o "borraggio"). Limita la fuga all'esterno dei neutroni, utili alla reazione nel momento dell'esplosione e soprattutto ha la funzione di trattenere, mediante una reazione inerziale alla pressione esercitata dalla sua espansione termica, il nocciolo per il tempo necessario alla reazione, circa 1 microsecondo. Il tempo a disposizione per la reazione aumenta moltissimo l'efficienza cioè la percentuale di materiale che subisce la fissione.

L'esplosione viene innescata con l'uso di esplosivi convenzionali che avvicinano fra loro parti del nocciolo o lo modificano in modo da rendere la massa supercritica. Mediante sistemi di detonatori (che possono essere complessi e di tipo diverso) il nocciolo viene modificato nella forma e concentrazione in modo da portarlo a uno stato supercritico. Vi sono essenzialmente due tecniche alternative, dal punto di vista ingegneristico, per produrre questo effetto:

  1. il sistema a blocchi separati o detonazione balistica o "a cannone" ("gun-triggered fission bomb");

  2. il sistema a implosione. Molto più efficiente del sistema a blocchi separati ma anche estremamente più complesso da progettare. Si basa sull'esplosione simultanea di molti detonatori posti sulla superficie di una corona di materiale esplosivo che circonda il nocciolo a forma di sfera cava di massa subcritica in modo da produrre un'elevata pressione su quest'ultimo.

La bomba atomica sganciata su Hiroshima era un ordigno del primo tipo, la più semplice da realizzare in quanto richiede una tecnologia rudimentale.

Sono stati costruiti poche decine di ordigni come questo nel secondo dopoguerra, principalmente da Gran Bretagna e Unione Sovietica, smantellati negli anni cinquanta. Negli anni settanta il solo Sudafrica costruì cinque bombe come questa, anch'esse poi smantellate.

Il sistema di detonazione a implosione era utilizzato nella bomba esplosa su Nagasaki.

7. Conosciamo meglio la bomba H, quella termonucleare “in servizio”

Nell'aprile del 1946, nel corso di un incontro scientifico a Los Alamos, Edward Teller sostenne la fattibilità della bomba all'idrogeno e si dichiarò favorevole alla sua realizzazione. Altri scienziati manifestarono invece il loro scetticismo sulla possibilità di realizzare l'arma o, come Robert Oppenheimer, si dichiararono contrari alla sua costruzione per motivi etici. Nel gennaio del 1950, qualche mese dopo il test positivo della prima bomba atomica sovietica, il presidente statunitense Harry Truman ordinò di realizzare un programma per la costruzione della bomba all'idrogeno. Sotto la guida di Teller un gruppo di scienziati si radunò a Los Alamos per lavorare al programma.

C’è una costante nella corsa agli armamenti, sia convenzionali che a maggior ragione nucleari: si realizza un’arma sempre più letale e per un breve periodo di tempo si mantiene il primato distruttivo. Ma si viene raggiunti presto dall’antagonista o dagli antagonisti. E si riparte per cercare di raggiungere un livello distruttivo superiore che il nemico, piuttosto prima che poi, raggiungerà e supererà. Una corsa al rialzo che non si pone limiti distruttivi.

La prima bomba H degli Stati Uniti fu sperimentata nel novembre del 1952, mentre l'Unione Sovietica sperimentò il suo primo ordigno (alla cui realizzazione contribuì molto Andrej Sacharov) nell'agosto del 1953. Seguirono il Regno Unito, la Cina, la Francia e l'India rispettivamente nel 1957, 1967, 1968 e 1998. Nel 1961, in una serie di test nucleari, l'Unione Sovietica fece esplodere la più potente bomba mai realizzata che liberò un'energia pari a 3.125 volte la bomba a fissione lanciata su Hiroshima. Il 3 settembre 2017 la Corea del Nord ha fatto esplodere una bomba termonucleare, evento registrato dai sismografi che hanno percepito un terremoto di 6.8 gradi della scala Richter nella penisola coreana.

A differenza della bomba atomica, per la quale le dimensioni massime sono vincolate dal fatto che le singole masse di uranio o plutonio prima dell'innesco devono essere tutte inferiori alla massa critica, con quella H non vi è alcuna limitazione teorica di potenza: tale potenza è una funzione a scalino di un certo numero di variabili. Inoltre la bomba termonucleare non necessita di una massa critica a differenza della bomba A. Anche se, essendo necessaria quest'ultima per attivare il processo di fusione termonucleare, rimane ugualmente la necessità a monte di una massa critica.

Analogamente alla bomba A, la bomba H può essere installata su diversi sistemi d'arma: aerei, missili balistici, missili lanciati da sottomarini, ma a differenza della bomba A la bomba H non è mai stata impiegata finora in operazioni belliche.

La bomba all'idrogeno è un ordigno esplosivo a due stadi, cioè un assemblaggio che contiene una bomba a fissione montata insieme a un fusto contenente un preparato a base di un isotopo dell'idrogeno (solitamente trizio). La bomba atomica fornisce l'energia necessaria all'innesco della fusione nucleare della massa di idrogeno presente nel contenitore, la cui geometria costruttiva di solito include all'interno ulteriori elementi di materiale fissile (come cilindri cavi di uranio). La fusione nucleare, infatti, è un processo che può essere innescato solo portando l'idrogeno a temperature nell'ordine di molti milioni di gradi e da pressioni altissime e la bomba atomica è l'unico dispositivo che può fornire tale energia in modo istantaneo. L'innesco della fusione nucleare è termico. Da ciò deriva il nome dell'ordigno.

A differenza di ciò che avviene con una bomba a fissione, non esiste un limite di progettazione intrinseco alla potenza di una bomba a fusione. Le bombe all'idrogeno però non sono necessariamente progettate per essere ordigni più potenti delle bombe atomiche. In effetti le armi termonucleari presenti negli arsenali moderni sono per la maggior parte ordigni con una potenza contenuta che si potrebbe ottenere anche utilizzando la sola fissione. Il principale motivo per cui si sceglie di produrre testate termonucleari anziché a semplice fissione, al giorno d'oggi, è che consente di utilizzare meno materiale fissile per ottenere la stessa potenza e perché ciò favorisce l'efficienza e la miniaturizzazione delle testate.

Il classico tipo di bombe a fusione fu progettato da Edward Teller e Stanislaw Ulam impiegando un'esplosione a tre stadi (fissione-fusione-fissione): viene spesso applicato ai missili balistici intercontinentali con testata nucleare di elevato potenziale.

Una volta che la bomba a fissione viene fatta brillare si verifica una serie complessa di eventi:

  1. i raggi X dovuti allo scoppio della bomba a implosione riscaldano l'intero nucleo, mentre le protezioni prevengono una detonazione prematura;

  2. il riscaldamento provoca un forte aumento di pressione che comprime il deuterio solido;

  3. nel frattempo comincia un processo di fissione nella canna di plutonio, il che provoca emissione di radiazioni e di neutroni;

  4. l'urto fra questi neutroni e il litio porta alla formazione di trizio;

  5. a questo punto si verifica la vera e propria fusione;

  6. all'enorme energia e calore appena sviluppati si aggiungono quelli della fissione indotta nei frammenti di uranio 238 interni all'ordigno (provenienti da cilindro e scudo);

  7. le energie prodotte da fissione e fusione si sommano dando vita ad una potentissima esplosione nucleare, nell'ordine di grandezza di numerosi megatoni.

L'intero processo dura 600 nanosecondi (un nanosecondo è un’unità di tempo pari ad un miliardesimo di secondo).

Sono quattro i fattori distruttivi dovuti all'esplosione di un ordigno nucleare:

  1. onda di calore fino a 20 milioni di gradi Celsius in corrispondenza del punto di detonazione;

  2. onda d'urto;

  3. emissione di radiazioni (direttamente con l'esplosione e tramite successivo fallout radioattivo);

  4. effetto EMP (Electro Magnetic Pulse), scoperto solo a partire da alcuni test nucleari dei primi anni sessanta.

8.Il cammino della bomba

Per controllare lo sviluppo degli arsenali atomici nel 1957 venne istituita l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) con sede a Vienna, nell'ambito del progetto americano "Atomi per la pace".

Nel 1968 venne ratificato il “Trattato di non proliferazione nucleare” mentre nel corso degli ottanta, sotto l'amministrazione Reagan e con la collaborazione del presidente sovietico Gorbačëv, si arrivò alla firma dei trattati “Start I” e “Start II” che prevedevano la progressiva riduzione dell'arsenale atomico delle due principali superpotenze, cresciuto fino ad una potenza sufficiente a distruggere più volte il pianeta.

Attualmente i paesi che dichiarano di possedere atomiche, facendo parte del cosiddetto "club dell'atomo", sono: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Pakistan, India, e Corea del Nord. A parte si colloca Israele, che ufficialmente non ha mai né confermato né negato di possedere armi nucleari, ma è certo disponga di un arsenale, del quale non ha mai annunciato ufficialmente una dottrina d'impiego, riservandosi il diritto di esercitare pressioni unilaterali su chiunque. Cinque Stati aderiscono al programma di "condivisione nucleare" della NATO, ospitando sul loro territorio armi nucleari statunitensi al fine di ricevere addestramento al loro impiego in caso di conflitto: Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia.

La Corea del Nord ha un programma nucleare dichiarato ufficialmente e il 9 ottobre 2006 ha effettuato il suo primo test di esplosione sotterranea, mentre altre nazioni, prima fra tutte l'Iran, sono fortemente sospettate di perseguire un programma di armamento nucleare. Gli unici Paesi al mondo che hanno pubblicamente e volontariamente rinunciato agli arsenali nucleari di cui disponevano sono il Sudafrica e, nell'ambito dei paesi dell'ex-Unione Sovietica, l'Ucraina, la Bielorussia ed il Kazakistan.


9.Il campionario degli ordigni atomici

Immaginate che un rappresentante di commercio, che chiameremo il signor Morte, vi mostri il suo campionario di ordigni atomici. Sostanzialmente vi illustrerà cinque prodotti o gruppi di prodotti con caratteristiche costruttive ed applicative che possono essere riassunte con relativa facilità.

Esistono diversi tipi di ordigni nucleari e sono quasi tutti delle bombe. La loro potenza esplosiva è devastante, superiore a quella di qualunque esplosivo chimico convenzionale: la potenza delle armi nucleari si misura infatti in kilotoni (Kt) e in megatoni (Mt), rispettivamente migliaia e milioni di tonnellate di tritolo necessarie per liberare la stessa energia.

1) La bomba atomica o bomba A, la prima ad essere costruita, sfrutta una reazione di fissione di uranio o plutonio e può raggiungere potenze variabili da 0,5 kilotoni a 1,5 megatoni, con una soglia critica individuata attorno ai 10 megatoni.

2) La bomba all'idrogeno o bomba H invece sfrutta la fusione fra nuclei di deuterio e trizio, riuscendo così a sprigionare molta più energia: questo tipo di bombe è il più potente in assoluto e arriva a sprigionare potenze pari a 100 megatoni.

3) La bomba al neutrone o bomba N, come la bomba H è una bomba a fissione-fusione-fissione ma a differenza di questa è studiata per sprigionare la maggior parte della sua energia come radiazioni (neutroni veloci). Lo scopo dell'ordigno è uccidere gli esseri viventi lasciando la maggior parte delle strutture nemiche intatte.

4) La bomba al cobalto, o bomba gamma o bomba G, è una particolare bomba H nella quale, al momento dell'esplosione, i neutroni prodotti dalla fusione termonucleare si uniscono al cobalto, forte emettitore di raggi Gamma. Può essere definita anche "bomba termonucleare sporca".

5) Le armi radiologiche sono una classe di bombe nucleari solamente teorizzate, dette anche bombe sporche: costituite da materiale radioattivo non fissile (che quindi non può esplodere con reazione nucleare, ma potrebbe incendiarsi se metallico) trattato per renderlo molto volatile ed associato ad una carica esplosiva convenzionale, di potenza anche modesta, con il compito di disperdere il materiale radioattivo nell'ambiente, contaminando oggetti e persone. La citata FAS, Federazione degli Scienziati Americani, sostiene che la "bomba sporca" sia una minaccia esagerata o falsa: lo stesso uranio usato per l'alimentazione delle centrali atomiche non è che debolmente radioattivo se non trattato in modo da innescare una reazione di fissione. Il lentissimo decadimento dell'uranio garantisce infatti una bassa contaminazione in caso di dispersione ambientale, pur restando la sua tossicità, paragonabile a quella di metalli pesanti come mercurio e cadmio. Il reale pericolo radioattivo di questi ordigni risulterebbe essere molto basso.

