Capaci Bis, quattro ergastoli svelano i misteri su esplosivo e servizi
È
la conclusione dell' inchiesta Capaci bis ed è l' approdo finale
delle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, che nel 2008
raccontò la preparazione della strage Falcone: ricostruendo la
caccia all' esplosivo, prelevato da bombe di profondità recuperate
nel mare di Porticello grazie alla complicità di Cosimo D' Amato, il
pescatore che poi si è pentito e ha confermato la sua ricostruzione.
Con il verdetto di ieri le dichiarazioni di Spatuzza si trasformano
in granitiche verità giudiziarie: neppure il proscioglimento di
Tutino, di fatto, scalfisce la sua credibilità dal momento che, come
ha spiegato in aula l' avvocato Flavio Sinatra, "il pentito non
indica mai Vittorio Tutino come suo referente nella preparazione
della strage".
Ma
l' inchiesta bis, concentrandosi sulla manovalanza mafiosa, lascia
tuttora aperto più di un interrogativo: nessuno in aula, per
esempio, ha saputo spiegare come mai la consulenza genetica sui
reperti trovati vicino al cratere di Capaci (una torcia, guanti e un
tubetto di mastice) non abbia trovato alcuna traccia del Dna dei
mafiosi individuati dalla Procura, ma solo profili di soggetti
sconosciuti. Ed è solo uno dei misteri irrisolti.
Tanti
i dubbi sui 400 chili di esplosivo che ha scagliato a 60 metri di
altezza la blindata di Falcone: il generale Fernando Termentini, l'
esperto chiamato in aula dall' avvocato Salvo Petronio (difensore di
Tinnirello), ha definito "inverosimili" il caricamento del
tunnel e l' uso dei detonatori, così come li hanno descritti i
pentiti: sostenendo che quelle modalità non avrebbero mai provocato
una deflagrazione "franca", cioè perfetta, come invece è
stata quella di Capaci. E non solo.
Termentini
ha sostenuto che l' attentato sull' autostrada "è stato
realizzato in base alla tecnica militare dei piani di ritardo, già
usata dall' esercito italiano a Gorizia".
Divergenze
e contestazioni che hanno spinto l' avvocato Petronio a criticare
radicalmente la ricostruzione dei pm, affermando come dietro la
strage Falcone da 24 anni ci siano "elementi concreti che
inducono a ipotizzare l' intervento di altri moventi rispetto alla
favoletta di Totò Riina che si vendica della Cassazione sul
maxiprocesso".
Nell'
arringa, il difensore di Tinnirello ha ribadito la tesi di una
matrice criminale "alta": "Lungi dall' essere un
attentato artigianale - ha detto - la strage di Capaci è
riconducibile a soggetti ben più competenti di quelli delle versioni
ufficiali: i servizi".
Tra
i "buchi neri" elencati da Petronio c' è il racconto del
pentito Franco Di Carlo, raggiunto nel carcere di Full Sutton da
alcuni 007 che gli chiedevano un appoggio in Sicilia per "fermare"
Falcone. La presenza tra questi agenti di Arnaldo La Barbera, oggi
considerato il "protagonista" del depistaggio di via D'
Amelio. E il misterioso suicidio in carcere di Nino Gioè, il
picciotto di Altofonte che nell' 89 Di Carlo mette in "contatto"
con i servizi e che tre anni dopo diventerà l' uomo di punta dello
squadrone di Capaci.
La
Corte d' assise, però, ha confermato la ricostruzione della Procura,
secondo cui nessun soggetto estraneo a Cosa nostra avrebbe
partecipato alla strage. Non c' è alcuna prova, per i pm nisseni,
che "Faccia di mostro", l' ex poliziotto Giovanni Aiello,
né altre figure misteriose abbiano avuto un ruolo nel posizionamento
del tritolo sull' autostrada. Anche la pista del "doppio
cantiere", battuta dall' ex sostituto della Dna Gianfranco
Donadio (che ipotizzò l' intervento di ambienti para-istituzionali
per rafforzare la carica di esplosivo) è stata scartata dai pm che
l' hanno inserita tra gli scenari "poco credibili" e hanno
puntato dritto sui mafiosi del commando. Lasciando, però, uno
spiraglio aperto: "Nulla esclude - ha detto l' aggiunto Sava
formulando le richieste di pena - che nuovi elementi portino ad un
Capaci Ter". (Il Fatto
Quotidiano)
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