Bruciare o riciclare i rifiuti, la pochezza della politica italiana
Il decreto “sblocca
Italia” secondo il governo era necessario per evitare l’infrazione alle
direttive europee in materia di rifiuti. In realtà la UE aprirà un’ennesima
procedura per il mancato rispetto dell’obbligo previsto di pretrattamento dalla
Direttiva 99/31 sulle discariche e per la realizzazione di 12 inceneritori e per l’effetto che
produrranno sul mancato raggiungimento degli obiettivi europei, contenuti nel
settimo programma quadro sull’ambiente.
Lo “sblocca Italia” considera
l’incenerimento come indispensabile, mentre è solo uno dei pretrattamenti
possibili, il meno conveniente economicamente e ambientalmente; richiede tempi
lunghi di realizzazione (almeno 5 anni) e non può essere considerata una
risposta sollecita a una necessità indifferibile.
I costi di investimento sono
di almeno 4 volte superiori rispetto ad impianti a freddo di trattamento. La
vera priorità è quella delle attrezzature per la raccolta
differenziata e l’impiantistica per riciclo e compostaggio.
L’inceneritore bruciando
i rifiuti indifferenziati distrugge le potenzialità occupazionali e
imprenditoriale del ciclo e del riciclo delle materie prime e seconde contenute
nei rifiuti e necessita di due tipologie
di discarica: ceneri volanti e scorie; produce inoltre, inquinamento
atmosferico e accumulo nell’ambiente di sostanze altamente tossiche, che si insinuano
nella catena alimentare ed è in collisione con lo sviluppo dei programmi di
raccolta differenziata e con l’“Economia Circolare” dell’Unione Europea.
L’alternativa agli
inceneritori e alle discariche è quella di dotare –sopratutto le aree più
arretrate del Paese- di sistemi in grado di adempiere agli obblighi di
pretrattamento dei rifiuti in discarica, un diffusione territoriale adeguata di
impianti di compostaggio (uno ogni centomila utenti), programmazione e
realizzazione a completamento di impianti di trattamento “a freddo” con
recupero di materia dal rifiuto. (sistemi di selezione e di stabilizzazione
biologica, convertibili in impianti di trattamento dell’organico pulito
(compost) e dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata
La precondizione per un
risultato soddisfacente nella gestione sostenibile dei rifiuti è una buona
raccolta dell’organico, in modo da rendere il rifiuto residuo meno “sporco” e
più valorizzabile, e in questo l’Italia esportata modelli ed impianti nei vari
paesi dell’Unione e non solo. Tutto ciò viene messo in crisi dalla necessità di
reperire rifiuti per alimentare gli inceneritori.
La raccolta
differenziata, le pratiche di riduzione, la minimizzare il rifiuto residuo, il
ripensamento della produzione delle merci per favorirne il riuso/riciclo,
rappresentano la struttura portante delle strategie ambientali ed economiche
dell’Europa.
L’incenerimento richiede
garanzie e ingenti risorse finanziarie, quantità prestabilite di materiali da
bruciare, altrimenti il rischio
finanziario, vedi le recenti difficoltà di un grande operatore tedesco, il cui
ramo d’azienda “ambientale”, non è stato d’interesse del mercato perché era
costituito da inceneritori per la contrazione dei rifiuti da bruciare per
effetto dell’economia circolare.
Gli inceneritori rallentano o bloccano i programmi di espansione
della raccolta differenziata e il caso Sicilia è esemplare in questo senso, con
scelta fatta nel 2002 di realizzare quattro mega inceneritori per il totale dei
rifiuti prodotti. Dei 306 milioni destinati agli investimenti per la
realizzazione degli impianti per la raccolta differenziata, solo il 3% di
questa somma (10 milioni) è stata investita per la realizzazione di impianti utili
per la Raccolta Differenziata, che è stata “uccisa nella culla” anche a causa della
scellerata decisione di frammentare il sistema di raccolta in 27 costosissimi
società d’Ambito.
Il bando per la
realizzazione degli inceneritori in Sicilia garantiva un contratto “vuoto per
pieno”, che costringeva per vent’anni a conferire all’incenerimento almeno il
65% dei rifiuti, in ogni caso, i comuni erano obbligati a corrispondere
l’equivalente .