Il riconoscimento delle armi a bassa radioattività quali parte della classe delle armi atomiche potrebbe portare all'inclusione in tale categoria delle armi all'uranio impoverito che tante morti per cancro hanno provocato non solo nelle popolazioni ma anche nei ranghi degli stessi eserciti che ne hanno fatto uso o, pur non avendole impiegate, hanno operato in zone di guerra dove erano state utilizzate. Anche nelle file dell’esercito italiano – nel corso di esercitazioni e in operazioni all’estero assieme ad altre forze internazionali - sono stati registrati casi di successivo decesso ascrivibili all’uranio impoverito adoperato dagli Stati Uniti, sebbene contestati ed oggetto di contenziosi tra strutture militari e familiari dei deceduti.

Non esiste ad oggi un trattato internazionale sulle armi all'uranio impoverito.


10. Gli effetti dell’esplosione: la sfera di fuoco e il fronte d’urto

Gran parte dell'energia rilasciata dall'esplosione nucleare consiste semplicemente in energia radiante diretta, cioè calore effetto di irraggiamento luminoso prodotto dalla reazione nucleare. La luce viene irradiata dalla "sfera di fuoco" formata da gas ionizzati, che si espande nel punto di esplosione, per un tempo dell'ordine del millisecondo.

I gas di esplosione a centinaia di milioni di gradi emettono una radiazione luminosa di intensità tale che oggetti distanti anche centinaia di metri che vengono illuminati direttamente raggiungono temperature di migliaia di gradi in millesimi di secondo.

Un'altra considerevole porzione di energia si scarica sotto forma di onda d'urto supersonica prodotta dalla violenta espansione termica dell'aria. Il fronte d'onda causato da un'esplosione da 20 chilotoni ha una velocità supersonica entro un raggio di poche centinaia di metri e procede a velocità infrasoniche con effetti distruttivi fino a distanze nell'ordine di chilometri. Se la bomba esplode in atmosfera dove l'aria ha densità normale, si producono fronti d'onda d'urto - incluso quello emisferico generato per riflesso dalla superficie del terreno - che producono una sovrapressione nell'area di picco massimo. Il corpo umano ha una resistenza alta alle sovrapressioni. Tutte le parti dell'organismo umano, con l'eccezione della membrana del timpano, sono in grado di resistere bene a sovrapressioni anche 5-6 volte superiori a queste. Tuttavia, anche se il corpo umano è resistente alla pressione in sé, in pratica può essere investito dai detriti ad altissima velocità contenuti nel fronte d'urto o proiettato contro oggetti contundenti. Al contrario gli edifici - specie le costruzioni a uso civile - hanno di norma una resistenza alle sovrapressioni molto più bassa rispetto a quelle del fronte d'urto e le ampie superfici che li caratterizzano (pareti, tetti, finestre) traducono l'onda d'urto in forze enormi. Il fronte d'urto di una esplosione nucleare causa il crollo praticamente di tutti gli edifici nelle vicinanze. In una esplosione di 20 chilotoni l'onda d'urto è in grado di abbattere edifici a centinaia di metri o chilometri di distanza.

L'effetto di queste componenti distruttive (irraggiamento e onda d'urto) viene massimizzato se la bomba è fatta esplodere a una certa altezza dal suolo. Se la bomba esplode a terra, invece, gran parte della sua energia verrebbe assorbita dal terreno e i suoi effetti avrebbero un raggio ridotto.

Una quota non trascurabile di energia (5-10%) viene emessa sotto forma di radiazione ionizzante ad alte energie.

L'esplosione di un'arma nucleare al disopra di un'area densamente abitata produce, a causa dell'onda d'urto e delle temperature, un tappeto di macerie disseminato di numerosi piccoli focolai d'incendio. Quando si ha una vasta superficie su cui sono distribuiti numerosi punti di fuoco, la geometria delle correnti convettive causa un fenomeno detto superincendio (o Feuersturm) cioè l'unione di tutti i focolai in un unico incendio dell'intera superficie alimentato da una violentissima corrente convettiva centripeta. Secondo alcune stime, nei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki la quota maggiore di vittime sarebbe stata causata proprio dai superincendi che si sono sviluppati nel corso delle decine di minuti successivi all'esplosione.

Gli effetti di una esplosione nucleare su un'area abitata si possono quindi schematizzare nelle seguenti categorie:

A) Effetti diretti da irraggiamento termico/luminoso: le superfici illuminate direttamente dall'esplosione possono raggiungere temperature altissime, che dipendono però molto dal tipo di superficie e dal colore, cioè dalle proprietà di riflettere o assorbire la luce. Una esplosione nucleare produce due impulsi radianti, il primo compreso entro i primi 5-6 millisecondi e il secondo successivo agli 80-100 millisecondi, fino a tempi dell'ordine di 1 secondo. Il secondo impulso si ha quando la sfera di vapori dell'esplosione si è espansa a sufficienza da essere nuovamente trasparente. Le temperature raggiunte dalle superfici esposte, nel caso si tratti di superfici corporee di esseri viventi, possono causare ustioni mortali e anche distruggere gli organismi. È da notare che questo effetto si ha sulle persone che in quel momento si trovano in zone esterne direttamente esposte all'esplosione, non schermate da altri oggetti o da tute protettive. Il lampo dell'esplosione, avendo anche una forte componente di alte frequenze, può distruggere la retina causando cecità.

B) Effetti meccanici dell'onda d'urto: l'onda di sovrapressione distrugge istantaneamente edifici e manufatti a uso civile e ciò corrisponde a una immensa proiezione di detriti ad altissime velocità (centinaia di metri/secondo). A Hiroshima, frammenti di vetro proiettati dall'esplosione sono penetrati in muri di cemento anche a distanze di 2200 metri dall'epicentro dell'esplosione.

C) Radiazioni ionizzanti ad alte energie: le radiazioni emesse da un'esplosione nucleare sono prevalentemente di tipo gamma, hanno alta intensità, ma la loro emissione ha durata molto breve. I danni agli organismi viventi, come la malattia acuta prodotta dalle radiazioni o altre patologie, tra cui anche danni genetici causa di malformazioni di feti, possono essere causati non solo dall'esposizione diretta all'esplosione ma anche e soprattutto dal contatto con polveri e acqua contaminati.

D) Superincendi o Feuerstürm: coinvolgono le persone presenti nell'area delle macerie.

Una esplosione nucleare è molto diversa, sia quantitativamente che qualitativamente, da una convenzionale. Il primo effetto chiaramente visibile è il cosiddetto fungo atomico: una colonna di vapore, residui e detriti che si solleva per molti chilometri dal luogo dell'esplosione. Oltre al calore e all'onda d'urto, comuni a tutte le esplosioni, vi sono quattro caratteristiche peculiari delle esplosioni nucleari:

  • Il lampo: l'innesco della reazione nucleare genera una quantità enorme di fotoni di luce visibile, che creano un lampo istantaneo, intensissimo, visibile perfettamente anche da migliaia di chilometri: la sua intensità è tale da accecare permanentemente chiunque sia rivolto verso l'esplosione.

  • L'impulso elettromagnetico: durante la reazione nucleare avviene una temporanea separazione di cariche elettriche che genera un campo elettromagnetico istantaneo, contemporaneo al lampo: a distanza di alcuni chilometri dal sito dell'esplosione si possono ancora avere tensioni indotte nei circuiti elettrici di molte migliaia di volt che portano in genere alla immediata distruzione degli stessi se non sono appositamente schermati. Tale effetto può essere preso in considerazione per inattivare gli apparati elettronici del nemico paralizzandone le comunicazioni.

  • La radioattività: parallelamente al lampo, si verifica anche un fortissimo irraggiamento di fotoni gamma (raggi gamma): il limite di sopravvivenza per irraggiamento radioattivo diretto da esplosione nucleare varia da 500-700 metri per una bomba A di media potenza a 5,5 km per le bombe H più potenti. Dopo l'esplosione la materia coinvolta nello scoppio, che è stata resa radioattiva dalle reazioni nucleari e scagliata o risucchiata in aria, inizia a ricadere (fallout nucleare) creando una zona di forte radioattività centrata nel punto dell'esplosione. Questa radioattività va attenuandosi col tempo ma può permanere a livelli pericolosi per decenni, rendendo la zona inabitabile.

  • Effetto NIGA (Neutron Induced Gamma Activity): se la sfera primaria, cioè la zona dove avvengono le reazioni nucleari, viene a contatto con il suolo, lo irraggia con neutroni rendendolo fortemente radioattivo, per attivazione neutronica.


11. Le esplosioni nucleari: tipologie, modalità, conseguenze

Le esplosioni nucleari possono essere classificate in cinque tipi:

  1. aero-alte: esplosione nella stratosfera, con forte rilascio di particelle alfa e beta e scarso rilascio di radiazioni gamma, che però vengono fermate dall'atmosfera; nessun danno agli esseri umani ma viene rilasciato un gigantesco impulso elettromagnetico (EMP) che distrugge qualunque apparecchiatura elettronica non protetta da adeguata schermatura o funzionante con valvole termoioniche; inoltre vengono azzerate le comunicazioni radio per un certo periodo a causa dei disturbi;

  2. aero-basse: esplosione nell'atmosfera a poche centinaia di metri di altezza, con forte rilascio di particelle alfa e beta e scarso rilascio di radiazioni gamma, letali nel raggio di diversi chilometri in un tempo breve. Modesto fallout nucleare;

  3. superficiali: esplosione a terra, con forte rilascio di radiazioni gamma e scarso rilascio di particelle alfa e beta; elevata ricaduta radioattiva dovuta alle polveri sollevate, pesantemente contaminate. Danni anche di tipo sismico alle cose ma minori effetti immediati sulle persone;

  4. sotterranee: nessun rilascio di particelle, che vengono schermate dal terreno, e di onde elettromagnetiche. Forte onda sismica, proporzionale alla potenza dell'arma. È usata principalmente nei test per le armi nucleari;

  5. sottomarine.

Gli effetti maggiormente significativi di un'arma nucleare – esplosione e radiazione termica – sulle zone e sulle persone colpite seguono lo stesso meccanismo di distruzione degli esplosivi convenzionali, con la differenza che l'energia liberata da un ordigno nucleare per grammo di esplosivo è milioni di volte più grande di quella di qualunque composto chimico e che le temperature raggiunte attorno al punto di detonazione raggiungono in breve i 10 MK.

Nelle fasi iniziali della detonazione l'energia di un esplosivo nucleare viene rilasciata in diverse forme di radiazione penetrante. La materia con cui quest'energia interagisce (aria, acqua, roccia) raggiunge celermente la temperatura di ebollizione, vaporizzandosi ed espandendosi a grande velocità. L'energia cinetica creata da tale espansione contribuisce alla formazione di un'onda d'urto. Quando la detonazione ha luogo a bassa quota in atmosfera, vicino cioè al livello del mare o del terreno, la gran parte dell'energia rilasciata interagisce con l'atmosfera e crea un'onda che si espande sfericamente dall'ipocentro. L’intensa radiazione termica scatena una palla di fuoco (fireball) e, se la quota è sufficientemente bassa, una nube a fungo (il fungo atomico). In una detonazione ad alta quota, dove invece la densità dell'aria è bassa, molta più energia viene rilasciata come radiazione gamma ionizzante e X piuttosto che come un'onda d'urto atmosferica.

Per le esplosioni aeree e vicine alla superficie circa il 50-60 per cento dell'energia rilasciata finisce nell'onda del blast, a seconda delle misure della bomba e del rapporto tra energia rilasciata (yield) e peso dell'ordigno. Come regola generale, la frazione di energia che si perde nell'esplosione vera e propria è maggiore per le bombe che rilasciano meno energia o pesano maggiormente. Inoltre, tale frazione diminuisce nelle detonazioni ad alta quota, perché c'è meno massa d'aria che sia capace di assorbire l'energia di irraggiamento e sia capace di convertirla nell'onda d'urto: tale effetto è particolarmente evidente sopra i 30 km di quota, dove l'aria ha meno di un centesimo della densità che ha al livello del mare.

