Censis: Italia stanca, povera, egoista e incattivita

Società | 7 dicembre 2018
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Un sovranismo psichico, prima di quello politico, come risultato della cattiveria che gli italiani provano, per riscattarsi dalla delusione per la mancata

ripresa economica, e che spesso rivolgono contro gli stranieri.

E' la diagnosi impietosa della situazione sociale italiana, come

risulta dal 52/o rapporto Censis che ha analizzato la società

italiana.

All’origine del sentimento c'è il cosiddetto ascensore

sociale: l’Italia è il paese dell’Unione europea con la più

bassa quota di cittadini che dicono di avere un reddito e una

capacità di spesa migliori di quelle dei propri genitori: sono

il 23% contro una media europea del 30% (i picchi sono in

Danimarca a quota 43% e in Svezia al 41). A pensarlo sono

soprattutto le persone con un reddito basso, convinte che nulla

cambierà nel loro portafogli. La delusione si intreccia con la

percezione di essere poco tutelati 'a casà: il 63,6% è convinto

che nessuno difende i loro interessi e la loro identità e che

devono pensarci da soli. «La non sopportazione degli altri

sdogana i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili»,

sottolinea il capitolo del Censis che fotografa la società

italiana.

PERICOLO MIGRANTI - Nel mirino dei 'cattivi sovranistì

finiscono soprattutto gli stranieri: il 69,7% degli italiani non

vorrebbe i rom come vicini di casa e il 52% è convinto che si fa

di più per gli immigrati che per gli italiani. La quota

raggiunge il 57% tra le persone più povere. Da qui la

conclusione del Censis: «sono i dati di un cattivismo diffuso

che erige muri invisibili ma spessi». I più bersagliati,

inoltre, risultano gli extracomunitari: il 63% degli italiani

vede in modo negativo l’immigrazione dei Paesi non comunitari

contro una media Ue al 52% e il 45% non tollera anche quelli

comunitari (in Europa la media è al 29%). I più ostili sono gli

italiani più fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78%

dei disoccupati, mentre il dato scende al 23% tra gli

imprenditori. Ma perché tanta ostilità? gli stranieri tolgono il

lavoro agli italiani è la risposta del 58%, per il 63% sono un

peso per il welfare mentre il 37% crede che il loro impatto

sull'economia sia favorevole.

ONDATA ASTENSIONE - Accanto al fronte immigrazione, si apre

quello sul voto: alle ultime elezioni politiche gli astenuti e i

votanti scheda bianca o nulla sono stati 13,7 milioni alla

Camera e 12,6 al Senato. Una pratica che è schizzata negli

ultimi decenni: dal 1968 a oggi l’area del non voto è salita

dall’11,3% di 50 anni fa, al 29,4%. Inoltre, il 49% degli

italiani crede che gli attuali politici siano tutti uguali,

mentre divide il loro uso dei social network: per il 52,9% sono

inutili o dannosi, contro il 47,1% ce li apprezza perché

eliminano ogni filtro nel rapporto cittadini-leader politici.

MIRAGGIO ITALIEXIT? - Pochissima convinzione anche rispetto

all’Unione europea: oggi secondo il Censis, il 43% degli

italiani pensa che far parte delle istituzioni europee abbia

giovato all’Italia contro una media del 68% nel resto del

Vecchio continente. «Siamo all’ultimo posto in Europa,

addirittura dietro la Grecia della troika e il Regno Unito della

Brexit», scrive l’istituto di ricerca. Eppure finora gli

italiani sono stati tra i più assidui 'fan' di Bruxelles e in

particolare al voto: nel 2014 l’affluenza alle elezioni europee

era al 72%, rispetto al 42,6 della media. A maggio ci sarà

un’importante prova per capire se c'è ancora fedeltà.


QUASI DUE MILIONI DI FAMIGLIE POVERE, UN TERZO STRANIERE


Le famiglie che si trovano in condizione di povertà assoluta sono un 6,9% del totale, vale a dire un milione e 793mila. E di queste quasi un terzo - 455mila,

il 29,2% - sono straniere. Secondo il rapporto Censis c'è stato un aumento del 10,6%

rispetto al 2016 (erano il 6,3% del totale).

E che siano le famiglie straniere o miste a pagare il prezzo

più alto lo dice anche un altro dato: negli ultimi 4 anni,

afferma il Censis, a fronte di una crescita media del 22% delle

famiglie in stato di grave indigenza, quelle italiane povere

sono cresciute dell’11,5% mentre quelle di soli stranieri del

20,6% e quelle miste addirittura del 183,1%. E preoccupano anche

i dati relativi agli individui a rischio di povertà relativa: in

Italia sono il 17,5% dei nativi (media Ue: 15,5%), il 28,9%

degli stranieri comunitari (media Ue: 22,3%) e il 41,5% dei

cittadini non comunitari (media Ue: 38,8%). Negli ultimi 10

anni, mentre i cittadini italiani in situazione di povertà

relativa sono stazionari, gli stranieri comunitari a rischio

sono aumentati del 13,6% e i non comunitari del 12,7%. Nello

stesso periodo, in Europa i nativi a rischio di indigenza sono

stabili, i cittadini comunitari si sono ridotti dell’8,7%, i

cittadini non comunitari sono aumentati del 9,9%. Solo la

Spagna, conclude il Censis, presenta un quadro peggiore di

quello italiano

GLI ITALIANI NON CREDONO PIU' NELLA GIUSTIZIA

Costosa, lenta e incapace di garantire

la tutela dei diritti. E’ un giudizio pesante quello che gli

italiani danno della giustizia nel rapporto Censis 2018.

