Censis: Italia stanca, povera, egoista e incattivita
Un sovranismo psichico, prima di quello politico, come risultato della cattiveria che gli italiani provano, per riscattarsi dalla delusione per la mancata
ripresa economica, e che spesso rivolgono contro gli stranieri.
E' la diagnosi impietosa della situazione sociale italiana, come
risulta dal 52/o rapporto Censis che ha analizzato la società
italiana.
All’origine del sentimento c'è il cosiddetto ascensore
sociale: l’Italia è il paese dell’Unione europea con la più
bassa quota di cittadini che dicono di avere un reddito e una
capacità di spesa migliori di quelle dei propri genitori: sono
il 23% contro una media europea del 30% (i picchi sono in
Danimarca a quota 43% e in Svezia al 41). A pensarlo sono
soprattutto le persone con un reddito basso, convinte che nulla
cambierà nel loro portafogli. La delusione si intreccia con la
percezione di essere poco tutelati 'a casà: il 63,6% è convinto
che nessuno difende i loro interessi e la loro identità e che
devono pensarci da soli. «La non sopportazione degli altri
sdogana i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili»,
sottolinea il capitolo del Censis che fotografa la società
italiana.
PERICOLO MIGRANTI - Nel mirino dei 'cattivi sovranistì
finiscono soprattutto gli stranieri: il 69,7% degli italiani non
vorrebbe i rom come vicini di casa e il 52% è convinto che si fa
di più per gli immigrati che per gli italiani. La quota
raggiunge il 57% tra le persone più povere. Da qui la
conclusione del Censis: «sono i dati di un cattivismo diffuso
che erige muri invisibili ma spessi». I più bersagliati,
inoltre, risultano gli extracomunitari: il 63% degli italiani
vede in modo negativo l’immigrazione dei Paesi non comunitari
contro una media Ue al 52% e il 45% non tollera anche quelli
comunitari (in Europa la media è al 29%). I più ostili sono gli
italiani più fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78%
dei disoccupati, mentre il dato scende al 23% tra gli
imprenditori. Ma perché tanta ostilità? gli stranieri tolgono il
lavoro agli italiani è la risposta del 58%, per il 63% sono un
peso per il welfare mentre il 37% crede che il loro impatto
sull'economia sia favorevole.
ONDATA ASTENSIONE - Accanto al fronte immigrazione, si apre
quello sul voto: alle ultime elezioni politiche gli astenuti e i
votanti scheda bianca o nulla sono stati 13,7 milioni alla
Camera e 12,6 al Senato. Una pratica che è schizzata negli
ultimi decenni: dal 1968 a oggi l’area del non voto è salita
dall’11,3% di 50 anni fa, al 29,4%. Inoltre, il 49% degli
italiani crede che gli attuali politici siano tutti uguali,
mentre divide il loro uso dei social network: per il 52,9% sono
inutili o dannosi, contro il 47,1% ce li apprezza perché
eliminano ogni filtro nel rapporto cittadini-leader politici.
MIRAGGIO ITALIEXIT? - Pochissima convinzione anche rispetto
all’Unione europea: oggi secondo il Censis, il 43% degli
italiani pensa che far parte delle istituzioni europee abbia
giovato all’Italia contro una media del 68% nel resto del
Vecchio continente. «Siamo all’ultimo posto in Europa,
addirittura dietro la Grecia della troika e il Regno Unito della
Brexit», scrive l’istituto di ricerca. Eppure finora gli
italiani sono stati tra i più assidui 'fan' di Bruxelles e in
particolare al voto: nel 2014 l’affluenza alle elezioni europee
era al 72%, rispetto al 42,6 della media. A maggio ci sarà
un’importante prova per capire se c'è ancora fedeltà.
QUASI DUE MILIONI DI FAMIGLIE POVERE, UN TERZO STRANIERE
Le famiglie che si trovano in condizione di povertà assoluta sono un 6,9% del totale, vale a dire un milione e 793mila. E di queste quasi un terzo - 455mila,
il 29,2% - sono straniere. Secondo il rapporto Censis c'è stato un aumento del 10,6%
rispetto al 2016 (erano il 6,3% del totale).
E che siano le famiglie straniere o miste a pagare il prezzo
più alto lo dice anche un altro dato: negli ultimi 4 anni,
afferma il Censis, a fronte di una crescita media del 22% delle
famiglie in stato di grave indigenza, quelle italiane povere
sono cresciute dell’11,5% mentre quelle di soli stranieri del
20,6% e quelle miste addirittura del 183,1%. E preoccupano anche
i dati relativi agli individui a rischio di povertà relativa: in
Italia sono il 17,5% dei nativi (media Ue: 15,5%), il 28,9%
degli stranieri comunitari (media Ue: 22,3%) e il 41,5% dei
cittadini non comunitari (media Ue: 38,8%). Negli ultimi 10
anni, mentre i cittadini italiani in situazione di povertà
relativa sono stazionari, gli stranieri comunitari a rischio
sono aumentati del 13,6% e i non comunitari del 12,7%. Nello
stesso periodo, in Europa i nativi a rischio di indigenza sono
stabili, i cittadini comunitari si sono ridotti dell’8,7%, i
cittadini non comunitari sono aumentati del 9,9%. Solo la
Spagna, conclude il Censis, presenta un quadro peggiore di
quello italiano
GLI ITALIANI NON CREDONO PIU' NELLA GIUSTIZIA
Costosa, lenta e incapace di garantire
la tutela dei diritti. E’ un giudizio pesante quello che gli
italiani danno della giustizia nel rapporto Censis 2018.