La gran parte della distruzione causata da un'esplosione nucleare è dovuta agli effetti del blast. Gli edifici, al di fuori delle strutture rinforzate e resistenti a onde d'urto, subiscono danni gravi quando vengono sottoposti a sovrapressioni.

Il vento causato dall'esplosione può superare i 1000 km/h (secondo alcuni analisti anche i 1500 Km/h) e il raggio degli effetti diretti aumenta con la potenza rilasciata dall'arma, oltre che essere funzione della quota dello scoppio. Il raggio di massima distruzione non è maggiore per detonazioni a terra o a bassa quota, ma aumenta con l'altitudine fino a una quota di scoppio ottimale per poi diminuire a seguito di detonazioni a quote più alte.

Due fenomeni simultanei e distinti sono associati con l'onda esplosiva in aria:

  • Sovrapressione statica – l'aumento improvviso della pressione esercitato dalle onde d'urto. La sovrapressione in ogni punto è direttamente proporzionale alla densità dell'aria nell'onda.

  • Pressione dinamica – il trascinamento esercitato dai venti causati dall'esplosione. Questi venti spingono, smuovono e strappano oggetti.

Gran parte del danno materiale causato da uno scoppio nucleare è dovuto a una combinazione di sovrapressioni statiche e venti molto forti: l'estesa compressione dell'urto indebolisce le strutture fisse, poi strappate via dal vento. Le fasi di compressione, vuoto e trascinamento insieme possono durare diversi secondi ciascuna ed esercitare forze diverse volte più travolgenti di quelle causate dagli uragani più potenti.


12. Le conseguenze sui corpi umani

Agendo sul corpo umano le onde d'urto causano onde di pressione attraverso i tessuti che danneggiano soprattutto le giunzioni tra i tessuti di diverse densità (muscolo e osso) o l'interfaccia tra i tessuti e l'aria. I polmoni e la cavità addominale, che contengono aria, vengono duramente colpiti, sviluppando così gravi emorragie o embolie, ognuna delle quali ha effetti rapidamente fatali.

Le armi nucleari emettono grandi quantità di radiazione elettromagnetica sotto forma di luce visibile, infrarossa e ultravioletta. I principali rischi sono ustioni e danni irreversibili agli occhi. In giornate sgombre da nubi e foschia, la dannosità degli effetti termici ed elettromagnetici può estendersi ben oltre il raggio d'azione dell'onda d'urto: la luce emessa è così potente che rapidamente si diffondono incendi sulle macerie lasciate dal blast. Il raggio d'azione degli effetti termici si incrementa marcatamente con la potenza rilasciata dall'arma, costituendo il 35-45 per cento dell'energia emessa, a seconda del tipo utilizzato.

Esistono due tipi di danno oftalmico per gli occhi derivanti dalla radiazione termica di un tale ordigno:

  • Abbagliamento – è causato dal brillantissimo flash iniziale prodotto dalla detonazione nucleare. Un'energia luminosa maggiore di quanto possa essere tollerato, ma minore di quella richiesta per un danno irreversibile. La retina è particolarmente suscettibile alla luce visibile e alle fasce di radiazione infrarossa a più corta lunghezza d'onda poiché questa parte dello spettro elettromagnetico è focalizzato dal cristallino sulla retina stessa. Il risultato è uno sbiancamento dei pigmenti visuali e una cecità temporanea che può durare fino a 40 minuti.

  • Ustione della retina – una bruciatura anche parziale della retina, con conseguente cicatrizzazione, causata dalla focalizzazione da parte del cristallino di una grande quantità di energia termica può causare danni irreparabili. Accade sostanzialmente quando la palla di fuoco è davvero all'interno del campo visivo dell'individuo e sarebbe una lesione relativamente poco comune. Le ustioni della retina, comunque, possono verificarsi a distanze considerevoli dall'esplosione: le dimensioni relative della fireball, funzioni della potenza rilasciata e del raggio di esplosione, determinano il grado e il livello di cicatrizzazione della retina. Una cicatrice nella parte centrale del campo visivo sarebbe senza dubbio più debilitante: più in generale è probabile l'insorgenza di difetti visuali limitati, spesso appena percepibili dalle vittime.


13. L’esplosione e gli effetti sui materiali

Quando la radiazione termica colpisce un oggetto, parte è riflessa, parte trasmessa e per il resto assorbita. La frazione che viene assorbita dipende dalla natura e dal colore del materiale: un materiale più sottile trasmetterà maggiormente; un materiale di colore chiaro rifletterà maggiormente e quindi verrà meno danneggiato. L'assorbimento della radiazione alza la temperatura superficiale degli oggetti, causando deformazioni, bruciature e, infine, incendio dei materiali sottoposti, specie se facilmente infiammabili (legno, carta, fibre tessili). Se i materiali che li compongono sono cattivi conduttori di calore, questo resterà confinato sulla superficie esterna.

A Hiroshima si verificò una spaventosa conflagrazione – tempesta di fuoco – che si sviluppò 20 minuti dopo l'attacco e distrusse molti più edifici di quanto avesse già fatto la bomba. Una tempesta di fuoco causa potenti venti che soffiano verso il centro dell'incendio da ogni punto attorno a esso. Non si tratta tuttavia di un fenomeno peculiare delle esplosioni nucleari, essendo stato osservato nei grandi incendi boschivi a seguito dei raid incendiari scatenati durante la seconda guerra mondiale.

Poiché la radiazione termica viaggia più o meno in linea retta dalla palla di fuoco ogni oggetto opaco produrrà un'ombra protettiva. In presenza di nebbie o foschie la diffusione dell'energia termica scalderà gli oggetti da ogni direzione, riducendo radicalmente l'effetto protettivo dell'oscuramento, diminuendo però nel contempo il raggio d'azione dell'irraggiamento stesso.

Circa il 5 per cento dell'energia rilasciata in una detonazione nucleare aerea viene emesso nella forma di radiazione ionizzante: radiazione neutronica, raggi gamma, particelle alfa ed elettroni a velocità prossime a quelle della luce. I raggi gamma sono onde elettromagnetiche ad alta energia, le altre sono particelle che si muovono a velocità subluminali. I neutroni sono prodotti quasi esclusivamente dalle reazioni di fissione e fusione nucleare mentre la radiazione gamma iniziale proviene sia dalle reazioni nucleari sia dal decadimento a breve termine dei sottoprodotti della fissione.

L'intensità della radiazione nucleare iniziale diminuisce rapidamente con la distanza dall'ipocentro, perché la radiazione si estende su un'area progressivamente più grande mentre si allontana dal punto d'impatto. Viene ridotta anche dall'assorbimento atmosferico e dalla diffusione.

La radiazione neutronica ha l'effetto di trasmutare lo stato atomico della materia che subisce il bombardamento, spesso rendendola radioattiva. Quando si unisce alle polveri di materiale radioattivo rilasciate dalla bomba stessa, una grande quantità di sostanze radioattive molto leggere si sparge nell'ambiente: questa forma di contaminazione radioattiva è nota come fallout nucleare e costituisce il rischio primario di esposizione a radiazione ionizzante per le grandi armi nucleari.

L'onda di pressione di un'esplosione sotterranea si espande attraverso il terreno e causa un piccolo terremoto. La teoria suggerisce che una detonazione nucleare potrebbe scatenare una rottura tra le faglie e dunque un terremoto di piccola intensità a distanze entro alcune decine di km dall'epicentro.


14. Effetti immediati, a breve e medio termine, consolidati nel tempo nell’area dell’esplosione e nel pianeta. L’ “inverno nucleare”

Per guerra nucleare o guerra atomica si intende un conflitto tra due o più paesi nel quale le fazioni fanno uso di armi nucleari.

Gli effetti causati dalla detonazione di un'arma nucleare – lo ribadiamo - sono molteplici:

  • Emanazione luminosa: l'intensità della luce emessa è così grande da poter accecare istantaneamente una persona che la guardi direttamente anche a 60 chilometri di distanza. Testimonianze di alcuni sopravvissuti all'atomica di Hiroshima parlano dell'esplosione come dell'accensione di un secondo sole, ma 1000 volte più luminoso.

  • Calore: la temperatura nel punto preciso dell'esplosione qualche frazione di secondo dopo lo scoppio della bomba può raggiungere diversi milioni di gradi Celsius. Calore che può spazzare via qualsiasi forma di vita nel raggio di diversi chilometri.

  • Spostamento d'aria: la velocità del vento può raggiungere anche i 1000/1500 km/h ed una elevata temperatura che, nei territori compresi all'interno dei primi chilometri di raggio dall'esplosione, causa incendi e roghi spontanei indomabili, per poi diminuire con la distanza. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità questo, assieme al calore, rappresenta l'elemento che più di ogni altro causa distruzione di manufatti e morte degli esseri viventi nei primi istanti successivi alla detonazione.

  • Emissione radioattiva: data dall'emissione di radiazioni di tipo alfa, beta, gamma e neutroniche. A causare l’emissione, oltre all'esplosione, contribuiscono gli isotopi radioattivi rilasciati in una vasta area dall'ordigno. Poiché la vita media di questi elementi può avere un decorso di decine o migliaia di anni, può esserci un inquinamento radioattivo che si protrae per decine o migliaia di anni.

  • Dopo poche (2-3) ore dall'esplosione, avviene il richiamo di vaste masse d'aria circostanti, causato dalla rarefazione dell'aria negli istanti successivi all'esplosione. Quest'aria bollente e ad alta velocità causa generalmente incendi di vaste proporzioni nella zona investita.

  • Fallout radioattivo: ovvero la ricaduta di materiale radioattivo. Per le particelle più pesanti avviene nelle prime 24 ore successive all'esplosione, accompagnato da forti piogge acide e radioattive, che a loro volta contribuiscono a portare a terra gli elementi radioattivi rilasciati in atmosfera. Il materiale più leggero può invece decadere dopo periodi molto più lunghi e in territori molto più vasti.

  • Impulso elettromagnetico (EMP, Electro Magnetic Pulse): è dovuto al rilascio di radiazioni elettromagnetiche di alta intensità, che possono causare l'impossibilità di utilizzare apparecchiature elettroniche per un certo periodo. Questo effetto è molto noto in campo militare perché potrebbe impedire la reazione del nemico.

Gli effetti di esplosioni nucleari su vasta scala sono difficilmente immaginabili, soprattutto a causa dell'inquinamento da radiazioni che continuerebbe ad arrecare danni biologici anche per gli anni successivi e si estenderebbe velocemente su qualsiasi zona del mondo.
Inoltre, l'impatto distruttivo sulle cose risulterebbe pesantissimo: si può prevedere la distruzione totale della maggior parte delle grandi città della Terra. Anche se un paese o una regione non venissero direttamente investiti da un ordigno nucleare, tale regione pagherebbe comunque un prezzo elevatissimo di vittime: la radioattività arrecherebbe molti danni alla biosfera e alla litosfera e molte specie viventi si estinguerebbero.

Tra gli scenari ipotizzati riguardo al periodo successivo ad una guerra atomica, particolarmente richiamato è quello definito “inverno nucleare”. Secondo questa ipotesi, in caso di attacco atomico fra superpotenze, una gran quantità di detriti sollevati in aria dalle esplosioni sarebbe mantenuta in sospensione da venti e correnti atmosferiche, impedendo così ai raggi solari di attraversare l'atmosfera, inibendo il riscaldamento della Terra e la crescita di organismi animali e vegetali.


15. Scenari: guerre nucleari minori e guerre nucleari maggiori. Le conseguenze per l’umanità

Un attacco nucleare è un'azione militare basata sull'utilizzo di armi nucleari. Negli anni della Guerra Fredda ricerche sulle reazioni nucleari hanno portato alla realizzazione di tecnologie sempre più complesse e talmente sofisticate da permettere l'ipotesi di scenari futuristici di guerre nucleari in cui tutti gli equilibri della natura avrebbero vacillato e l'eccessiva potenza dell'uomo avrebbe potuto mettere in discussione l'esistenza stessa della civiltà umana. Tuttavia la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione dell'Unione Sovietica hanno decretato se non di fatto almeno in linea di principio la fine dell'era nucleare. Purtroppo si è trattato di una illusione durata solo qualche decennio. Oggi siamo precipitati nell’abisso di una Seconda Guerra Fredda tra Usa e Russia e, con ancora maggiore e sempre crescente avversione, tra Usa e Cina.

