Contro Mafia Capitale ci vorrebbe lo spirito del '92
Il malaffare che appesta Roma ha sbalordito un po' tutti per le sue dimensioni. I primi risultati dell' operazione nota come "Mafia Capitale" non lasciano dubbi. Anche se qualcuno preferisce attardarsi sull' assenza di "punciute" con spine di arancio amare, per cui non ci sarebbe vera mafia nonostante una sostanza di comportamenti tipicamente riconducibili al 416 bis.
Ma come definire la tendenza di pezzi consistenti della classe dirigente (politici, amministratori, alti burocrati e operatori economici) a forme di allergia per la legalità con uso del potere pubblico in modo privato? Persistenza sotterranea che riaffiora ciclicamente? Tara del carattere nazionale? Endemia? Metastasi? Elemento strutturale del sistema? Guicciardini sosteneva che "le cose passate fanno luce alle future (…) e le cose medesime ritornano ma sotto diversi nomi e colori".
I "precedenti" della situazione denunciata oggi dalla Procura di Roma sono singolari e per certe somiglianze stupefacenti. La bella Autobiografia di una Repubblica di Guido Crainz ne offre un ricco e prezioso catalogo. Dagli Anni Ottanta fino ai primi Anni Novanta "la realtà italiana è sempre più caratterizzata da una illegalità diffusa e da un' incredibile accettazione di comportamenti a vario titolo illeciti" (Ornaghi-Parsi).
Nel 1980, Italo Calvino scriveva un eloquente Apologo sull' onestà nel paese dei corrotti, mentre Massimo Riva denunciava che "mai si era vista tanta corruzione radicarsi così dentro e così largamente nelle strutture dello Stato".
Fino a invocare che qualcuno si levasse contro i disonesti con le parole "in nome di Dio andatevene! liberateci dalla vostra presenza" (tolto l' accenno a Dio, sembra quasi un' invettiva "grillina"…). NEL 1993, all' esordio del ventennio che ora comprende la "Mafia Capitale" e ha rafforzato alcuni caratteri negativi del nostro paese, Antonio Gambino scriveva che "intere schiere di uomini politici e funzionari pubblici hanno saccheggiato lo Stato, avvicinando la comunità a un baratro che rischia di inghiottirla".
Con queste citazioni non si vuole assolutamente dire (sarebbe bestemmia) che così robusti precedenti possano in qualche modo assolvere conclusioni ispirate a "filosofie" perverse, del tipo "così fan tutti da sempre, non val la pena scaldarsi...".
Vero è che queste "filosofie" trovano nutrimento nella constatazione che nel nostro Paese chi sbaglia raramente paga, soprattutto se conta.
Grazie anche (soprattutto nel recente passato) a condoni persino tombali, prescrizioni senza freni e leggi mirate su interessi personali. Vero è che una buona parte del popolo italiano è persino riuscito a metabolizzare la penale responsabilità di Andreotti e la condanna di Dell' Utri per gravi collusioni con il peggior potere mafioso. Ma ragionando così si consolida quella rassegnazione dei cittadini (spesso connivenza) che è uno dei più potenti fattori di persistenza all' infinito dei comportamenti immorali e illegali che si fustigano con furore soltanto finché fa effetto l' indignazione dell' ultimo scandalo.
Dobbiamo invece ritrovare quella coscienza civica collettiva che dopo le stragi di mafia del 1992 ci ha consentito di fare resistenza e di salvare l' Italia dal baratro in cui esse volevano cacciarla, trasformando la democrazia in un narco-Stato o Stato-mafia.
Coscienza civica tradottasi allora nella stagione dei lenzuoli e poi nell' azione organizzata da "Libera" e altre associazioni. Coscienza civica che oggi significa rifiuto di omologazione, di quieto vivere e conformismo. Soprattutto coraggio di denuncia e coerenza (predicare moralità mentre si praticano favoritismi e illegalità equivale a rafforzare il potere mafioso).
La mafia oggi uccide meno persone, ma uccide sempre più la speranza (copyright di Luigi Ciotti). Il business complessivo dell' evasione fiscale, della corruzione e dell' economia mafiosa è da vertigine.
Queste illegalità, con le collusioni e l' inefficienza, operano come una tenaglia che ci stritola causando sempre più impoverimento economico e sociale. Solo l' impegno e il coraggio di tutti possono tenere in vita la speranza di salvare ancora la democrazia.
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