Così gli immigrati sostengono la ripresa dell'economia italiana
Anche quest’anno è stato presentato al Viminale il Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione “L’impatto fiscale dell’immigrazione”, curato dalla Fondazione Leone Moressa.
Il dato più significativo emerso dallo studio condotto dai ricercatori della fondazione è che gli stranieri occupati in Italia nel 2015 hanno prodotto, in termini di valore aggiunto nazionale, una ricchezza pari all’8,8%, traducibile in ben 127 miliardi di PIL generato.
A questo scenario è saldamente legato l’importante apporto economico dell’immigrazione, in termini di gettito fiscale per le casse italiane, che nel 2014 è stato pari a 10,9 miliardi di contributi INPS versati per anno (il 5% del totale) e 6,8 miliardi di entrata IRPEF (il 4,5% del totale), per un totale di 46,6 miliardi di redditi dichiarati. Secondo queste stime, gli immigrati verserebbero molti più contributi sociali di quanto ne riceverebbero in pensioni e altre prestazioni sociali. Di contro, la spesa a costo standard per gli immigrati nel 2014 è stata di 14,7 miliardi, appena l’1,75% della spesa pubblica complessiva, registrando la maggiore incidenza nei settori legati alla sanità (4%), istruzione (3,7%), trasferimenti economici (3,1%) e giustizia (2%). Se consideriamo il numero davvero esiguo di stranieri che al momento in Italia percepisce una pensione, siamo di fronte ad una incidenza sulla spesa pubblica nazionale davvero poco significativa. Un dato facilmente comprensibile se si considera che, dal punto di vista demografico, la popolazione italiana in età lavorativa è di 63,2% rispetto a quella straniera che supera il 78%. È facile prevedere che nei prossimi anni, a causa dell’invecchiamento della popolazione straniera, ci saranno più pensionati stranieri che appesantiranno il nostro welfare. Anche se è plausibile ritenere che molti di essi, che in questi anni stanno versando i contributi previdenziali nel nostro Paese, si sposteranno, nel frattempo, in altre nazioni o nel proprio Paese di origine, non arrivando a percepire la pensione in Italia.
I settori produttivi in cui si riscontra una maggiore produzione di ricchezza nazionale da parte di lavoratori stranieri sono: alberghiero e ristorazione (18,9%), costruzioni (16,6%), agricoltura (15,9%). Seguono: manifattura (9,7%), altri servizi (7,5%), commercio (6,3%).
L’Emilia Romagna è la regione con il V.A. prodotto dagli occupati stranieri più alto (11,9%), seguono: Lombardia (11%), Veneto (10,4%) e Lazio (10%). La Sicilia è la terzultima regione con appena il 3,9% di ricchezza prodotta in termini di V.A . Chiaramente, la maggiore concentrazione di stranieri residente in Italia al 1° gennaio 2016 si registra nelle regioni più prospere economicamente come la Lombardia (22,9%), il Lazio (12,8%), l’Emilia-Romagna (10,6%)e il Veneto (9,9%). In coda le regioni centro-meridionali, che restano di transito per raggiungere le aree metropolitane del nord Italia ed europee, che offrono maggiori possibilità occupazionali.
Alla stessa data, la comunità straniera a registrare il più alto tasso di presenza sul territorio nazionale è quella rumena (22,9%), seguono la albanese (9,3%), marocchina (8,7%) e cinese (5,4%). Le stesse alle quali si riconosce una maggiore capacità imprenditoriale: marocchina (11%), cinese (10%), rumena (9,5%), albanese (6,1%) e altre meno significative, per un totale di 656.114 imprenditori stranieri. Queste imprese operano soprattutto nel settore del commercio (38,5%), costruzioni (24,8%), altri servizi (17,6%), manifattura (8,4%), alberghi e ristorazione (8%) e agricoltura (2,8%), per un totale di 550.717 imprese gestite da stranieri che con 96 miliardi di euro di utile, contribuiscono a determinare il 6,7% del V.A. nazionale.
Un ulteriore elemento da evidenziare è che tra il 2011 e il 2015, mentre il numero di imprese italiane ha subito una diminuzione del 2,6%, quelle straniere hanno registrato un incremento pari al 21,3%. Questo dato, se legato al tasso occupazionale, che per gli stranieri è nettamente superiore rispetto a quello autoctono, potrebbe indurre erroneamente a far ritenere che gli stranieri che si stanziano nelle nostre città compromettano, con la loro presenza, le opportunità occupazionali degli italiani. Un luogo comune che si conferma non avere un fondamento di verità in quanto, pur diminuendo il numero di occupati italiani non aumenta conseguentemente quello dei lavoratori stranieri nei medesimi settori produttivi, indice che continua a mantenersi una netta separazione tra professioni straniere (per il 66% a bassa qualifica) e italiane.
Se ne conclude che l’economia del nostro Paese non è affatto depauperata dalla presenza di stranieri, al contrario, trae benefici non indifferenti dalla loro presenza e operosità sul territorio.
Fonti:
- Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione “L’impatto fiscale dell’immigrazione”, curato dalla Fondazione Leone Moressa, 11 ottobre 2016.
- Rapporto Worldwide Inps, 29 settembre 2015.
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