Per tutto l'arco della Prima Guerra Fredda l'Europa Occidentale dei paesi alleati della Nato avrebbe goduto di una protezione "teorica" da parte degli Stati Uniti nel caso fosse scoppiata una guerra nucleare fra la superpotenza americana e l'Unione Sovietica. In caso di attacco nucleare l'Europa sarebbe stata coperta da un "ombrello" atomico da parte degli Stati Uniti. L'ombrello atomico non fu mai una struttura fisica realmente esistente quanto piuttosto un codice teorico di norme strategico-militari congetturate dal Pentagono e approvate dalla Casa Bianca che con l'ausilio di una rete di elaboratori digitali collegati ad un circuito telematico satellitare ad alta priorità avrebbe permesso un'azione strategica automatica di risposta ad un eventuale attacco atomico da parte dell'Unione Sovietica in Europa.

Esaminiamo adesso gli effetti dell’impiego anche di un solo ordigno nucleare. Nell'evenienza del lancio di una sola bomba atomica di potenza di 20 megatoni si scatenerebbero molteplici effetti: nell'immediato la bomba rilascerebbe calore ed un'onda d'urto distruggendo tutto nel raggio di 3,2 chilometri in un millisecondo poiché la temperatura raggiungerebbe 11 milioni di gradi Celsius. In un raggio di 6,4 chilometri, invece, genererebbe un'onda d'urto tale da distruggere tutte le costruzioni in quell'area, includendo i rifugi sotterranei; nel raggio di 9,7 chilometri il calore sarebbe abbastanza alto da fondere le automobili; nel raggio di 16,1 chilometri il vento soffierebbe a 300 km/h distruggendo tutte le costruzioni in legno e lasciando solo lo scheletro in acciaio di quelle più moderne; nel raggio di 25 chilometri tutti i materiali infiammabili esploderebbero. Dopo pochi minuti si svilupperebbero incendi nel raggio di 50 chilometri.

Nel descrivere le conseguenze di una guerra nucleare è necessario dividere queste ultime in due categorie:

  • Guerre nucleari minori. Un esempio può essere un'ipotetica guerra tra Pakistan e India con 50 bombe atomiche lanciate per parte.

  • Guerre nucleari maggiori. Un esempio può essere un'ipotetica guerra tra Stati Uniti e Russia con 15/20 bombe atomiche da 0,5 megatoni lanciate su ogni città principale di entrambi gli stati.

Un'ipotetica piccola guerra atomica, ad esempio tra India e Pakistan, innescherebbe una carestia mondiale che porterebbe alla morte immediata di circa due miliardi di persone in tutto il mondo e rischierebbe persino di segnare la "fine della civiltà umana" perché distruggerebbe i raccolti, danneggerebbe l'ambiente e porterebbe i mercati mondiali nel caos.

Nel caso in cui scoppiasse una grande guerra atomica e “solo” 300 delle migliaia di testate nucleari dell'arsenale russo fossero lanciate sulle metropoli americane e viceversa morirebbero istantaneamente fino a 100 milioni di persone per schieramento e verosimilmente tutte o quasi le altre morirebbero principalmente a causa della congiunzione fra radioattività e assenza di cure (causata dalla morte o dalla malattia del personale medico e dall'assenza di strutture) ma anche per fame ed epidemie. Queste però sarebbero le conseguenze meno gravi: la nube di detriti sollevata dall'esplosione raffredderebbe la temperatura globale da 8 a 30 gradi (il già citato “inverno nucleare”) di fatto bloccando l'agricoltura o rendendola estremamente improduttiva con una conseguente carestia che potrebbe provocare una possibile estinzione della razza umana.

Altre conseguenze:

  • si verificherebbe la morte di un'enorme percentuale di piante stante la ridotta luce solare che penetrerà sulla Terra a causa della nube di detriti (cosa che renderebbe ancora più grave la carestia);

  • si registrerebbero alti livelli di radioattività anche nei paesi più lontani dal conflitto;

  • le tempeste di fuoco causerebbero la diminuzione del 16 per cento dell'ozono con una conseguente maggiore esposizione ai raggi ultravioletti, una riduzione del 7 per cento dei pesci e vari incendi difficili da controllare.


16. Variazioni sul tema: la bomba al neutrone (bomba N)

Ci siamo soffermati - a lungo, di proposito, in modo circostanziato - su scenari ed effetti dei conflitti in cui si farebbe ricorso alle armi termonucleari. Sia che si tratti di impiego tattico limitato sui campi di battaglia, sia che si tratti di conflitti regionali, sia a maggior ragione che si scateni il cosiddetto attacco reciproco parossistico, ossia il deliberato annientamento della civiltà, gli effetti sono devastanti. Anche a partire dal livello più basso, dall’impiego più limitato od addirittura isolato ad un unico ordigno nucleare.

Il quesito potrebbe apparire eccessivo ma viene sempre da chiedersi se per l’energia atomica il gioco valeva la candela e la conclusione è, per noi, scontata: l’umanità avrebbe potuto e dovuto fare tranquillamente a meno per il suo sviluppo di questo tipo di energia, così pericolosa e di problematico smaltimento anche negli impieghi civili. Figuriamoci in quelli – cataclismatici – militari.

Se la bomba termonucleare costituisce di gran lunga il modello-base, non dobbiamo trascurare che esistono numerose variazioni sul tema in fatto di armi di distruzione di massa. Sia nello stesso ambito nucleare che, come vedremo, in altri ambiti distruttivi.

Per restare al nucleare merita un approfondimento la cosiddetta “bomba al neutrone”.

Detta anche bomba N, è un'arma nucleare che affida il potenziale distruttivo non ad effetti termici o meccanici (rilevanti in ogni caso), come fanno l’atomica o la bomba all'idrogeno, bensì a un intenso flusso di neutroni.

La creazione della bomba al neutrone è in genere attribuita a Samuel Cohen del Lawrence Livermore National Laboratory, in California, che sviluppò il concetto nel 1958. Anche se inizialmente il Presidente Kennedy si oppose, i primi test di quest'arma furono autorizzati ed eseguiti nel 1962 in un poligono del Nevada. Il suo sviluppo fu in seguito bloccato dal Presidente Jimmy Carter nel 1978 ma nuovi fondi furono stanziati dal presidente Ronald Reagan nel 1981.

Si pensa che gran parte dell'arsenale nucleare degli USA sia stato smantellato dall'amministrazione del presidente George H. W. Bush. Anche la Francia produsse armi a "radiazione aumentata" nei primi anni ottanta ma si ritiene che abbia poi distrutto queste sue bombe.

Il "Cox Report" del 1999 indica che la Cina è in grado di produrre la bomba al neutrone ma in realtà si ignora se qualche Paese le abbia nel proprio arsenale.

Nella bomba al neutrone l'emissione del fascio di particelle è innescata dall'esplosione di un ordigno termonucleare di potenza relativamente limitata, che impiega la maggior parte dell'energia liberata per emettere neutroni. Questi, essendo privi di carica elettrica, riescono ad attraversare la materia con grande facilità, non causando danni a quella inanimata (ad eccezione dei vulnerabili circuiti integrati dei processori) ma causando mutazioni e rotture del DNA, potenzialmente o invariabilmente letali per la vita organica.

Nella versione americana della bomba al neutrone, dopo l'esplosione ad altezze inferiori ai 2 chilometri, gli effetti termici e meccanici dell'ordigno si sviluppano fino a un raggio di 0,6 km, mentre le radiazioni hanno effetto immediato entro un raggio di 1,3 km. I neutroni veloci generati dalla bomba interagiscono poco con l'atmosfera ma, per esempio, quando colpiscono le strutture d'acciaio della torretta di un carro armato interagiscono con i nuclei atomici del ferro della corazza (per l'alta densità di nuclei di ferro presenti) e così generano raggi gamma letali per gli esseri umani all'interno.

Al livello del terreno non si produce alcuna nube incandescente di fuoco, né devastanti ondate di vento. E non esiste alcun fallout radioattivo, perché soltanto gli strati profondi del suolo assorbono i neutroni, restituendo subito l'energia ricevuta dai neutroni sotto forma di raggi gamma. Questi strati non sono sollevati e quindi non si producono nuvole di polvere radioattiva.

Queste caratteristiche fanno della bomba N un'arma ad impiego tattico, adatta soprattutto a colpire esseri viventi dentro strutture metalliche e/o interrate. È efficace, ad esempio, per arrestare un'avanzata massiccia di mezzi terrestri (carri armati) o per colpire persone asserragliate in ricoveri sotterranei o in massicci edifici cittadini in cemento armato.

L'idea che la bomba al neutrone uccida le persone lasciando intatti gli edifici è inesatta. Nel raggio di 690 metri, infatti, lo scoppio di una bomba al neutrone da 1 chilotone causerebbe gravi danni alle strutture civili. E’ però una bomba "pulita", che non rilascia praticamente radiazioni persistenti, e quindi non provoca fallout radioattivo. Una bomba che colpisce il DNA di ogni essere vivente, liberando una grandissima quantità di neutroni.

Le bombe al neutrone potrebbero essere utilizzate come armi anti-missile ICBM strategici oppure come armi tattiche contro colonne di veicoli corazzati e blindati.

Come arma anti-missile, le bombe ER furono sviluppate per proteggere i silos missilistici degli Stati Uniti dai missili nucleari dell'Unione Sovietica (dalla potenza di 1-2 megatoni e capaci di distruggere a 1 chilometro di distanza un silos corazzato sotterraneo in cemento armato con anima in acciaio) danneggiandone le componenti elettroniche di guida e di detonazione, senza farne scoppiare la testata. Questo grazie ad un'alta fluenza neutronica (bombe al neutrone montate in missili-antimissile iper-veloci come lo Sprint ABM).

Le bombe al neutrone tattiche sono principalmente intese come armi destinate ad uccidere soldati protetti nei loro mezzi corazzati.

Se un carro armato esposto a una bomba al neutrone da 1 chilotone a 690 metri (il raggio di efficacia per l'immediata messa fuori combattimento dell'equipaggio) viene immediatamente occupato da un nuovo equipaggio riceverà una dose letale di radiazioni nel giro di 24 ore.

Un importante svantaggio dell'arma è che non tutte le truppe prese di mira moriranno o verranno messe fuori combattimento immediatamente. Dopo un breve attacco di nausea, molti dei colpiti di radiazione sperimenteranno un temporaneo recupero che può durare da giorni a settimane. È stato suggerito che queste truppe, sapendo di dover comunque morire presto, potrebbero combattere fanaticamente, senza l'usuale riguardo per la propria integrità.

Secondo Cohen, una tattica possibile di utilizzo della "vera" bomba al neutrone è quindi lanciarla come arma difensiva contro attacchi corazzati. I civili si riparano in rifugi antiatomici (con rivestimento in piombo e situati molti metri sotto terra) e la bomba viene fatta esplodere 10 chilometri sopra l'attacco corazzato. Si dice che la corazzatura non sia in grado di schermare gli equipaggi di carri armati ed aerei. In un tale evento, alberi e piante di una città verrebbero distrutti dalle radiazioni ma gli edifici rimarrebbero intatti per il riutilizzo da parte dei civili (che comunque dovrebbero aspettare diversi giorni perché decadano certi isotopi a vita breve).

Le bombe al neutrone sarebbero potenti armi anti-nave, capaci di uccidere i marinai di un'intera squadra navale. Non a caso un importante sostenitore della ricerca di Cohen fu la U.S. Navy, la Marina da guerra americana.


17. La “Teoria del pazzo”

La “Teoria del pazzo (o del folle)” è una condotta di politica estera che punta a spaventare i propri nemici convincendoli che li si potrebbe attaccare con reazioni enormemente sproporzionate, cioè da pazzi. È stata attribuita a Richard Nixon, che ne fece un elemento fondamentale della propria interpretazione della politica estera americana negli anni dal 1969 al 1974 in cui fu presidente degli Stati Uniti d'America.