In Europa gli
inceneritori e le discariche rappresentano il passato e non riceveranno finanziamenti
comunitari, perché rappresentano la
strategia inversa al VII Piano europeo per l’ambiente, sostenuto
dall’Europarlamento, che ha chiesto l’abolizione di ogni finanziamento a
discariche o inceneritori, impegnando la Commissione sulla “economia circolare”.
Senza finanziamenti in
conto capitale e senza i sussidi alla produzione energetica da incenerimento
(vedi il cosiddetto CIP/6 che ha distorto il mercato del settore in Italia),
puntare sugli inceneritori comporterà un aumento delle tariffe dal 40 al 60%.
Il sistema Paese ha bisogno
di una strategia chiara e di investire in capacità di indirizzo, che è quella della
raccolta differenziata e della riduzione, generalizzando le pratiche virtuose
di tanti Comuni al Nord come al Sud, che devono diventare progetti per i comuni
viciniori non virtuosi, anziché importare dall’estero tecnologie obsolete di
un’economia del passato.
L’Italia ha avuto un ruolo importante nella innovazione dei sistemi di gestione
dei rifiuti, per la produzione di macchinari, tecnologica e ricerca, che
esporta nel mondo, per il trattamento, il riciclo e il riuso dei rifiuti.
L’Europa va “VERSO
UN’ECONOMIA CIRCOLARE” che si prefigge di aiutare gli stati membri a diventare
una società del riciclaggio, per non gettare in discarica o bruciare (economia
lineare), la preziosa materia prima
contenuta nei rifiuti.
A partire dal famoso rapporto “The limits to growth” (1972), la crisi
ambientale si è venuta inizialmente definendo come i limiti fisici di una
crescita fondata sul consumo illimitato delle risorse naturali, ma già anni
prima la critica ai fondamenti economici del mercato aveva trovato proposte
interessanti e innovative nell’esigenza di passare dall’ “economia del cowboy” a
quella della “navicella spaziale”, sostenuta da Kenneth Boulding, e aveva tentato con Georgescu-Roegen di
estendere le leggi della termodinamica a regolare l’economia nel consumo delle
risorse naturali. La proposta di perseguire uno “stato stazionario” del ciclo produzione–consumo avanzata da Herman
Daly sembrava una risposta interessante al “predicament
of mankind” denunciato dal rapporto commissionato dal Club di Roma.
Il Settimo Programma d’azione europeo in materia di ambiente (periodo 2012-2020) intitolato “VIVERE BENE ENTRO I LIMITI DEL NOSTRO PIANETA”, coglie dopo più di quarant’anni il monito del rapporto “The limits to growth”, redatto da Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III. Rapporto, basato sulla simulazione al computer, che presenta gli scenari e le conseguenze della continua crescita della popolazione sull'ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana.
L’Unione
europea si prefigge oggi come obiettivo generale, cercare di migliorare la qualità della
crescita economica e delle altre attività umane in modo da aumentare in misura
significativa l'eco-efficienza.
Il
Programma evidenzia come, nonostante alcuni importanti traguardi raggiunti, sia
necessario affrontare ulteriori sfide e si fonda sul principio "chi inquina
paga", sul principio di precauzione e di azione preventiva e su quello di
riduzione dell´inquinamento alla fonte e definisce un quadro generale per la
politica ambientale fino al 2020, individuando gli obiettivi prioritari da
realizzare:
-
proteggere,
conservare e migliorare il capitale naturale dell´Unione;
-
trasformare
l´Unione in un´economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell’impiego
delle risorse, verde e competitiva;
-
proteggere
i cittadini da pressioni e rischi ambientali per la salute e il benessere;
-
sfruttare
al massimo i vantaggi della legislazione dell’Unione in materia di ambiente migliorandone l’attuazione;
-
migliorare le basi di conoscenza e le basi
scientifiche della politica ambientale dell’Unione;
-
garantire investimenti a sostegno delle
politiche in materia di ambiente e clima e tener conto delle esternalità
ambientali;
-
migliorare
l´integrazione ambientale e la coerenza delle politiche;
-
migliorare
la sostenibilità delle città dell´Unione;
-
aumentare l’efficacia dell’azione della UE
nell’affrontare le sfide ambientali e climatiche a livello internazionale.
