Cene al veleno, pretini e dissidi matrimoniali in scena sotto l'Etna

Cultura | 18 novembre 2018
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Clamorosamente violando la tradizionale staticità del punto di vista fisso dello spettatore, che coinvolto in una prossimità fisica in grado di annullare la distanza dagli attori è “invitato” a sedere in qualità di commensale, il regista Walter Manfrè imbastisce uno spettacolo accattivante e vagamente “disturbante”, già portato in scena in vari teatri siciliani, nella capitale ed ora finalmente giunto a Catania, dove è stato rappresentato nella sala del “Piccolo Teatro”. Protagonista un assortito poker di attori con il rodato Andrea Tidona “timoniere”, Chiara Condò, Stefano Skalkotos, Cristiano Marzio Penna. Tutti calzanti interpreti della piéce scritta nel 1992 dall’acclamato drammaturgo Giuseppe Manfridi, La Cena esibisce uno psicodramma familiare crudelmente disvelatore d’inconfessati segreti (alla fine rivelati), che fa strame dei sentimenti in un cerimonioso gioco ambiguo carico di sadismo, di rimandi al passato, di segreti e d’inaspettate “metamorfosi” dei personaggi. 

Trasposto in un celebre film del 1967 diretto da Gene Saks (interpreti “stellari” Jane Fonda e Robert Redford), la commedia A piedi nudi nel parco - celeberrimo testo teatrale di Neil Simon - è risorto a nuova vita alla “Sala Chaplin” di Catania con una produzione de “La Carrozza degli Artisti”, diretta dalla volitiva Elisa Franco (anche regista e attrice) che dell’opera di Simon ha recuperato l’intrinseca briosità, la freschezza e l’eterna attualità del tema, l’inevitabile dissidio moglie-marito (qui subito esploso dopo una rovente luna di miele), ma destinato a risolversi con il classico “happy-end” hollywoodiano. L’inno ai turbamenti della giovane coppia e (evviva) alla riscoperta dell’amore maturo è, con scanzonata e brillante gaiezza, interpretato da una mobilissima Laura Guidotto (Corie), Alberto Abadessa (Paul), Elisa Franco (Ethel, madre fittiziamente assopita), Sergio Borsellino (un pittoresco Velasco) e Tony Gravagna (tecnico dei telefoni). 

L’incredibile vicenda giudiziaria di Giuseppe Gulotta, ingiustamente condannato per l’uccisione di due carabinieri, costretto ad una confessione estorta con atroci maltrattamenti, rivive - portato in scena da “Palco Off” al “Must-Musco Teatro” - nel drammatico monologo Come un granello di sabbia (22 anni di carcere), testo e regia di Salvatore Arena e Massimo Barilla, poliedrico, spietato atto d’accusa contro un aberrante sistema giudiziario. Efficace, convincente interpretazione dello stesso versatile Arena, che in crescendo di tensione cattura l’attenzione degli attoniti spettatori su un episodio troppo presto sprofondato nel silenzio istituzionale e dimenticato dalla coscienza collettiva.

 Due sprovveduti pretini, ma alla fine eroi “salvifici” per una comunità senza speranza, protagonisti della pièce Venerdì 17 di e con Antonio Grosso (regia di Paolo Triestino), calcano il palcoscenico del “Brancati” (dal 15 novembre), in una commedia ironica ma con un fondo di tristezza che tende a “modernizzare” l’incrostata struttura clericale con l’immissione di giovani sacerdoti dai metodi “rivoluzionari”, ma alla fine efficacemente produttivi. Ci hanno provato in molti, ma si può davvero spiegare la Sicilia? Per Ottavio Cappellani, autore del libro ed ora anche della “stand up comedy” La Sicilia spiegata agli eschimesi (al Teatro ABC), vista l’impossibilità di spiegarla ai siciliani ed agli italiani, è bene rivolgere altrove lo “scandaloso” tentativo. Sicché, capovolgendo stucchevoli stereotipi, canzonando il mitico Goethe - eponimo dei viaggiatori “scopritori” settecenteschi, dipinto assurdamente fasciato nel suo “peplo protettivo” (?), con le scarpe calzate al contrario - ma altresì burlando l’erudito motteggiare di Camilleri, proteso a caricare di significati l’astruso concetto di “sicilitudine” e ancora demolendo l’intoccabile festa di S. Agata (trattata come vera e propria baillamme pagana tra urla feroci di “cittadini”, bancarelle di carne di cavallo, “turrunari” e l’incontenibile imbrattamento di cera delle strade cittadine) gli acuminati strali di Cappellani e Guglielmo Ferro (qui attore e regista) tirano in ballo, dileggiandolo, anche l’ex assessore alla Cultura del Comune di Catania, il leggendario accademico, nonché “compagno”, Orazio Licandro, unico candidato ad un bando per l’insegnamento a Lettere di Diritto Romano e Diritti dell’Antichità, con diritto (tutt’altro che antico) ad un compenso di 120.000 euro l’anno (quasi una predestinazione calviniana). 

Ad arricchire la pièce al vetriolo, oltre Cappellani e Ferro (per la prima volta in palcoscenico) Plinio Milazzo e Francesca Ferro. Musichedal vivo di Mario Venuti. Per chiudere al “Canovaccio” Cordialmente invitati…ad incontrare la morte (fino al 25 novembre) tratto dall’omonimo romanzo giallo di Rex Stout, regia di Gianni Scuto. In scena  Saro Pizzuto, Concetto Venti, Mary Barbagallo, Salvo Musumeci, Barbara Cracchiolo, Pippo Marchese, Giovanni Bonaventura, Pippo Tomaselli, Maria Grazia Cavallaro,Giampaolo CostantinoScenografia di Gabriele Pizzutocostumi di Rosy Bellomia.

 di Franco La Magna

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