In seguito al crollo dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti si sono trovati ad affrontare stati che prima erano inseriti in una delle orbite contrapposte di USA e URSS o comunque si tenevano nel mezzo (i paesi del «terzo mondo»), e quindi erano relativamente sotto controllo, mentre adesso vi sfuggono e non vogliono assoggettarsi all'ordine mondiale guidato dagli USA (fra questi i cosiddetti «Stati canaglia»). Per avere influenza su questi paesi, gli Stati Uniti sentono la necessità di condurre una politica di deterrenza che a molti sembra risuscitare la cosiddetta “Teoria del pazzo”, attribuita originariamente a Nixon (della cui politica estera sarebbe stata la pietra angolare). Nixon avrebbe spiegato la propria gestione della guerra del Vietnam, apparentemente irrazionale, dicendo che voleva far credere che, essendo ossessionato dal comunismo, avrebbe potuto attaccare dovunque e con qualunque forza, anche contro gli stessi interessi degli USA e che perciò sarebbe stato meglio assecondarlo per evitare rischi.

Usando questa strategia (di cui l'incursione in Cambogia del 1970 sarebbe stata una parte) Nixon convinse il governo del Vietnam del Nord a trattare la pace nelle sessioni negoziali che avrebbero dato luogo agli accordi di Parigi nel 1973.

In realtà, secondo i più documentati studiosi, pare che il concetto sia stato elaborato dal governo laburista di Israele negli anni cinquanta. Il primo ministro pacifista, Moshe Sharret, lasciò scritto nel proprio diario di alcuni esponenti del governo che «parlavano a favore di atti di follia», e che «noi diventeremo pazzi [se ci faranno arrabbiare]». Tale formulazione di una “politica del pazzo” ante litteram era diretta in parte contro gli stessi USA, ritenuti all'epoca poco affidabili da parte israeliana.

Un ingrediente necessario della “Teoria del pazzo” è la disponibilità di armamenti pericolosi e inarrestabili, come le armi atomiche, che conservano perciò sostanzialmente la stessa funzione che avevano ai tempi della Guerra Fredda: nessuna altra arma infatti può sprigionare una simile potenza in tempi rapidi.

Ma ciò che più importa è dimostrare con atti di forza che non è poi tanto remota le possibilità che le si usi. Solo così si può dare credibilità alle proprie minacce e pressioni internazionali sugli altri Stati del mondo. Infatti il tutto si riduce a una questione di credibilità.

L'utilità delle armi nucleari in questa teoria è effettiva solo se si abbandona la politica che ne prevede l'uso solo per difesa, stabilendo che potrebbero anche essere usate come misura preventiva. In generale, tutte le guerre preventive rientrerebbero in questa strategia.

A tale proposito, va segnalato come, nel corso degli anni '90 del XX secolo, gli Stati Uniti abbiano cambiato la propria politica in merito all'uso di armi nucleari: il Pentagono ha divulgato la Dottrina per le Operazioni Nucleari Congiunte. Nella Dottrina si afferma, fra l'altro, che «per massimizzare la capacità di dissuasione, è essenziale che le forze americane si preparino effettivamente ad usare armi nucleari» e si prevede la possibilità di usarle in azioni militari preventive, in particolare contro nemici che si preparassero ad attaccare con armi di distruzione di massa o contro installazioni atte a produrle. Si noti che l'applicazione di questa dottrina militare avrebbe consentito un attacco con armi nucleare ai tempi della guerra in Iraq, sulla base delle convinzioni degli Stati Uniti all'epoca. Inoltre, le Direttive Presidenziali sulla Sicurezza Nazionale permettono al Presidente di ordinare un attacco con armi nucleari anche senza l'approvazione del Congresso.


18. Altri ritrovati esposti nella galleria degli orrori: le armi biologiche e tossicologiche

Usciamo dall’ambito nucleare. Diamo un’occhiata alla restante ampia gamma di armi non atomiche degne di essere considerate se non “armi da giudizio universale” di sicuro letali e fortemente devastanti. Il loro impiego massiccio potrebbe comportare morti a milioni. Anche decine o centinaia di milioni. Ecco perché incutono un terrore grosso modo pari a quello delle armi nucleari.

Iniziamo la ricognizione dalle cosiddette “armi batteriologiche”. Contrariamente alle nucleari il loro impiego non è recente ma ci fa risalire indietro di secoli, molti secoli.

Tanta dietrologia sulla diffusione in corso della pandemia di Covid-19 ha rispolverato nei nostri giorni teorie sull’uso di questo coronavirus come arma biologica da parte della Cina. Non crediamo neppure per un attimo a queste congetture. La Cina ha senza dubbio gravi colpe nell’insorgenza e nel deficitario controllo dei contagi nella fase iniziale ma nessuna delle ricorrenti teorie complottiste potrà mai convincerci circa la “volontarietà” della decisione di diffondere il coronavirus da parte delle autorità cinesi.

Un'arma biologica è un agente microbiologico nocivo, o una tossina da esso prodotta, utilizzato mediante uno strumento di offesa al fine di diffondere la contaminazione e il contagio in territori e popolazioni nemiche, rientrando pertanto tra le armi di distruzione di massa.

Gli agenti biologici utilizzati nella realizzazione di questo tipo di armi si dividono in base alla loro tipologia in:

  • virali, come il Marburg U, in grado di uccidere un uomo in 72 ore, causando una devastante febbre emorragica (analogamente alla febbre gialla); la mortalità raggiunge picchi del 90 per cento;

  • batteriologici, come la peste;

  • biologici ad effetto indiretto, il cui danno all'organismo umano deriva dalle tossine da loro liberate, ad esempio il botulino.

Durante il Medioevo gli attacchi biologici venivano compiuti lanciando i cadaveri nelle città nemiche con catapulte o lasciandoli nelle riserve d'acqua per contaminarle. Nel 1347 in Crimea i corpi di alcuni guerrieri tartari di Ganī Bek morti di peste vennero gettati oltre le mura della colonia genovese di Caffa (oggi Feodosia, in Ucraina) dopo un assedio protrattosi per mesi. L’episodio potrebbe essere stato responsabile della penetrazione della peste nera in Europa tramite il traffico marittimo.

Per armi biologiche controllate si aspetterà fino in epoca contemporanea ed il loro sviluppo si protrarrà fino alla Guerra Fredda nonostante la convenzione di Ginevra le bandisse fin dal 1864.

Durante la seconda guerra sino-giapponese, agli ordini del generale Shirō Ishii, l'unità 731 fu incaricata di studiare e testare armi chimiche e biologiche, violando il Protocollo di Ginevra che il Giappone aveva sottoscritto nel 1925 che metteva al bando questo tipo di armi. L'Unità 731 testava il frutto del proprio lavoro (agenti chimici e biologici) attraverso la diffusione tra la popolazione civile ed i prigionieri, ad esempio lanciando dagli aerei sciami di zanzare infette o contaminando i pozzi con agenti patogeni.

Nel 1943 i tedeschi attuarono il primo ed unico attacco bioterroristico contro gli Alleati (e contro la popolazione civile) finora noto, infestando la provincia di Latina, bonificata pochi anni prima, con il plasmodio della malaria.

A parità di peso, le armi biologiche sono da 150 a 200 volte più efficaci di quelle chimiche: spesso ne bastano pochi milligrammi per provocare effetti letali sull'organismo.

Per diffondere l'agente biologico si può nebulizzare una soluzione acquosa o una polvere ipersottile contenente il virus, il batterio o la tossina; le particelle in ogni caso devono essere molto piccole, per poter penetrare i polmoni in profondità ed avviare il contagio. Questa modalità è ideale per la diffusione aerea.

Gli agenti possono essere portati sugli obiettivi da mano umana o lanciati da mezzi di dispersione aerea o caricati in bombe, missili e proiettili d'artiglieria.

Pertanto le modalità attraverso cui può essere esplicata l'azione di un'arma biologica sono:

  • diffusione aerea con conseguente inalazione;

  • contaminazione dei viveri e delle acque;

  • contaminazione delle schegge dovute all'esplosione delle bombe e dei proiettili (è il caso della tetanotossina e della tossina della gangrena gassosa) specialmente se caricati nelle granate del tipo "a frammentazione" o del tipo "a saturazione-diffusione".

Fra i batteri uno dei più terribili e micidiali è quello dell'antrace: provoca una malattia che in genere colpisce gli animali ma che occasionalmente può contagiare l'uomo per via inalatoria, provocando una polmonite rapidamente mortale. Le sue spore hanno la caratteristica di persistere nel terreno anche per decine di anni e di resistere a lungo nell'ambiente esterno (vengono distrutte esponendole per almeno 15 minuti a una temperatura di 121 °C, alla normale pressione atmosferica). Per la loro elevata resistenza agli agenti esterni, le spore possono essere nebulizzate in aerosol, attraverso speciali proiettili.

Microorganismi meno resistenti - come quello del tifo (Salmonella typhi) e del colera (Vibrio cholerae) ed i virus della poliomielite (Poliovirus) e dell'epatite virale (Hepatovirus) - possono essere dispersi nell'ambiente, tramite irrorazione o contaminazione mirata, provocando gravissime forme cliniche, quali gastroenteriti, epatiti, paralisi.

La dottrina di impiego ne prevede l'uso per l'avvelenamento di grossi quantitativi di derrate alimentari e dei bacini d'approvvigionamento idrico. Il loro campo elettivo d'applicazione è costituito dal bombardamento delle retrovie che causerebbe la completa paralisi del rifornimento alle prime linee. Qualora venissero usate contro le prime linee, causerebbero il caos totale nello sgombero dei colpiti. Un'epidemia di questo tipo potrebbe essere assai difficilmente controllabile e ritorcersi in ogni momento contro gli stessi utilizzatori (effetto "boomerang").

Le tossine sono prodotti del metabolismo batterico, fungino, algale e vegetale. Possono essere disperse nell'ambiente in vari modi: non escluso l'impiego di missili intercontinentali a testata tossica. Per la relativa facilità di produzione, queste armi vengono comunemente chiamate "l'atomica dei poveri".

La tossina botulinica provoca paralisi flaccida nella muscolatura volontaria scheletrica, mentre la tossina tetanica provoca la paralisi spastica della medesima muscolatura. La prima agisce se somministrata per via orale; la seconda per via iniettiva. In entrambi i casi la morte sopraggiunge per asfissia da paralisi della muscolatura respiratoria, in uno stato perfettamente mantenuto di coscienza. Queste tossine vengono prodotte industrialmente grazie alle tecniche d'ingegneria genetica e di biologia molecolare. Trenta grammi di questi veleni sono teoricamente in grado di uccidere l'intera popolazione umana. Il loro punto debole è però la scarsa resistenza al calore.

Micidiale è anche l'effetto della tossina di alcuni funghi del genere Fusarium: diffusa nell'area-bersaglio in forma di polvere finissima, la cosiddetta "pioggia gialla", viene inalata e causa rapidamente necrosi della cute e delle mucose, emorragie sull'apparato digerente e su quello respiratorio. E’ tossica per il fegato e per il rene, con conseguente blocco della funzionalità epatica e renale. Anche il midollo osseo rosso viene depresso con effetti simili a quelli delle radiazioni ionizzanti.

Discorso analogo vale per le tossine dei funghi del genere Amanita e Cortinarius.

Per l'uomo la dose tossica di queste tossine è pari ad 1 milligrammo per ogni chilogrammo di peso corporeo ed a nulla vale la lavanda gastrica. Poiché queste tossine passano indenni la barriera offerta dal succo gastrico, non suscitano il riflesso del vomito, non inducono senso di nausea ed agiscono appena dopo l'assorbimento intestinale. Una volta riversate nel sangue, l'unico presidio efficace, purché attuato entro 48-72 ore, è la plasmaferesi.

Le armi biologiche sono affette dalle stesse limitazioni ed i rischi d'impiego delle armi chimiche. Ad esempio il contagio potrebbe sfuggire al controllo e colpire anche le popolazioni alleate.

Le armi biologiche sono considerate armi terroristiche e messe al bando da svariate convenzioni internazionali sebbene si sospetti che Stati Uniti e Russia conservino abbondanti riserve di questi agenti nei loro laboratori. La supposta e poi non provata presenza negli arsenali iracheni di armi biologiche è stata una delle cause dichiarate della Guerra d'Iraq o seconda guerra del Golfo (2003).


19. Le armi chimiche

Le armi chimiche sono armi usate in guerra che utilizzano le proprietà tossiche di alcune sostanze chimiche per uccidere, ferire o comunque mettere fuori combattimento il nemico.