Un terzo della popolazione adulta (il 30,7%), vale a dire

15,6 milioni di persone, negli ultimi due anni ha infatti

rinunciato ad intraprendere un’azione giudiziaria volta a far

valere un proprio diritto; un comportamento diffuso

trasversalmente in tuta la popolazione ma più forte al sud, dove

raggiunge il 37,5%. I perché sono diversi: per il 29,4% il

problema sono i costi eccessivi, il 26,5% lamenta invece la

lunghezza dei tempi necessari per arrivare a un giudizio

definitivo e il 16,2% si dice sfiduciato della magistratura e

del funzionamento della giustizia. Ma non solo: il 38,2% degli

italiani ritiene che nell’ultimo anno la giustizia è peggiorata

(nel Sud la quota sale al 41,1%) e il 52,6% ritiene che non ci

sono stati cambiamenti. Il risultato è che 7 italiani su 10,

conclude il Censis, pensano che il sistema giudiziario non

garantisca pienamente la tutela dei diritti fondamentali

dell’individuo.


SOLI E ABBANDONATI DI FRONTE ALLA SANITA' PUBBLICA

Nel rapporto tra italiani e Servizio

sanitario pubblico sono tre le variabili che pesano: l’offerta

del territorio di appartenenza, la condizione socio-economica e

l'età delle persone. «Il difficile accesso alla sanità genera costi aggiuntivi e

una crescente sensazione di disuguaglianze e ingiustizie. Cresce

così la convinzione che ognuno debba pensare a se stesso», si

legge nell’analisi. Più della metà dei cittadini (il 54,7%)

ritiene che in Italia le persone non abbiano le stesse

opportunità di diagnosi e cure. Lo pensa il 58,3% dei residenti

al Nord-Est, il 53,9% al Sud, il 54,1% al Centro e il 53,3% al

Nord-Ovest. Addirittura ci sono oltre 39 punti percentuali di

differenza nelle quote di soddisfatti tra il Sud e le isole e il

Nord-Est, che registra il più alto livello di soddisfazione tra

le macroaree territoriali. Emblematici sono i dati sul grado di

soddisfazione rispetto al Servizio sanitario della propria

Regione: il valore medio nazionale del 62,3% oscilla tra il 77%

al Nord-Ovest, il 79,4% al Nord-Est, il 61,8% al Centro e il

40,6% al Sud e nelle isole.

Dal Rapporto emerge come sia sempre più diffuso il principio

dell’autoregolazione della salute. Dei 49,4 milioni le persone

che soffrono di piccoli disturbi, il 73,4% si è detto convinto

che sia possibile curarsi da soli. Il 56,5% ritiene che sia

possibile curarsi autonomamente perché ognuno conosce i propri

piccoli disturbi e le risposte adeguate, il 16,9% perché è il

modo più rapido. Nonostante la crescita del web, i principali

canali informativi degli italiani rimangono il medico di

medicina generale (53,5%), il farmacista (32,2%) e il medico

specialista (17,7%).


INTERNET E SOCIAL MEDIA RENDONO TUTTI “DIVI”

Internet e social network continuano

la loro corsa inarrestabile, con questi mezzi di

disintermediazione «il soggetto è diventato il protagonista

centrale, con la conseguente rottura del meccanismo di

fascinazione esercitata dalle celebrità. Nell’era biomediatica,

in cui uno vale un divo, siamo tutti divi. O nessuno, in realtà,

lo è più». Secondo il Rapporto il 78,4% degli italiani utilizza

internet, il 73,8% gli smartphone e il 72,5% i social network.

E, mentre i consumi complessivi delle famiglie non sono ancora

tornati ai livelli pre-crisi, la spesa per i telefoni è più che

triplicata nel decennio (+221,6%).

Nel pieno di questo avanzamento digitale «si è rovesciato il

rapporto tra l’io e il sistema dei media». La metà degli

italiani, infatti, è convinta che oggi chiunque possa diventare

famoso: lo pensa il 49,5%, percentuale che sale al 53,3% per gli

'under 35'. Un terzo ritiene che la popolarità sui social

network sia un ingrediente «fondamentale» per poter essere una

celebrità, ma allo stesso tempo un quarto degli italiani afferma

che oggi i divi semplicemente non esistono più. Infine, 4

persone su 10 credono di poter trovare su internet le risposte a

tutte le domande (il 41,8%, il 52,3% tra i giovani).