Un terzo della popolazione adulta (il 30,7%), vale a dire
15,6 milioni di persone, negli ultimi due anni ha infatti
rinunciato ad intraprendere un’azione giudiziaria volta a far
valere un proprio diritto; un comportamento diffuso
trasversalmente in tuta la popolazione ma più forte al sud, dove
raggiunge il 37,5%. I perché sono diversi: per il 29,4% il
problema sono i costi eccessivi, il 26,5% lamenta invece la
lunghezza dei tempi necessari per arrivare a un giudizio
definitivo e il 16,2% si dice sfiduciato della magistratura e
del funzionamento della giustizia. Ma non solo: il 38,2% degli
italiani ritiene che nell’ultimo anno la giustizia è peggiorata
(nel Sud la quota sale al 41,1%) e il 52,6% ritiene che non ci
sono stati cambiamenti. Il risultato è che 7 italiani su 10,
conclude il Censis, pensano che il sistema giudiziario non
garantisca pienamente la tutela dei diritti fondamentali
dell’individuo.
SOLI E ABBANDONATI DI FRONTE ALLA SANITA' PUBBLICA
Nel rapporto tra italiani e Servizio
sanitario pubblico sono tre le variabili che pesano: l’offerta
del territorio di appartenenza, la condizione socio-economica e
l'età delle persone. «Il difficile accesso alla sanità genera costi aggiuntivi e
una crescente sensazione di disuguaglianze e ingiustizie. Cresce
così la convinzione che ognuno debba pensare a se stesso», si
legge nell’analisi. Più della metà dei cittadini (il 54,7%)
ritiene che in Italia le persone non abbiano le stesse
opportunità di diagnosi e cure. Lo pensa il 58,3% dei residenti
al Nord-Est, il 53,9% al Sud, il 54,1% al Centro e il 53,3% al
Nord-Ovest. Addirittura ci sono oltre 39 punti percentuali di
differenza nelle quote di soddisfatti tra il Sud e le isole e il
Nord-Est, che registra il più alto livello di soddisfazione tra
le macroaree territoriali. Emblematici sono i dati sul grado di
soddisfazione rispetto al Servizio sanitario della propria
Regione: il valore medio nazionale del 62,3% oscilla tra il 77%
al Nord-Ovest, il 79,4% al Nord-Est, il 61,8% al Centro e il
40,6% al Sud e nelle isole.
Dal Rapporto emerge come sia sempre più diffuso il principio
dell’autoregolazione della salute. Dei 49,4 milioni le persone
che soffrono di piccoli disturbi, il 73,4% si è detto convinto
che sia possibile curarsi da soli. Il 56,5% ritiene che sia
possibile curarsi autonomamente perché ognuno conosce i propri
piccoli disturbi e le risposte adeguate, il 16,9% perché è il
modo più rapido. Nonostante la crescita del web, i principali
canali informativi degli italiani rimangono il medico di
medicina generale (53,5%), il farmacista (32,2%) e il medico
specialista (17,7%).
INTERNET E SOCIAL MEDIA RENDONO TUTTI “DIVI”
Internet e social network continuano
la loro corsa inarrestabile, con questi mezzi di
disintermediazione «il soggetto è diventato il protagonista
centrale, con la conseguente rottura del meccanismo di
fascinazione esercitata dalle celebrità. Nell’era biomediatica,
in cui uno vale un divo, siamo tutti divi. O nessuno, in realtà,
lo è più». Secondo il Rapporto il 78,4% degli italiani utilizza
internet, il 73,8% gli smartphone e il 72,5% i social network.
E, mentre i consumi complessivi delle famiglie non sono ancora
tornati ai livelli pre-crisi, la spesa per i telefoni è più che
triplicata nel decennio (+221,6%).
Nel pieno di questo avanzamento digitale «si è rovesciato il
rapporto tra l’io e il sistema dei media». La metà degli
italiani, infatti, è convinta che oggi chiunque possa diventare
famoso: lo pensa il 49,5%, percentuale che sale al 53,3% per gli
'under 35'. Un terzo ritiene che la popolarità sui social
network sia un ingrediente «fondamentale» per poter essere una
celebrità, ma allo stesso tempo un quarto degli italiani afferma
che oggi i divi semplicemente non esistono più. Infine, 4
persone su 10 credono di poter trovare su internet le risposte a
tutte le domande (il 41,8%, il 52,3% tra i giovani).