Nel
settore dei rifiuti questa strategia richiede – per non essere esclusi da un
segmento industriale così importante, come è accaduto nel settore energetico
per la strategia UE dei tre 20% al 2020, con un governo italiano che puntava al
nucleare- la progettazione dei processi di produzione dei prodotti che devono
“essere ripensati per essere utilizzati più a lungo riparati, ammodernati,
rifabbricati o, alla fine riciclati, invece di essere gettati. Per far ciò
è necessario attivare politiche idonee a favorire modelli aziendali innovativi che
instaurino un nuovo tipo di relazione tra le imprese ed i consumatori”, programmi specifici sulla riduzione dei
rifiuti e sull’incremento del recupero e del riciclo degli stessi nella
prospettiva di abolire il ricorso alle discariche. Basta adottare come base progettuale l’adozione delle migliori
pratiche e delle migliori politiche di gestione dei rifiuti, verso il
mondo imprenditoriale basato sulla “ecocreatività” e capace di mettere in campo
conoscenze, tecnologie ed innovazione per la realizzazione di prodotti
ecosostenibili e l’elaborazione di sistemi del riciclo. Questi sistemi sono in grado di
favorire la ripresa economica, sviluppare i livelli occupazionali,
perseguire un benessere solidale e duraturo. Dovrebbe sorgere il sospetto che
è sbagliato TENERE SEPARATI, o relegare nella politica dei “due tempi”, i diversi aspetti della crisi, quello
finanziario ed economico-produttivo da quello delle risorse naturali,
dell’ambiente, dei cambiamenti climatici.
Le azioni sulle quali concentrarsi sono:
1. Realizzazione di
centri di preparazione e di ricerca per il riutilizzo dei rifiuti;
2. Realizzazione di
distretti industriale del riuso;
3. Raccolta e riciclo
dei PSA;
4. Produzione di
imballaggi green;
5. Paperless;
6. Riutilizzo eccedenze
alimentari. Fondamentale in questo processo il ruolo dell’intero sistema
imprenditoriale chiamato a sostenere investimenti nel settore del riciclo,
a svolgere attività di ricerca nel campo della progettazione e realizzazione
dei prodotti ecosostenibili, a promuovere l’acquisto di tali prodotti.
7. Misure di sostegno
regionale e incentivazione dei Comuni
a sviluppare misure di fiscalità di vantaggio a favore delle
Imprese che decideranno di investire risorse nel campo della prevenzione,
del riuso o del riciclo dei rifiuti, ad incrementare il mercato del
riciclo mediante il potenziamento degli acquisiti verdi, a promuovere la
creazione di una rete di rapporti, culturali, scientifici, istituzionali,
territoriali ed economici atti a sostenere e pubblicizzare il sistema
imprenditoriale operante nel campo dell’economia circolare, a diffondere
le migliori tecnologie disponibili, le buone pratiche ed i migliori
risultati promuovendo misure premiali, a promuovere la creazione di un
marchio unico per le società operanti nel campo dell’economia
circolare dando evidenza alle imprese che partecipano al progetto.
8. Nella
messa a punto di proposte imprenditoriali, la qualità e la quantità di raccolta
deve essere compatibile con il business. E la “collaborazione” dei cittadini
(da incentivare) o comunque dei “fornitori dei rifiuti” sia fondamentale per
arrivare ad una separazione quanto più spinta possibile.
9. Favorire un ambiente
economico in grado di attrarre
nuovi investimenti, in virtù del fatto che esiste un know how specifico ed un
territorio aperto all’innovazione (vedi start Up, incubatori d’impresa,
dipartimenti universitari, CNR ed ecc.)
10. Efficienza produttiva e distributiva (vicinanza tra mercati di sbocco e materie di approvvigionamento), il costo di trasporto incida profondamente nei prezzi di acquisto o di vendita o, non da ultimo, in cui la disponibilità di particolari materie prime necessiti di una trasformazione in loco dell’industria alimentare).
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