Capaci Bis, quattro ergastoli svelano i misteri su esplosivo e servizi

Società | 27 luglio 2016
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Ergastolo per Salvatore Madonia, Lorenzo Tinnirello, Giorgio Pizzo e Cosimo Lo Nigro. Assoluzione per Vittorio Tutino, che resta comunque in cella a scontare altre condanne. La Corte d' assise di Caltanissetta inchioda il "pezzo mancante" del commando di Cosa nostra che il 23 maggio '92 uccise Giovanni Falcone, la moglie e i tre agenti di scorta, accogliendo quasi in toto le richieste della Procura nissena, appena due giorni fa impegnata a festeggiare l' insediamento del nuovo capo Amedeo Bertone. I pm Stefano Luciani e Onelio Dodero, accompagnati in aula dall' aggiunto Lia Sava, avevano, infatti, chiesto la condanna alla massima pena per tutti i cinque gli imputati: compreso quel Tutino, fedelissimo dei boss Graviano, del quale solo le motivazioni della sentenza spiegheranno l' assoluzione piena. Ma Bertone, ieri sera, è apparso soddisfatto del verdetto che "ha riconosciuto le ragioni dell' accusa" e ha confermato l' impegno del suo ufficio per cercare "ulteriori verità sulle stragi".

È la conclusione dell' inchiesta Capaci bis ed è l' approdo finale delle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, che nel 2008 raccontò la preparazione della strage Falcone: ricostruendo la caccia all' esplosivo, prelevato da bombe di profondità recuperate nel mare di Porticello grazie alla complicità di Cosimo D' Amato, il pescatore che poi si è pentito e ha confermato la sua ricostruzione. Con il verdetto di ieri le dichiarazioni di Spatuzza si trasformano in granitiche verità giudiziarie: neppure il proscioglimento di Tutino, di fatto, scalfisce la sua credibilità dal momento che, come ha spiegato in aula l' avvocato Flavio Sinatra, "il pentito non indica mai Vittorio Tutino come suo referente nella preparazione della strage".
Ma l' inchiesta bis, concentrandosi sulla manovalanza mafiosa, lascia tuttora aperto più di un interrogativo: nessuno in aula, per esempio, ha saputo spiegare come mai la consulenza genetica sui reperti trovati vicino al cratere di Capaci (una torcia, guanti e un tubetto di mastice) non abbia trovato alcuna traccia del Dna dei mafiosi individuati dalla Procura, ma solo profili di soggetti sconosciuti. Ed è solo uno dei misteri irrisolti.
Tanti i dubbi sui 400 chili di esplosivo che ha scagliato a 60 metri di altezza la blindata di Falcone: il generale Fernando Termentini, l' esperto chiamato in aula dall' avvocato Salvo Petronio (difensore di Tinnirello), ha definito "inverosimili" il caricamento del tunnel e l' uso dei detonatori, così come li hanno descritti i pentiti: sostenendo che quelle modalità non avrebbero mai provocato una deflagrazione "franca", cioè perfetta, come invece è stata quella di Capaci. E non solo.
Termentini ha sostenuto che l' attentato sull' autostrada "è stato realizzato in base alla tecnica militare dei piani di ritardo, già usata dall' esercito italiano a Gorizia".
Divergenze e contestazioni che hanno spinto l' avvocato Petronio a criticare radicalmente la ricostruzione dei pm, affermando come dietro la strage Falcone da 24 anni ci siano "elementi concreti che inducono a ipotizzare l' intervento di altri moventi rispetto alla favoletta di Totò Riina che si vendica della Cassazione sul maxiprocesso".
Nell' arringa, il difensore di Tinnirello ha ribadito la tesi di una matrice criminale "alta": "Lungi dall' essere un attentato artigianale - ha detto - la strage di Capaci è riconducibile a soggetti ben più competenti di quelli delle versioni ufficiali: i servizi".
Tra i "buchi neri" elencati da Petronio c' è il racconto del pentito Franco Di Carlo, raggiunto nel carcere di Full Sutton da alcuni 007 che gli chiedevano un appoggio in Sicilia per "fermare" Falcone. La presenza tra questi agenti di Arnaldo La Barbera, oggi considerato il "protagonista" del depistaggio di via D' Amelio. E il misterioso suicidio in carcere di Nino Gioè, il picciotto di Altofonte che nell' 89 Di Carlo mette in "contatto" con i servizi e che tre anni dopo diventerà l' uomo di punta dello squadrone di Capaci.
La Corte d' assise, però, ha confermato la ricostruzione della Procura, secondo cui nessun soggetto estraneo a Cosa nostra avrebbe partecipato alla strage. Non c' è alcuna prova, per i pm nisseni, che "Faccia di mostro", l' ex poliziotto Giovanni Aiello, né altre figure misteriose abbiano avuto un ruolo nel posizionamento del tritolo sull' autostrada. Anche la pista del "doppio cantiere", battuta dall' ex sostituto della Dna Gianfranco Donadio (che ipotizzò l' intervento di ambienti para-istituzionali per rafforzare la carica di esplosivo) è stata scartata dai pm che l' hanno inserita tra gli scenari "poco credibili" e hanno puntato dritto sui mafiosi del commando. Lasciando, però, uno spiraglio aperto: "Nulla esclude - ha detto l' aggiunto Sava formulando le richieste di pena - che nuovi elementi portino ad un Capaci Ter". (Il Fatto Quotidiano)


 di Sandra Rizza

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