Correggo dunque sono (un artista)
Cultura | 18 giugno 2015
I gravi danni cerebrali causati dall' ictus che colpì Charles Baudelaire mentre visitava una chiesa, nel 1866, gli facevano dire " il contrario di quello che voleva " e, ciò che era più terrificante per lui, " sbagliare la punteggiatura".Ma anche allora, prostrato e ridotto all' afasia, troverà la forza di mandare puntigliose correzioni per la seconda edizione della sua raccolta di poesie.La prima -cento poesie pulite allo spasimo per dieci anni, dai tempi in cui chiamandole " cartacce " le spediva, anonime e con la calligrafia contraffatta, alla signora Apollonie Sabatier -era uscita a fine giugno del 1857 in mille copie, ciascuna delle quali fruttava all' autore 25 centesimi. Scrisse alla madre : " Questo libro, il cui titolo : I fiori del male, dice tutto, è rivestito di una bellezza sinistra e fredda... È stato fatto con furore e pazienza".OGGI, 158 anni dopo, l' editore francese Les Saints Pères pubblica i Fiori completi di note, correzioni e disegni che la madre raccolse alla sua morte e che la Bibliothéque Nationale acquistò a un' asta pubblica nel 1998 per più di tre milioni di franchi. Un sovrappiù di beffa per Baudelaire, genio abissale costretto a chiedere soldi alla madre fino a 42 anni, fracassato dalla vita e dissanguato dall' esasperata ricerca della perfezione. Che non c' entra niente con la retorica del " bello stile " cara ai seguaci dell' ortografia, ma è una diligente nevrosi, una ritualità ossessiva che torce, corregge, rieduca il testo all' infinito come fosse un arto storto o spezzato. Oppure un gesto di differimento della morte, come per Carlo Emilio Gadda, le cui liti con Garzanti e Einaudi per le protratte revisioni lo portavano al " delirio". Del resto, al cospetto della " deficienza del mondo", altro non poteva fare, Gadda, se non raddrizzare e sistemare, e nell' incompiutezza dell' opera trovare lo specchio della legge della vita che non finisce, ma semplicemente si interrompe.Borges si autoeditava e correggeva anche i critici che si permettevano di citargli a memoria, e con precisione, alcuni passi dei suoi libri. Joyce fece del capitolo allucinatorio Circe dell ' Ulisse un' orgia di disordinato rigore che sfiora la paranoia, con centinaia di aggiunte, rettifiche, precisazioni (a penna, diede la parola a un bottone facendogli dire " bip"), fino a che non fu costretto a mandarne una copia pulita al suo avvocato e a chiudere la " brutta " in un cofanetto di pelle, dove rimase per 80 anni. Céline esigeva di rivedere le bozze tre volte prima della pubblicazione, e la sua furente sintassi è frutto di un artigianato maniacale da cui restò esclusa l' ultima opera, Rigodon, finita due giorni prima che un aneurisma cerebrale lo facesse crollare sul tavolo. Proust passò gli ultimi vent' anni della sua vita in una stanza imbottita di sughero a scrivere e correggere i sette volumi della Recherche, e Musil, mentre la Storia avanzava, aggiornò L' uomo senza qualità dal 1922 fino alla morte, nel 1944.E pure se su molte bacheche Facebook, a darci ragione del tempo perso sui social senza scrivere Il ritratto di Dorian Gray, campeggia come un inno alla pensosità dispendiosa la famosa massima di Oscar Wilde (" Sono stato tutta la mattina ad aggiungere una virgola, e nel pomeriggio l' ho tolta"), il perfezionista è il contrario dell' ozioso. Piuttosto, non si rilassa mai, vive in una vigilanza ansiosa che si scarica solo nel cesello e nella tensione che arriva fino al crampo o alla stasi definitiva (e povero Kafka, che corresse il racconto Il digiunatore fino al giorno prima di morire, sdraiato nel letto del sanatorio).E NON è solo questione di sintassi : Ungaretti passò quindici anni a smontare e rimontare i suoi versi privi di punteggiatura, a incastrare e disincastrare tipo meccano o tetris dell' epoca enjambement e endecasillabi dell ' Allegria fino ad arrivare al nocciolo di una sola parola per verso.Per Flaubert, la cui estenuante correzione de La tentazione di Sant' Antonio impiegò trent' anni, " i libri non si fanno come i bambini, ma come le piramidi, mettendo grandi blocchi l' uno sopra all' altro, a forza di reni, di tempo e di sudore" ; e infatti dobbiamo a cinque anni di lavoro " disperatamente serrato " Madame Bovary.Oggi, specie da noi, non pare esserci traccia di quella missione da invasati che poi è lavoro intellettuale, mania personale e tecnica al loro apice, a meno che i testi che vengono pubblicati non siano già stati ossessivamente corretti (chissà gli originali, allora) e ripuliti dalle croste sintattiche del basic italian.L' ansia ricombinatoria, tutt' al più, si scioglie in una ginnastica correttiva delegata al buon senso degli editor.Ma pure se fosse, manco carrettate di benzodiazepine potrebbero curare quella cervellotica ricerca del minimo e del perfetto, che non aspira alla totalità, ma al " per me solo scrissi " di Nietzsche e di Giorgio Manganelli, quell' arbitrio del Capolavoro sconosciuto di Balzac, in cui il pittore Frenhofer lavora per sette anni a un dipinto che si rivelerà un confuso pasticcio da cui emerge, splendido e puro, un piede.RILEGGIAMOCI Baudelaire, perciò, e guardiamo i suoi schizzi sulle sue poesie spasimate e morbose, ché non esiste più il mix di parossismo e ossessione per l' ordine di coloro che, come Amleto, si sentono chiamati a rimettere in sesto il mondo. (Il Fatto Quotidiano)
di Daniela Ranieri
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