Sono diverse da quelle convenzionali o da quelle nucleari perché i loro effetti non sono strettamente dovuti a un'esplosione. L'uso di microorganismi nocivi (come l'antrace) non rientra nelle armi chimiche ma in quelle biologiche ma l'uso di sostanze nocive prodotte da organismi (per esempio la tossina botulinica, la ricina o la saxitossina) rientra sotto il controllo della Convenzione sulle armi chimiche. In base a questa Convenzione, ogni agente chimico di qualunque origine è considerato arma chimica a meno che non sia usato per scopi non vietati.

Le armi chimiche sono classificate dalle Nazioni Unite come armi di distruzione di massa. La loro produzione e il loro stoccaggio sono stati messi al bando dalla Convenzione sulle armi chimiche del 1993 in base alla quale gli agenti chimici in grado di poter essere usati come armi chimiche o di essere usati per fabbricare tali agenti chimici vengono divisi in tre gruppi a seconda del loro scopo e del loro trattamento:

  • Lista 1: hanno pochi, a volte non ne hanno affatto, usi legittimi. Possono essere prodotti o usati solo per scopi di ricerca: medici, farmaceutici o protettivi. Comprende iprite, lewisite, nervino, ricina.

  • Lista 2: non hanno usi industriali su larga scala ma possono averne su piccola scala, come il dimetil metilfosfonato, un precursore del sarin usato come sostanza ritardante negli incendi, e il tiodiglicole che è un precursore chimico dell'iprite ma è anche un solvente per inchiostri.

  • Lista 3: hanno legittimi usi industriali su vasta scala, come il fosgene e la cloropicrina; il fosgene è un importante precursore per molte materie plastiche, la cloropicrina è utilizzata come fumigante.

Sebbene per migliaia di anni l'uomo abbia fatto ricorso a sostanze chimiche in ambito bellico la guerra chimica moderna iniziò con la prima guerra mondiale. Dal principio furono usati solo agenti chimici già disponibili in produzione; tra questi il cloro ed il fosgene. I metodi di dispersione usati erano inizialmente rozzi ed inefficienti, consistendo nel semplice rilascio in atmosfera degli agenti gassosi contenuti in bombole, lasciando al vento il compito di trasportarli sulle posizioni nemiche. Solo in un secondo tempo si cominciarono ad utilizzare appositi lanciabombe e proiettili d'artiglieria o bombe a mano.

Dalla prima guerra mondiale in poi, lo sviluppo delle armi chimiche ha seguito quattro principali direzioni: ricerca di aggressivi chimici nuovi e sempre più letali; ricerca di metodi di dispersione più efficienti; ricerca di mezzi di difesa più affidabili; ricerca di mezzi più sensibili e accurati per l'individuazione degli agenti chimici.

Un elemento o un composto chimico usato a scopi bellici viene denominato aggressivo chimico. Durante il XX secolo ne sono stati prodotti e stoccati circa 70 tipi diversi. Gli aggressivi possono essere liquidi, solidi o gassosi: quelli liquidi in genere evaporano rapidamente (volatili o con un'elevata tensione di vapore); molti agenti chimici sono volatili in modo da poter esser rapidamente dispersi sopra una vasta area.

Il primo obiettivo della ricerca verso nuove armi chimiche non fu tanto la tossicità quanto lo sviluppo di aggressivi che riuscissero a colpire il nemico attraverso la pelle ed i vestiti, rendendo inutili le maschere antigas. Nel luglio 1917 i tedeschi introdussero l'iprite, il primo aggressivo chimico che aggirò la difesa delle maschere antigas, in grado di penetrare facilmente gli indumenti di cuoio e di tessuto ed infliggere dolorose bruciature cutanee.

Gli aggressivi chimici si possono dividere in letali e incapacitanti. Una sostanza si classifica come incapacitante se meno dell’1 per cento della dose letale causa inabilità, per esempio tramite nausea o problemi alla vista.

Tutti gli aggressivi chimici sono classificabili in base alla loro persistenza, una misura del periodo di tempo durante il quale l'aggressivo chimico mantiene la sua efficacia dopo la dispersione. Si classificano in persistenti e non persistenti. I non persistenti perdono la loro efficacia dopo pochi minuti o poche ore. Agenti gassosi come il cloro sono non persistenti, come anche il sarin e molti altri agenti nervini. Dal punto di vista tattico gli agenti non persistenti sono molto utili contro quegli obiettivi che devono essere presi e controllati in breve tempo. Si può dire che nel caso degli agenti non persistenti l'unico fattore di rischio è l'inalazione. Al contrario gli agenti persistenti tendono a rimanere nell'ambiente anche per una settimana, rendendo complicata la decontaminazione. La difesa contro questo tipo di agenti richiede protezioni per prolungati periodi di tempo. Gli agenti liquidi non volatili, come l'iprite, non evaporano facilmente e il fattore di rischio consiste soprattutto nel contatto.

Gli agenti chimici si possono classificare in funzione di:

  • caratteristiche chimico-fisiche (gassosi, liquidi, etc.);

  • uso strategico (aggressivi d'attacco, di difesa, di contenimento, di rappresaglia, etc.);

  • composizione chimica (alogenati, arsenicali, etc.)

  • impiego tattico (non persistenti, mediamente persistenti o semi-persistenti e persistenti);

  • caratteristiche fisiologiche, meccanismo d'azione e danni causati (vescicanti, veleni enzimatici, asfissianti-irritanti delle mucose respiratorie, tossici enzimatici sistemici o nervini, lacrimogeni, starnutatori);

  • grado di pericolosità (innocui, debolmente irritativi, letali).

In particolare, in base alla loro azione, si identificano in:

  1. irritanti;

  2. vescicanti;

  3. soffocanti o asfissianti (sempre letali);

  4. veleni sistemici, sempre letali (cianuri e fluoroacetati nella categoria dei tossici enzimatici; sinaptici organofosforici nella categoria dei neurogas, o, gas nervini);

  5. inabilitanti psichici;

  6. insetticidi, mai letali se non a dosaggi elevati;

  7. eccitanti psichici disinibitori, letali ad elevate concentrazioni;

  8. deprimenti psichici o sedativi, letali ad elevati dosaggi.

Esistono altri agenti chimici non direttamente classificati come armi chimiche:

  • Defoglianti. Distruggono la vegetazione ma non sono direttamente tossici per gli esseri umani. Per esempio l'Agente Arancio usato dagli Stati Uniti in Vietnam conteneva diossina ed è noto per i suoi effetti cancerogeni a lungo termine e per causare danni genetici che portano a malformazione nei neonati.

  • Incendiari o esplosivi, come il napalm, i cui effetti distruttivi sono dovuti principalmente al fuoco o alle esplosioni e non all'azione chimica diretta.

La classe dei vescicatori (o vescicanti) comprende le mostarde (iprite), le mostarde azotate (azoiprite), e gli arsenicali (lewisite).

I gas-mostarda sono tossici non allo stato nativo ma unicamente quando, penetrati all'interno delle cellule, subiscono una biotrasformazione.

Gli agenti vescicanti vennero introdotti (1917) quando entrò in uso presso i vari eserciti la maschera antigas che rendeva innocui gli agenti soffocanti, quali il fosgene e l'ossido di carbonio. I vescicanti, oltre alle mucose, respiratoria in primis, attaccano anche la cute, provocando estese dermatiti dolorosissime e difficili da curare. Questi aggressivi, venendo a contatto con la superficie del corpo, provocano un'irritazione profonda con successiva formazione di vesciche, piaghe, ulcerazioni estese. Inoltre la dermatite bollosa, la dermatite esfoliativa e la dermatite necrotica sono soggette a complicanze infettive che possono esitare in setticemia, sepsi, gangrena; tutte condizioni, queste, potenzialmente letali. La cute, vista la sua estensione, è difficile da proteggere in tutta la sua superficie, se non ricorrendo a pesanti attrezzature (tuta integrale contro la guerra chimica). Gli agenti vescicanti sono modicamente persistenti, per cui se ne può ipotizzare un uso strategico. Essi possono venire impiegati anche per interdizione di aree (retrovie, centri logistici, nodi di comunicazione, centri abitati, etc.). Nonostante siano vecchi di oltre un secolo come impiego, non sono considerati obsoleti a differenza dei non - vescicanti (asfissianti).

Tra i composti dell'arsenico (o arsenicali), il più tossico è la lewisite, un composto di sintesi d'origine anglo-americana. L'arsenico rappresenta il principio attivo di tali tossici. A differenza delle mostarde gli arsenicali hanno azione immediata. La lesione da arsenicali è di tipo "termo-mimetico" e la guarigione è del tutto fisiologica, se la dose assorbita è bassa. La guarigione avviene in circa 15 giorni mentre le mostarde hanno un tempo di guarigione molto più lungo (30-45 giorni) e, spesso, con pesanti reliquati. L'arsenico è tossico soprattutto sul rene, sul fegato, sul sistema nervoso centrale, e sull'apparato digerente. L'antidoto specifico è il British-Anti-Lewisite (BAL). In pratica il BAL funge da recettore farmacologico per l'arsenico, così come le proteine sono i recettori naturali per tale tossico; quindi l'arsenico lo scambia per un bersaglio. La lewisite ha un'azione vescicante quattro volte più rapida di quella dell'iprite, un effetto tossico generale dovuto alla presenza dell'arsenico, attacca i polmoni profondamente ed è lacrimogena. Si idrolizza facilmente nell'aria umida e su materiali umidi (come i cibi), formando l'ossido di cloro-vinil-arsina, che, ingerito, distrugge le membrane mucose della bocca e del canale digerente; le lesioni a tali organi possono condurre al decesso per emorragia, oppure, cronicizzando, alla genesi di tumori molto maligni. Attraverso gli abiti il tossico penetra nei tessuti umani dove produce avvelenamento sistemico con effetti gravissimi. Se il BAL viene somministrato in tempo neutralizza gli effetti del tossico.

I gas asfissianti sono sostanze ormai obsolete, dal momento che penetrano soltanto attraverso le vie respiratorie e sono facilmente neutralizzate dalle più comuni maschere antigas.

Furono i primi aggressivi chimici utilizzati (per la precisione dai francesi, non dai tedeschi come comunemente si crede ed erroneamente riportato in alcuni libri). Il primo attacco fu sferrato il 22 aprile 1915, con l'impiego di cloro e di fosgene, lasciati affluire da bombole lungo tutta la zona del fronte dove la direzione del vento era favorevole. L'uso in seguito di bombe e di proiettili di artiglieria adatti per notevoli quantitativi di tossici chimici e l'impiego di sempre nuove sostanze resero i gas d'attacco un'arma strategica di notevole insidiosità e di possibile supremazia. Ma molto pericolosa. Infatti era sufficiente una repentina inversione della direzione del vento per sospingere al mittente il tossico, con prevedibili conseguenze.

I neurogas o gas nervini agiscono alterando permanentemente l'enzima acetilcolinesterasi, bloccando, di fatto, le giunzioni neuromuscolari, tutte le sinapsi nervose che contengono tale enzima e tutti i tessuti che esprimono recettori di tipo colinergico. La gravità dei sintomi è direttamente proporzionale al quantitativo di tossico assorbito; il decesso, in ogni caso, sopraggiunge nello spazio di 2-10 minuti, principalmente per crisi cardiaca (con successivo arresto) e/o per asfissia da paralisi diaframmatica-intercostale.

Il principale fattore per l'efficacia delle armi chimiche è una corretta diffusione nell'ambiente. Le tecniche di diffusione più comuni includono munizioni (come bombe, proiettili, testate missilistiche) che permettono la diffusione a distanza e l'utilizzo di aerei serbatoio che disperdono l'agente volando a bassa quota.

In generale l'impiego degli aggressivi chimici pone delle difficoltà a causa di fattori intrinseci quali:

  • persistenza: alcuni agenti sono difficilmente idrolizzabili e il loro smaltimento risulta estremamente difficoltoso cosicché permangono per molto tempo in situ ad esplicare la loro azione tossica. Questo comporta che anche chi abbia utilizzato tali agenti allo scopo di conquistare un certo territorio si troverà ad occupare un territorio saturo di una sostanza aselettivamente tossica (ovvero tossica anche contro chi l'ha impiegata);

  • inaffidabilità: l'area e la direzione di dispersione non possono essere calcolati con sicurezza assoluta;

  • corrosività: lo stoccaggio di alcuni composti pone problematiche di tenuta dei contenitori;

  • assenza di antidoti efficaci: alcuni di questi aggressivi chimici si trovano tuttora privi d'un antidoto efficace.

