Così cambiano le politiche attive del lavoro

Economia | 6 luglio 2015
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Nasce l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, arriva l’assegno di ricollocazione e mutano alcune caratteristiche del rapporto pubblico-privato nella fornitura dei servizi. Cosa determinerà il successo dei nuovi strumenti e quale sarà il costo per lo Stato.

Il decreto legislativo
Il decreto legislativo di riordino della normativa sui servizi per il lavoro e le politiche attive compie tre scelte importanti che riguardano la governance della neonata Agenzia delle politiche attive; le caratteristiche del rapporto pubblico-privato nella fornitura dei servizi al lavoro; l’introduzione di un nuovo strumento di politica attiva, l’assegno di ricollocazione.Nel rispetto del vincolo finanziario di non imporre maggiori oneri a carico della finanza pubblica, l’Agenzia prende forma attraverso la fusione della direzione delle politiche attive del ministero del Lavoro (contestualmente soppressa al ministero) con Italia Lavoro e Isfol. Isfol rimane in versione più piccola come nucleo di valutazione delle politiche pubbliche. Italia Lavoro – commissariata dal presidente Anpal – fornisce ora servizi in convenzione, in genere di supporto alle politiche attive nelle regioni. La scelta della governance pubblica può essere accusata di conservatorismo, ma la novità della gestione dovrebbe essere garantita da un presidente esterno nominato dal ministro per tre anni.Le funzioni della nuova agenzia corrispondono a quelle del ministero, a cui si aggiungono però alcune novità importanti. La prima riguarda il coordinamento di politiche attive e condizionalità dei sussidi di disoccupazione: molto più di prima il sussidio di disoccupazione è condizionato alla attiva ricerca di un lavoro. La condizionalità viene gestita dei centri pubblici dell’impiego, che sono gli unici titolati a privare i disoccupati del diritto al sussidio in caso di non accettazione di offerte di lavoro congrue. È vero che la condizionalità in teoria esiste già e non ha mai funzionato, ma ora, in ausilio dei centri dell’impiego, intervengono anche le agenzie private, che segnalano la non accettazione di offerte congrue che non permettono loro di incassare l’assegno di ricollocazione.Le altre novità riguardano l’accreditamento nazionale dei privati titolati a gestire politiche attive e la valutazione dei loro risultati nella ricollocazione dei disoccupati, in capo all’Anpal.In ultimo, tra le funzioni più importanti c’è la definizione della procedura di “profilazione” dei disoccupati ai fini della loro assegnazione a una classe di occupabilità e la determinazione dell’ammontare del loro personale assegno di ricollocazione attraverso una procedura automatizzata.
Il ruolo di centri, agenzie e disoccupati
Il decreto disegna un sistema in cui i centri dell’impiego (che notoriamente sono a corto di personale e risorse) svolgono il compito essenziale di “profilare” il disoccupato e di stringere con lui un patto di servizio in vista della gestione della condizionalità. Queste funzioni sono completamente automatizzate proprio per alleviare il peso della burocrazia. Anche la registrazione dello stato di disoccupazione è automatica e da oggi non è più necessaria per fruire di altri servizi, quali case popolari, ticket Asl e altro. Inoltre, tutti questi servizi possono essere forniti in regime di quasi-mercato, per salvaguardare le regioni che già hanno adottato questo sistema (non sembra quindi giustificata la critica di Gianni Bocchieri. I centri dell’impiego si limitano ad assegnare gli assegni di ricollocazione dopo sei mesi di disoccupazione e a gestire il meccanismo della condizionalità.Il lavoratore che si fa profilare e assegnare a una categoria di occupabilità ha diritto, dopo sei mesi di sussidio di disoccupazione (Naspi), a un assegno da spendere presso una delle agenzie del lavoro accreditate a livello nazionale (o direttamente presso i pochi centri dell’impiego che fossero in grado di fare ricollocazione). L’assegno può essere riscosso prevalentemente a «risultato ottenuto» cioè a disoccupato ricollocato. L’agenzia ha l’obbligo di fornire servizi di ricollocazione adeguati e il lavoratore ha l’obbligo di collaborare col tutor. L’agenzia segnala al centro per l’impiego i casi in cui il disoccupato non accetta una congrua offerta di lavoro – impedendo così all’ente accreditato di portare a termine il lavoro di ricollocazione e di incassare l’assegno..
Il costo di un successo
Almeno all’inizio, il successo dell’Anpal si gioca sulla gestione dell’assegno di ricollocazione, che ha una sua dotazione finanziaria autonoma, ma che nei prossimi anni andrà pagato con le risorse dei programmi operativi nazionali e regionali cofinanziati con fondi strutturali europei. E solo la collaborazione tra regioni e agenzie private può garantirne il successo, in attesa della modifica costituzionale su competenza delle politiche attive e trasferimento dei centri per l’impiego pubblici dalle provincie alle regioni. Qui diventano quindi cruciali i dettagli su quanti assegni di ricollocazione emettere e dopo quanto tempo trascorso in disoccupazione.La tabella sotto indica che nel gennaio 2013 vi erano circa 250mila disoccupati in Aspi da più di sei mesi e 460mila da più di quattro mesi. A questi va aggiunto il flusso dei nuovi disoccupati di ogni mese: la tabella indica che sono circa 70mila, di cui 25mila trovano spontaneamente lavoro entro i sei mesi successivi (solo 16mila trovano lavoro entro tre mesi). All’assegno di ricollocazione avrebbero dunque diritto circa 45mila persone ogni mese se concesso dopo sei mesi di Aspi e 54mila se riconosciuto dopo quattro mesi.Ovviamente, non tutti gli aventi diritto chiederanno l’assegno né tantomeno verranno ricollocati (e quindi l’assegno non potrà essere incassato). Ma gli effetti sulle finanze pubbliche e sullo sviluppo del mercato degli enti accreditati saranno molto diversi a seconda delle scelte compiute sulla platea degli aventi diritto. Se si assume un assegno di ricollocazione medio di circa 2.500 euro (l’ammontare varierà a seconda della fascia di occupabilità e della regione), si può facilmente capire che il potenziale di impatto e di spesa è assai rilevante.
Tabella 1 – Evoluzione mensile per generazioni di beneficiari di disoccupazione non agricola/Aspi, per tempo di reimpiego (valori assoluti)


(**) Per il mese di gennaio si considera il numero di beneficiari di disoccupazione non agricola/AspiI suddivisi in classi di durata in disoccupazione, mentre nei mesi successivi si considerano solo i nuovi entranti nella prestazione rispetto al mese precedente. Fonte Inps.
* L’autore è consulente del ministero dell’Economia e delle Finanze, ogni opinione è strettamente personale. (info.lavoce)
 di Marco Leonardi

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