LA TV RESTA DOMINANTE, BATTUTA DI ARRESTO DI FACEBOOK

Nel 2018 la televisione ha registrato

una leggera flessione dei telespettatori, determinata dal calo

delle sue forme di diffusione più tradizionali (la tv digitale

terrestre e la tv satellitare si attestano, rispettivamente,

all’89,9% e al 41,2% di utenza tra gli italiani: entrambe cedono

il 2,3% di pubblico nell’ultimo anno), mentre continuano a

crescere la tv via internet e la mobile tv. I radioascoltatori sono il 79,3% degli italiani, mentre gli italiani che usano internet passano dal 75,2% al 78,4%, con una

differenza positiva del 3,2% rispetto allo scorso anno. Quelli

che utilizzano gli smartphone salgono dal 69,6% al 73,8%. Gli

utenti dei social network aumentano dal 67,3% al 72,5% della

popolazione. Continuano ad aumentare gli utenti di WhatsApp (il

67,5% degli italiani, l’81,6% degli under 30), mentre più della

metà della popolazione fa ricorso ai due social network più

popolari: Facebook (56%) e YouTube (51,8%). Notevole è il passo

in avanti compiuto da Instagram, che arriva al 26,7% di utenza

(e al 55,2% tra i giovani), mentre Twitter scende al 12,3%. I

media a stampa invece ristagnano nella crisi, a cominciare dai

quotidiani, che nel 2007 erano letti dal 67% degli italiani,

ridotti al 37,4% nel 2018. Questo calo non è stato compensato

dai giornali online, che nello stesso periodo hanno registrato

un aumento dell’utenza solo dal 21,1% al 26,3%. Anche i lettori

di libri in Italia continuano a diminuire anno dopo anno. Se nel

2007 il 59,4% degli italiani aveva letto almeno un libro nel

corso dell’anno, nel 2018 il dato è sceso al 42%.

Nella graduatoria dei media che gli italiani utilizzano per

informarsi, telegiornali e Facebook sono ancora in vetta. Ma

mentre i tg rafforzano la loro funzione (la loro utenza passa

dal 60,6% del 2017 al 65% del 2018), nell’ultimo anno Facebook

ha subito una battuta d’arresto (-9,1% di utenza a scopi

informativi). Il calo ha coinvolto anche YouTube (-5,3%),

Twitter (-3%) e la rete in generale (i motori di ricerca hanno

perso il 7,8% di utenza a fini informativi). Numerosi sono gli

utenti delle tv all news (22,6%) e dei giornali radio (20%),

mentre solo il 14,8% degli italiani ha letto i quotidiani

cartacei negli ultimi sette giorni per informarsi (e solo il

3,8% dei giovani). La radio ottiene il primato della

credibilità, con il 69,7% di italiani che la considerano molto o

abbastanza affidabile.

Tuttavia, l’uso politico dei social network

divide gli italiani. Secondo il 52° Rapporto Censis sulla

situazione sociale del Paese, i giudizi positivi sulla

disintermediazione digitale in politica sono espressi da una

percentuale che sfiora la metà degli italiani: complessivamente,

il 47,1%. Il 16,8% ritiene che gli interventi dei politici sui

social siano preziosi, perché così i politici possono parlare

direttamente, senza filtri, ai cittadini. Il 30,3% pensa che

siano utili, perché in questo modo i cittadini possono dire la

loro rivolgendosi direttamente ai politici. Invece, il 23,7%

crede che siano inutili, perché le notizie importanti si trovano

nei giornali e in tv, il resto è gossip. Infine, il 29,2% è

convinto che siano dannosi, perché favoriscono il populismo

attraverso le semplificazioni, gli slogan e gli insulti rivolti

agli avversari.

Per quanto riguarda i nuovi riti: il 59,4% degli italiani che

possiedono un cellulare evoluto dichiara che, invece di

telefonare, preferisce inviare messaggi per comunicare. Il 50,9%

controlla le notifiche del telefono come prima cosa al risveglio

o come ultima prima di andare a dormire. Il 48,4% controlla le

previsioni meteo nel corso della giornata. Il 30,1%, invece di

digitare sulla tastiera, invia messaggi vocali. Un’altra piccola

ossessione quotidiana riguarda il rapporto con la memoria. Il

cellulare diventa una «protesi» utile ai nostri ricordi e alle

nostre conoscenze, al punto che il 37,9% degli utenti, quando

non ricorda un nome, una data o un evento, si affida alle

risposte della rete per fugare ogni dubbio. E il 25,8% non esce

di casa senza portare con sé il caricabatteria del cellulare.

I problemi principali dell’era digitale: per il 42,5% il

problema numero uno è la diffusione di comportamenti violenti,

dal cyber-bullismo alle diffamazioni e intimidazioni online. Al

secondo posto, il 41,5% colloca il tema della protezione della

privacy. Segue il rischio della manipolazione delle informazioni

attraverso le fake news (40,4%) e poi la possibilità di

imbattersi in reati digitali, come le frodi telematiche (35,5%). 



 di Angelo Meli

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