LA TV RESTA DOMINANTE, BATTUTA DI ARRESTO DI FACEBOOK
Nel 2018 la televisione ha registrato
una leggera flessione dei telespettatori, determinata dal calo
delle sue forme di diffusione più tradizionali (la tv digitale
terrestre e la tv satellitare si attestano, rispettivamente,
all’89,9% e al 41,2% di utenza tra gli italiani: entrambe cedono
il 2,3% di pubblico nell’ultimo anno), mentre continuano a
crescere la tv via internet e la mobile tv. I radioascoltatori sono il 79,3% degli italiani, mentre gli italiani che usano internet passano dal 75,2% al 78,4%, con una
differenza positiva del 3,2% rispetto allo scorso anno. Quelli
che utilizzano gli smartphone salgono dal 69,6% al 73,8%. Gli
utenti dei social network aumentano dal 67,3% al 72,5% della
popolazione. Continuano ad aumentare gli utenti di WhatsApp (il
67,5% degli italiani, l’81,6% degli under 30), mentre più della
metà della popolazione fa ricorso ai due social network più
popolari: Facebook (56%) e YouTube (51,8%). Notevole è il passo
in avanti compiuto da Instagram, che arriva al 26,7% di utenza
(e al 55,2% tra i giovani), mentre Twitter scende al 12,3%. I
media a stampa invece ristagnano nella crisi, a cominciare dai
quotidiani, che nel 2007 erano letti dal 67% degli italiani,
ridotti al 37,4% nel 2018. Questo calo non è stato compensato
dai giornali online, che nello stesso periodo hanno registrato
un aumento dell’utenza solo dal 21,1% al 26,3%. Anche i lettori
di libri in Italia continuano a diminuire anno dopo anno. Se nel
2007 il 59,4% degli italiani aveva letto almeno un libro nel
corso dell’anno, nel 2018 il dato è sceso al 42%.
Nella graduatoria dei media che gli italiani utilizzano per
informarsi, telegiornali e Facebook sono ancora in vetta. Ma
mentre i tg rafforzano la loro funzione (la loro utenza passa
dal 60,6% del 2017 al 65% del 2018), nell’ultimo anno Facebook
ha subito una battuta d’arresto (-9,1% di utenza a scopi
informativi). Il calo ha coinvolto anche YouTube (-5,3%),
Twitter (-3%) e la rete in generale (i motori di ricerca hanno
perso il 7,8% di utenza a fini informativi). Numerosi sono gli
utenti delle tv all news (22,6%) e dei giornali radio (20%),
mentre solo il 14,8% degli italiani ha letto i quotidiani
cartacei negli ultimi sette giorni per informarsi (e solo il
3,8% dei giovani). La radio ottiene il primato della
credibilità, con il 69,7% di italiani che la considerano molto o
abbastanza affidabile.
Tuttavia, l’uso politico dei social network
divide gli italiani. Secondo il 52° Rapporto Censis sulla
situazione sociale del Paese, i giudizi positivi sulla
disintermediazione digitale in politica sono espressi da una
percentuale che sfiora la metà degli italiani: complessivamente,
il 47,1%. Il 16,8% ritiene che gli interventi dei politici sui
social siano preziosi, perché così i politici possono parlare
direttamente, senza filtri, ai cittadini. Il 30,3% pensa che
siano utili, perché in questo modo i cittadini possono dire la
loro rivolgendosi direttamente ai politici. Invece, il 23,7%
crede che siano inutili, perché le notizie importanti si trovano
nei giornali e in tv, il resto è gossip. Infine, il 29,2% è
convinto che siano dannosi, perché favoriscono il populismo
attraverso le semplificazioni, gli slogan e gli insulti rivolti
agli avversari.
Per quanto riguarda i nuovi riti: il 59,4% degli italiani che
possiedono un cellulare evoluto dichiara che, invece di
telefonare, preferisce inviare messaggi per comunicare. Il 50,9%
controlla le notifiche del telefono come prima cosa al risveglio
o come ultima prima di andare a dormire. Il 48,4% controlla le
previsioni meteo nel corso della giornata. Il 30,1%, invece di
digitare sulla tastiera, invia messaggi vocali. Un’altra piccola
ossessione quotidiana riguarda il rapporto con la memoria. Il
cellulare diventa una «protesi» utile ai nostri ricordi e alle
nostre conoscenze, al punto che il 37,9% degli utenti, quando
non ricorda un nome, una data o un evento, si affida alle
risposte della rete per fugare ogni dubbio. E il 25,8% non esce
di casa senza portare con sé il caricabatteria del cellulare.
I problemi principali dell’era digitale: per il 42,5% il
problema numero uno è la diffusione di comportamenti violenti,
dal cyber-bullismo alle diffamazioni e intimidazioni online. Al
secondo posto, il 41,5% colloca il tema della protezione della
privacy. Segue il rischio della manipolazione delle informazioni
attraverso le fake news (40,4%) e poi la possibilità di
imbattersi in reati digitali, come le frodi telematiche (35,5%).
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