Consiglieri comunali in Sicilia, un lavoro come un altro

Politica | 17 maggio 2016
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A Napoli l'ultima frontiera disperata di chi è in cerca di lavoro, anzi di un reddito di sussistenza, è la politica”. La notizia che 10.000 donne ed uomini di quella città si sono presentati alle elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale e di quelli municipali- uno ogni ottanta abitanti- ha fatto dire a qualche commentatore che è nato un vero e proprio “welfare elettorale” quasi un “aggiornamento del professionismo della politica tra malaffare e privilegi”. Il fenomeno, oggettivamente preoccupante, non è in realtà nuovo ed è stato in passato riscontrato anche in Sicilia, nelle elezioni comunali delle principali città capoluogo. Qualche anno fa a Catania addirittura qualche candidato non nascose che lo stimolo principale al cimento elettorale era rappresentato dalla prospettiva dell'indennità estesa ai consigli delle municipalità, una sorta di mini-stipendio assicurato per cinque anni. Non ci si è fermati lì. Alcuni scandali nei comuni sono scoppiati in seguito all'abuso della normativa che consente alle aziende che hanno dipendenti eletti consiglieri di ottenere il rimborso dello stipendio a carico del Comune. Si registrarono, infatti diversi casi di assunzioni avvenute immediatamente all'indomani dell'elezione e verosimilmente fittizie. Certo, nel caso napoletano impressiona la differenza: Roma i candidati tra comune e municipi sono 3000 e meno di duemila a Milano.

 Una distorsione concentrata alo Sud, dunque? Un'altra conferma dell'arretratezza dei meccanismi di selezione degli amministratori locali nei comuni del Mezzogiorno, impoveriti dal patto di stabilità interno e dalle nuove regole sui bilanci? In realtà il fenomeno è più complesso e bisogna innanzitutto, per correttezza, ricordare che nei piccoli comuni le indennità per sindaci, assessori e consiglieri hanno entità assai ridotte e molti sono i casi di amministratori che vi rinunciano per aiutare le disastrate finanze locali. Tuttavia un problema esiste ed origina da una molteplicità di cause: il meccanismo elettorale che favorisce i candidati sindaci sostenuti da larghe coalizione locali, la scomparsa dei partiti organizzati, la moltiplicazione delle liste civiche. 

Non a caso qualche tempo fa la presidente della Commissione bicamerale antimafia, on. Rosy Bindi, ha segnalato il pericolo di infiltrazioni malavitose e l'estendersi della corruzione connessi alla moltiplicazione delle liste civiche. E' bene che a Napoli il problema sia stato segnalato e sia divenuto oggetto di polemica e di riflessioni, ma è utile verificare cosa sta succedendo in Sicilia all'approssimarsi del voto del 5 giugno, Nell'isola andranno alle urne 27 comuni di diverse dimensioni, ma nessun capoluogo delle ex province.

I comuni più importanti sono Vittoria che ha circa 62.700 abitanti e Alcamo con 45.540, seguiti da Caltagirone (38.800) e Canicattì (35.390) . Ho cercato le informazioni relative al numero dei candidati al Consiglio comunale (in genere in questi comuni non si vota per i consigli di circoscrizione). I risultati sono i seguenti: a Vittoria a sostegno dei candidati sindaci si sono schierate 19 liste con 445 candidati, il rapporto è di un candidato ogni 143 abitanti; ad Alcamo 281 candidati con un rapporto di uno ogni 158 residenti; a Caltagirone si presentano 333 candidati, uno ogni 113 elettori; a Canicattì 300 candidati, uno ogni 117 elettori. Per ragioni di brevità non estendo l'analisi agli altri comuni sopra i cinquemila abitanti, dove l'elezione diretta del sindaco si accoppia con il sistema proporzionale per il Consiglio; sono tuttavia abbastanza convinto che il risultato non sarebbe molto differente. Se assumiamo che l'eccesso di candidati corrisponda ad un disvalore e se ipotizziamo che abbia senso stilare una graduatoria, il comune più “virtuoso”apparirebbe Alcamo e saremmo comunque negli altri lontani dagli eccessi napoletani.

La mia interpretazione è, tuttavia, parzialmente diversa da chi ha portato agli onori della cronaca il caso della metropoli partenopea. Non si tratta tanto di welfare politico, quanto della quantità di interessi che si muovono attorno alle elezioni comunali e che moltiplicano le istanze di partecipazione, nella prospettiva di accaparrarsi il controllo della quota di risorse locali e di flussi finanziari che la conquista dell'ente locale può determinare. Con un ritorno indietro di diversi decenni la lotta politica locale, in un momento in cui l'ascesa al Parlamento di Roma o a Sala d'Ercole appare determinata soprattutto dalla maggiore o minore vicinanza ai leaders nazionali, è tornata ad essere il terreno decisivo di scontro delle elites e degli interessi locali. Insomma- senza nulla togliere alle tante persone per bene che decidono di cimentarsi elettoralmente per motivi del tutto trasparenti e legittimi- spesso chi si candida aspetta, in caso di vittoria del proprio candidato sindaco, un “ritorno” in termini di benefici personali sicuramente non limitato alla semplice indennità di carica. Ciò che probabilmente contribuisce a spiegare perché, nel pieno di una generale crisi della partecipazione politica, le elezioni comunali continuino a suscitare tanto interesse.

 di Franco Garufi

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