I requisiti richiesti agli aggressivi chimici per il loro impiego sul campo di battaglia sono connessi alla velocità d'efficacia nel rendere non operative le truppe nemiche e, per quanto possibile, alla creazione rapida d'una cospicua massa d'invalidi più che una strage in sé. Infatti crea maggiori problemi logistici il ricovero di un notevole quantitativo di feriti nei servizi ospedalieri dietro le linee avversarie che non la morte immediata dei soldati nemici.


20. Le armi radiologiche

Sono progettate per spargere materiale radioattivo con l'intento di incapacitare, uccidere e causare danni ad un territorio e ad una popolazione (città o nazione).

Sono conosciute anche come bombe sporche poiché non sono vere e proprie armi nucleari e non hanno lo stesso potenziale distruttivo. Usano invece esplosivi convenzionali per spargere materiale radioattivo, spesso scorie radioattive delle centrali nucleari o rifiuti radioattivi di origine ospedaliera.

Storicamente, il primo riferimento ad armi radiologiche è in un memo del 1943 di Leslie Groves, del “Progetto Manhattan”. In relazione ad un rapporto intitolato "Use of Radioactive Materials as a Military Weapon", un criminale memo – una sorta di “istruzioni per l’uso” – affermava che:

«Come un gas per utilizzo militare il materiale potrebbe (…) essere inalato. L’ammontare necessario per provocare la morte ad una persona che inala il materiale è estremamente piccolo. E’ stato stimato che un milionesimo di grammo che si accumula nel corpo di una persona sarebbe fatale. Non sono noti metodi di trattamento per un tale avvelenamento. (…) Non può essere individuato dai sensi. Può essere distribuito sotto forma di polvere o fumo così finemente polverizzato da permeare il filtro di una maschera antigas standard in quantità sufficienti per essere estremamente pericoloso… I materiali radioattivi possono essere usati (…) per rendere le aree evacuate inabitabili; per contaminare piccole aree critiche come stazioni ferroviarie ed aeroporti; come gas radioattivo velenoso per causare vittime tra le truppe; contro grandi città per promuovere il panico e provocare vittime tra le popolazioni civili.

Le aree contaminate dalle polveri e dai fumi radioattivi rimarrebbero pericolose finché si possono mantenere concentrazioni sufficientemente elevate del materiale (…) esso potrebbe essere mescolato come polvere fine dal terreno dai venti, dal movimento dei veicoli, delle truppe ecc., e costituirebbe un potenziale pericolo per molto tempo. Questi materiali potrebbero anche essere predisposti per essere introdotti nel corpo tramite ingestione anziché inalazione. I pozzi e le riserve potrebbero essere contaminati o il cibo avvelenato con un effetto simile a quello derivante dall'inalazione di polveri o fumo. Una produzione di quattro giorni potrebbe contaminare un milione di galloni di acqua in una estensione tale che un litro di acqua bevuta in un giorno probabilmente causerebbe una incapacità completa o morte nell'arco di un mese».

È stato ipotizzato che questo tipo di arma possa essere impiegata da gruppi terroristici per provocare panico e vittime in aree densamente popolate, oppure per rendere inutilizzabili territori per lunghi periodi, a meno di non effettuare bonifiche molto costose. L'efficacia di una tale arma dipende molto dalla qualità della fonte di radiazioni utilizzata. In particolare gli effetti sono influenzati da fattori come: energia e tipo di radiazioni, tempo di dimezzamento, dimensione dell'esplosione, disponibilità, protezioni, trasportabilità e caratteristiche ambientali.

Un possibile modo per disperdere materiale radioattivo consiste nell'uso di una cosiddetta bomba sporca, costituita da materiale radioattivo che viene disperso tramite l'uso di esplosivo convenzionale. Le bombe sporche non fanno parte delle armi nucleari, che invece usano una fissione nucleare a catena innescata da una massa critica di materiale fissile o dalla fusione di atomi leggeri come l'idrogeno. Laddove le armi nucleari creano grandi perdite immediatamente dopo l'esplosione, le bombe sporche provocano subito dopo l'esplosione quantità minime di vittime. Alcuni tipi di bombe all'idrogeno possono però venire arricchite con materiale radioattivo pesante, combinando gli effetti devastanti dell'arma nucleare con gli effetti nocivi dell'arma radiologica; tale materiale, infatti, pur non prendendo parte alla reazione e quindi non contribuendo al potere detonante, aumenta sensibilmente la biotossicità della bomba contribuendo a generare un fallout più radioattivo. Come si può desumere da queste “istruzioni per l’uso” la follia distruttiva – satanica – di scienziati e generali non ha limiti, al punto da rendere i gerarchi nazisti dilettanti allo sbaraglio del genocidio.

Le armi radiologiche non si affidano dunque ad un ordigno particolare ma possono anche disperdere il materiale radioattivo attraverso la catena alimentare o l'acqua. Questi metodi, che sono molto efficaci, pongono tuttavia gli stessi problemi che si presentano nell'uso delle armi chimiche.

I radioisotopi che rappresentano un maggiore pericolo sono: Uranio-235; Cesio-137; Cobalto-60; Americio-241; Californio-252; Iridio-192; Plutonio-239; Stronzio-90; Radio-226.

Attualmente esiste un dibattito riguardante la possibilità e la convenienza per i terroristi di utilizzare un'arma del genere. Molti esperti credono che una bomba sporca del tipo che i terroristi più probabilmente potrebbero costruire danneggerebbe solo alcune centinaia di persone e non sarebbe molto più letale rispetto ad un'arma convenzionale o una chimica. D'altra parte poche sarebbero le vittime risultanti dall'esplosione iniziale, perché i materiali emettitori di raggi alfa e beta devono essere inalati o ingeriti per danneggiare profondamente il corpo umano (altrimenti il danno si limita quasi soltanto alla pelle).

Il materiale emettitore di raggi gamma è così radioattivo (cosa che lo rende rilevabile) che non può essere trasportato e dispiegato senza avvolgerlo con una quantità considerevole di materiale (piombo) che faccia da scudo ai raggi. Circostanza che renderebbe molto pesante l'ordigno, non trasportabile in aereo e molto pesante all'interno di un'auto. Inoltre prima dell'esplosione il materiale schermante dovrà essere rimosso, a meno che lo scudo sia rimosso poco prima della detonazione. Inoltre è improbabile la possibilità che i terroristi trasformino la sostanza radioattiva in un gas oppure un aerosol radioattivo senza un complesso lavoro chimico per ottenere lo scopo. Nonostante questo, disponendo ad esempio di polvere di uranio impoverito metallico e combinandolo in una bomba con elementi in fosforo - il tutto contenuto entro tubi pieni di benzina, facendo detonare dell'esplosivo attorno ad una bombola di ossigeno in pressione circondata dal materiale - si otterrebbe una deflagrazione fortissima e caldissima che spargerebbe il materiale radioattivo in fiamme per molti ettari.

L'effetto dominante sarebbe un danno morale ed economico a causa del panico causato da un tale incidente. Ma alcuni medici pensano che il danno biologico, quantificabile in morti e feriti, possa essere molto più severo. La pensa così Peter Zimmerman, studioso del King's College di Londra.

Questo tipo di arma è largamente considerata come inefficace militarmente per una nazione e molto difficilmente verrebbe utilizzata dalle forze armate. Infatti, il suo uso è inutile per una forza di occupazione poiché renderebbe inabitabile l'area e rallenterebbe l'avanzata dell'esercito. Inoltre, analogamente alle armi biologiche, queste armi potrebbero impiegare giorni per iniziare ad agire sulle forze nemiche e darebbero al nemico il tempo di contrattaccare.


21. La “bomba demografica”. Sarà disinnescata?

Abbiamo passato in rassegna le armi di distruzione di massa in grado di infliggere perdite insopportabili alla comunità mondiale ed alla specie umana. Rimangono da approfondire due “bombe” (definizione, come vedremo, impropria in quanto non si tratta di armi ma ricorrente) potenzialmente in grado di alimentare conflitti catastrofici: la “bomba demografica” e la “bomba alimentare”. Collegate tra loro, in pratica interconnesse. A richiamarle sono due precise domande: la Terra può reggere il “carico” di miliardi di individui il cui numero cresce esponenzialmente? La Terra può sfamare e dissetare (il controllo delle risorse idriche sarà all’origine dei prossimi conflitti regionali) tanti miliardi di individui?

Stando alle definizioni teoriche la crescita demografica è l'aumento del numero di individui in una popolazione. Per tasso di crescita della popolazione si intende la velocità con cui il numero di individui di una popolazione aumenta in un dato periodo di tempo come frazione della popolazione iniziale. La crescita globale della popolazione umana è pari a circa 75 milioni ogni anno, o 1,1 per cento all'anno, con la popolazione mondiale cresciuta da 1 miliardo nel 1804 a 7 miliardi nel 2011. Si prevede che continuerà a crescere; le stime mettono in conto una popolazione totale di 8 miliardi entro la metà del 2025 e 10 miliardi entro il 2083 circa. La popolazione mondiale ha impiegato 127 anni per passare da 1 a 2 miliardi di abitanti dal 1800 al 1927. Ma ha impiegato appena 12 anni per passare dai 6 miliardi del 1999 ai 7 del 2011.

A livello globale, comunque, il tasso di crescita della popolazione mondiale è in calo rispetto ai picchi del 1962 e 1963 del 2,21 per cento annuo. Nel 2009 il tasso di crescita annuo stimato era 1,1 per cento. Gli ultimi 100 anni hanno visto un rapido aumento della popolazione a causa dei progressi medici e del massiccio aumento della produttività agricola, resa possibile dalla Rivoluzione Verde.

L'attuale crescita annua del numero di esseri umani è discesa dal picco di 88,0 milioni nel 1989, a un minimo di 73,9 nel 2003, dopo di che è risalito nuovamente a 80 milioni nel 2006. Da allora, la crescita annua è diminuita. Nel 2009, la popolazione umana è aumentata di 74,6 milioni, che si pensa debbano scendere costantemente fino a circa 41 milioni all'anno nel 2050, momento in cui la popolazione sarà aumentata a circa 9,2 miliardi. Ogni regione del globo ha visto grandi riduzioni del tasso di crescita negli ultimi decenni, anche se i tassi di crescita rimangono superiori al 2 per cento in alcuni paesi del Medio Oriente e dell'Africa subsahariana, in Sud Asia, Sud-Est asiatico e America latina.

Alcuni paesi stanno sperimentando un declino della popolazione, ossia una crescita negativa, soprattutto in Europa, dovuta principalmente ai bassi tassi di fertilità, agli alti tassi di morte e alla emigrazione. In Africa del Sud la crescita sta rallentando a causa dell'elevato numero di decessi correlati all'HIV. Alcuni paesi dell'Europa occidentale potrebbero pure incontrare una crescita negativa della popolazione. La popolazione del Giappone ha cominciato a diminuire nel 2005. La Divisione Popolazione delle Nazioni Unite prevede che la popolazione mondiale giungerà un picco di oltre 10 miliardi alla fine del XXI secolo, ma Sanjeev Sanyal ha sostenuto che la fertilità globale scenderà al di sotto dei tassi di sostituzione già in questi anni che stiamo vivendo e che la popolazione mondiale vedrà un picco al di sotto dei 9 miliardi nel 2050, seguito da un lungo declino. Altre teorie prevedono un declino più imminente.

Un interrogativo di stretta attualità è collegato all’incidenza che la pandemia di Covid-19 farà registrare sull’assetto demografico. Prevedibilmente comporterà riduzione delle nascite oltre che un aumento dei tassi di mortalità finchè il virus serpeggerà nei continenti e non sarà stoppato o quanto meno rallentato nella sua diffusione dall’impiego dei vaccini in fase di progettazione in numerosi laboratori di paesi o gruppi di paesi.

