Cortile Cascino, l'Albergheria e il Capo tra storia e mito

Cultura | 9 settembre 2021
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Roland Barthes, famoso linguista e semiologo francese, scrisse oltre cinquant'anni fa che andava affermandosi “ una coscienza crescente della funzione dei simboli nello spazio urbano....Ogni città è un po' costruita, fatta da noi, ad immagine della nave Argo , cioè un insieme di segni leggibili ed identificabili. In questo sforzo per avvicinare semanticamente la città dobbiamo capire il gioco dei segni, capire che qualsiasi città è una struttura, ma non cercare mai o non voler riempire questa struttura.” (Op. Cit. numero 10, 1967). Alla lettura del centro storico di Palermo come “ realtà quotidiana, mercati, luoghi di passeggio o teatro di strani commerci” (dalla prefazione di Valentina Mancuso) nei quali immergersi pienamente per comprenderne i significati, ma anche le complesse stratificazioni storiche e culturali è dedicato il saggio bello ed innovativo di Maria Giulia Franco, una giovane studiosa, formatasi all'Università di Bologna ma di origini palermitane. 

“Centralità ai margini. Palermo ed i suoi quartieri: Cortile Cascino, l'Albergheria e il Capo”( Mohicani Edizioni luglio 2021 euro 12,00) analizza tre quartieri del centro storico del capoluogo siciliano: due ancora esistenti e pieno di segni e significati -l'Albergheria ed il Capo; il terzo- Cortile Cascino- da tempo cancellato dalle scelte urbanistiche, ma destinato a restare nella memoria soprattutto per i fondamentali studi socilogic che ad esso dedicarono Danilo Dolci e Goffredo Fofi. Tutti e tre i quartieri, sostiene l'autrice, fungono da luoghi rappresentativi perché incarnano per la loro condizione di degrado e di subordinazione, l'effetto di una crescita urbanistica avvenuta a discapito dei ceti più poveri e del sottoproletariato. La particolarità dei quartieri oggetto di studio, che l'autrice mette egregiamente in evidenza, è che essi, pur collocati fisicamente nel centro storico (addirittura nella parte più antica della città) furono come nascosti- e comunque del tutto trascurati- dalle classi egemoni che assunsero la guida di Palermo dopo la seconda guerra mondiale. Nel caso del cortile Cascino l'isolamento era addirittura fisico perché era raggiungibile solo da uno stretto vicolo in salita tra una casa ed il muro della ferrovia. Un destino di isolamento ed emarginazione aggravato dalla configurazione del territorio collocato in una depressione rispetto al livello stradale. Una sorta di ghetto, pur a poche centinaia di metri dalla Cattedrale e dalle sedi del potere: palazzo dei Normanni che la Regione a Statuto speciale aveva riportato agli antichi fasti e palazzo d'Orleans sede del governo regionale. All'interno dell'enclave sopravviveva un'umanità dolente, alla quale la ricerca sociologica di Dolci restituì dignità, che si arrabattava tra disoccupazione, lavoretti saltuari, evasione scolastica ed ambienti insalubri.

 La città “che contava” poteva far finta di non vedere e continuare nella creazione di ricchezza, spesso sporca, indotta dalla grande speculazione edilizia che si avviò negli anni '60 dello scorso secolo. Assai opportunamente la Franco fa osservare che di quei luoghi si è voluta cancellare perfino la memoria, tanto che “nella vasta zona delimitata lateralmente da corso Umberto Amedeo e via Imera è in corso il cantiere per la nuova stazione metropolitana Imera ...(cosicché) la profonda depressione rispetto al livello stradale....è stata restituita alla sua funzione di asse ferroviario”. Tuttavia il tentativo di cancellare anche il ricordo delle sofferenze di chi viveva in quei luoghi è stato impedito dalla fama internazionale cui è giunta la ricerca do Dolci. Attraverso un'interessante e continua correlazione tra l'ieri e l'oggi, tra le origini della città prima araba, medievale, successivamente rinascimentale e le scelte urbanistiche che alla metà del Novecento avviarono imponenti processi di spopolamento del centro storico (non a caso, come nota la Franco oggi ripopolato da immigrati di diverse etnie), l'autrice riproponendo l'espressione di Serge Latouche relativa ai “naufraghi dello sviluppo” mette in rilievo il forte senso di territorialità dimostrato dagli abitanti dei due quartieri in cui si è cercato di fronteggiare e dare risposte al degrado, anche in ragione del forte intreccio tra marginalità e sviluppo che segna la presenza dei due maggiori mercati tradizionali cittadini, il Capo e Ballarò all'Albergheria. 

 L'attenta lettura dei molteplici significati che emergono dalla storia e dalla contemporaneità dei quartieri esaminati consente una visione organica della città, della sua spazialità e dei processi di riappropriazione in corso da parte delle comunità locali: esemplare in tal senso la distinzione, a proposito dell'Albergheria, tra la produzione di forme anche artisticamente rilevanti di street art nella parte riconquistata a progetti di risanamento e la ”spazialità vuota” del mercato dell'usato di piazza Napoleone Colajanni, emblema della marginalità anche economica di venditori e clienti,. Attorno ad esso emerge infatti uno “scenario di palazzine fatiscenti e degradate dove la povertà si riflette nella mancata cura delle strutture edilizie”. Una lettura nuova ed affascinate quella offerta dalla giovane ricercatrice , al centro della quale si colloca il “legame relazionale che vi è tra l'uomo ed il suo spazio” 

Per chi considera la questione urbana uno dei temi fondamentali con cui saremo chiamati a confrontarci nei prossimi anni, “Centralità ai margini” rappresenta un contributo assai utile, oltre che una chiave di lettura di fenomeni che avranno enorme influenza sulla qualità della vita di tutti.

Franco Garufi



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