Si registra comunque ultimamente una storica novità: a quanto pare la riduzione del tasso di natalità sta interessando anche il mondo musulmano, culturalmente e tradizionalmente molto “procreativo”. E’ dell’anno scorso uno studio effettuato in 49 paesi musulmani, in particolare arabi, dall’Università americana di Yale. Ne scrive Alessandra Mincone in una scheda su Nena News – “Near East News Agency (Agenzia Stampa Vicino Oriente)” - del 27 maggio 2019 dal titolo “Mondo arabo: tasso di natalità tra rivoluzione e contraddizione”: “Nel mondo arabo lo sviluppo di una silente “rivoluzione” delle attitudini delle donne sta producendo un evidente abbassamento dei tassi di maternità: è quello che ha svelato un recente studio condotto dalla professoressa Marcia Inohrn dell’ Università di Yale e in seguito supportato dalla politologa Diane Singerman. Si parla di un vero e proprio declino del tasso di natalità, giustificato da numerose condizioni e contraddizioni, dove da un lato i modelli di nuclei familiari si trasformano in maniera più responsabile rispetto alle possibilità sociali di istruzione ed emancipazione generale, mentre dall’altro lato si percepiscono più limiti materiali dovuti a fattori economici che non permettono con risorse minime l’allargamento delle famiglie arabe.

Se dal 1975 al 1980 le statistiche riguardanti il mondo arabo dimostravano un aumento vertiginoso dei tassi di fertilità rispetto al resto del mondo, alcuni degli stessi paesi che in quegli anni vedevano tassi di fertilità al di sopra dei 7.0 figli come Kuwait, Libia e Siria oggi stanno vivendo una drastica diminuzione dei tassi di natalità e un rapido invecchiamento della popolazione. Secondo i dati della Central Intelligence Agency aggiornati al 2018, Kuwait, Libia e Siria (che citiamo come Stati campione) toccano rispettivamente i 2.35, 2.03 e 2.44 bambini per donna. Uno dei paesi musulmani che vive un maggiore calo demografico sembra essere l’Iran, dove si registra una diminuzione del 70 per cento delle nascite con appena un tasso di fertilità di 1.96 bambini per donna.

L’agenzia Al Jazeera, in un articolo di Inaara Ganji e Muhammed Chaudary, scrive degli aspetti “rivoluzionari” legati all’abbassamento della fertilità delle donne nel mondo arabo a maggioranza musulmana, citando quelle che sono descritte come le possibili valvole che hanno mosso tale “rivoluzione”. In particolare si parla dei nuovi livelli di scolarizzazione e dell’utilizzo di metodi contraccettivi che consentirebbero alle donne arabe una nuova affermazione di sé nella società e soprattutto una necessità di autodeterminarsi attraverso l’istruzione e la stabilità economica, come nel ventennio precedente non veniva permesso né stimolato. (…)

Sembra chiaro che nella realtà dei fatti la citata rivoluzione della riproduzione sessuale nei prossimi anni si potrebbe leggere come un problema demografico senza precedenti in molti dei 49 paesi arabi, e specie in quelli del Golfo, dove il tasso sostitutivo – che, a oggi, in ben 5 paesi arabi è al di sotto della media mondiale, come dichiarato dalle Nazioni Unite - potrebbe continuare a calare provocando di conseguenza anche un calo della manodopera giovanile e una crescita del tasso di invecchiamento della popolazione che sta sfiorando quasi la media degli 80 anni di aspettativa di vita.

Se la problematica demografica che riguarda i 49 paesi arabi è riscontrata con il declino della natalità quasi del 50 per cento e del pericolo di svuotamento, va specificato anche che nel ‘900 la popolazione mondiale è quadruplicata, passando da circa un miliardo e mezzo di persone a oltre 7 miliardi. (…)

Nella città di Gerusalemme, caratterizzata dalla presenza di palestinesi cristiani, musulmani ed ebrei, si registrano tassi che fanno della città santa quella più prolifera tra gli Stati del Vicino Oriente industrializzato”.

Sul tema ha anche scritto il 17 aprile 2019 Jerry Freda sul quotidiano “Il Giornale” in un articolo dal titolo “Una ricerca rivela: “Il mondo arabo è in pieno declino demografico” osservando tra l’altro: “(…) I nuclei familiari arabi, spiegano gli autori della ricerca, sarebbero quindi passati, negli ultimi trent’anni, dall’avere in media sette figli all’averne oggi “a stento tre”. A detta dei demografi di Yale, le donne dei Paesi islamici contemporanei, cresciute nel benessere materiale e beneficiarie di servizi educativi sempre più accessibili, sarebbero fortemente contrarie a dare alla luce un grande numero di bambini, in quanto riterrebbero ciò un ostacolo alle proprie aspirazioni lavorative. L’emancipazione femminile, affermano gli analisti americani, sta infatti registrando progressi in tutto il mondo arabo, soprattutto in nazioni quali il Marocco e la Tunisia, nonché nelle monarchie del Golfo Persico. Tale emancipazione, segnala la ricerca statunitense, si accompagna puntualmente con un basso numero di figli per coppia.

Gli unici Stati islamici in cui si registrerebbero ancora alti tassi di natalità sarebbero, sempre in base alla pubblicazione in questione, l’Egitto, la Giordania e lo Yemen, tutti caratterizzati da settori economici non pienamente sviluppati e con tanti cittadini in preda alla povertà assoluta”.


22. La “bomba alimentare”

Un dato si commenta da solo: “Al mondo siamo 7,7 miliardi di persone e produciamo cibo per nutrirne solo 3,4 in modo sostenibile”. Così è intitolato un articolo di Matteo Grittani, esperto di energia e questioni climatiche, su Repubblica.it del 28 gennaio 2020 che commenta i dati di una ricerca.

Più della metà della produzione di cibo globale è insostenibile e di fatto dannosa per il nostro Pianeta. A dirlo è un'analisi quinquennale appena pubblicata su Nature Sustainability. Gli studiosi hanno allo stesso tempo identificato un pacchetto di soluzioni che, se applicato, garantirebbe il sostentamento a più di 10 miliardi di persone. Produciamo cibo con costi ambientali altissimi. Sicurezza alimentare per tutti senza alterare la Natura. Si tratta di una delle sfide più difficili dei prossimi anni ed i ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK) si sono chiesti come affrontarla. "Per produrre cibo stiamo compromettendo l'ecosistema - spiega il Professore Dieter Gerten, lead-author dello studio - la situazione è grave, ma c'è ancora tempo per cambiare agendo il prima possibile". (…) Basato su vari modelli di simulazione, il lavoro mostra come allo stato attuale il sistema alimentare sia in grado di fornire una dieta bilanciata (2,355 kcal pro capite al giorno) a solo 3.4 miliardi di persone. Il lavoro quantifica per la prima volta l'insostenibilità dei ritmi attuali di sfruttamento delle risorse alimentari.

La diagnosi è impietosa, ma gli studiosi ne suggeriscono la cura. "Sottraiamo terra per allevamento e coltivazione intensiva, fertilizziamo ed irrighiamo troppo mettendo in pericolo il ciclo dell'acqua, questi i principali problemi", osserva Gerten. E prosegue: "Per risolverli, occorre ripensare completamente la filiera del cibo". Secondo i ricercatori infatti, la sola riorganizzazione razionale delle tecniche agricole garantirebbe un'alimentazione sostenibile per 7.8 miliardi di persone, poco più della popolazione attuale.

Pochi ma sostanziali i cambiamenti: "Rinaturalizzazione" degli allevamenti nelle aree in cui più del 5 per cento delle specie sono a rischio estinzione; riforestazione dei terreni coltivati laddove più dell'85 per cento della foresta tropicale è stata disboscata; riduzione dell'uso dell'azoto nei fertilizzanti. In altre parole, si tratterebbe di spostare parte delle attività agricole e di allevamento da zone sottoposte a "stress ambientale" elevato - prevalentemente Cina orientale ed Europa centrale - verso altre in cui i limiti ambientali sono distanti dall'essere superati, come il Nord-Ovest degli Stati Uniti e soprattutto l'Africa sub-Sahariana.

(…) Le Nazioni Unite stimano che la popolazione mondiale toccherà i 9.8 miliardi nel 2050. Che fare allora? Secondo Vera Heck, ricercatrice al PIK, una modifica dell'alimentazione su larga scala sarà inevitabile. In particolare, quote sempre maggiori di proteine di origine animale verranno sostituite da legumi ed altri alimenti.

"Cambiamenti del genere possono essere difficili da accettare in un primo momento - ammette - ma sul lungo periodo, un pasto più sostenibile avrà benefici sia sul Pianeta che sulla salute delle persone". Altro fattore cruciale – osserva in conclusione Grittani - sarà la riduzione dello spreco alimentare. Secondo l'IPCC, circa il 30 per cento del cibo prodotto viene gettato ancor prima di finire in tavola. "Sono necessarie politiche che attraverso opportuni incentivi, educhino sia il produttore che il consumatore", conclude Heck. La Scienza come al solito ci indica una strada, ma il cambiamento passa prima di tutto dalle mani di ciascuno di noi”.

Approvvigionare un mondo così densamente popolato non è una sfida di poco conto. Le risorse idriche per dissetare tante persone e per irrigare i campi, per nutrirli o alimentare gli allevamenti intensivi per procurare loro carne e proteine animali animerà scontri e conflitti. Specie in alcune aree come il Medio Oriente e l’Africa. Non è nuova l’attenzione “strategica” di Israele per il fiume Giordano sempre più povero di acqua, ridotto a poco più d’un rigagnolo nei mesi più caldi e tuttavia così vitale per lo stato ebraico. Mentre in Africa si stanno rapidamente deteriorando in questi ultimi mesi i rapporti tra Egitto ed Etiopia per un progetto di Addis Abeba di realizzazione di una nuova, imponente diga che potrebbe ridurre di molto la portata di acque del Nilo, corso d’acqua anche in questo caso vitale per gli egiziani. Da millenni.

Ovvio che bomba demografica e bomba alimentare non sono sistemi d’arma. Ma avranno una potenzialità elevatissima di “fare mettere mano alle armi” in più aree geografiche e con una crescente frequenza nei prossimi anni. Innescando una conflittualità direttamente proporzionale al carico demografico nonché alla riduzione di risorse alimentari. Ed anche al sempre più massiccio, insensato, sfruttamento agricolo dei terreni a scapito – vedi Amazzonia nell’America latina, il caso più eclatante – dell’equilibrio ambientale. In questo caso vitale per tutti.


23. Conclusioni

Conflitti regionali, convenzionali. Finché – per la mancanza di cibo, di acqua, per l’eccessivo carico demografico, per una questione di confine o di possesso di sperdute isole o innevati picchi di montagna da qualche parte nel mondo - non scoppierà prima o poi la “santabarbara” atomica. E la tanto decantata “deterrenza nucleare” così come il tanto decantato “equilibrio del terrore” andranno a farsi benedire assieme a tutto il genere umano ed alla civiltà. Questo il rischio che corre la vita sul pianeta nel XXI secolo come e più che nella seconda metà del XX secolo, dagli anni della Seconda Guerra Mondiale nei quali fa un passo da gigante la ricerca e poi l’applicazione dell’energia nucleare per fini bellici.

Ci ricordiamo della polveriera sulla quale siamo seduti solo nei momenti di crisi internazionale acuta, quando vediamo alla tv e su organi di stampa multimediali e social immagini di portaerei ed aviogetti in aree di conflitto. Insomma quando a coloro che operano nelle stanze dei bottoni prudono le mani.

Il pacifismo come movimento d’opinione vive una crisi profonda, è cadaverico, probabilmente vittima delle sue parzialità ideologiche. Bisogna rianimarlo, fargli riprendere una lotta inarrestabile e imparziale in tutte le piazze, in ogni nazione, in ogni città, in ogni villaggio fin quando non si otterranno risultati concreti e non si cominceranno a smantellare gli arsenali nucleari e di tutte le armi di distruzione di massa. Non utopia ma esigenza indifferibile. E’ mors tua vita mea: se il mondo non riuscirà a svuotare gli arsenali nucleari gli arsenali nucleari distruggeranno il mondo. Forse prima ancora di quanto possiamo prevedere.

Nel pianeta “virato” - sofferente e nervoso, sempre più impoverito e gravido di scontro economico-sociale interno pronto a debordare all’esterno – il tasso di conflittualità cresce giorno dopo giorno.

Fondamentale lottare per l’ambiente ed il clima, per l’affermazione dei diritti di uguaglianza “unici” indipendentemente dal colore della pelle. Ancora più decisivo lottare perché “esista” un genere umano ed “esista” un pianeta non ridotto ad un deserto radioattivo contaminato, inabitabile ed inabitato, dove poter esercitare i diritti umani e vivere in armonia con l’ambiente.

 di Pino Scorciapino

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