Bruciare o riciclare i rifiuti, la pochezza della politica italiana

Economia | 21 agosto 2015
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Il decreto “sblocca Italia” secondo il governo era necessario per evitare l’infrazione alle direttive europee in materia di rifiuti. In realtà la UE aprirà un’ennesima procedura per il mancato rispetto dell’obbligo previsto di pretrattamento dalla Direttiva 99/31 sulle discariche e per la realizzazione di  12 inceneritori e per l’effetto che produrranno sul mancato raggiungimento degli obiettivi europei, contenuti nel settimo programma quadro sull’ambiente.

Lo “sblocca Italia” considera l’incenerimento come indispensabile, mentre è solo uno dei pretrattamenti possibili, il meno conveniente economicamente e ambientalmente; richiede tempi lunghi di realizzazione (almeno 5 anni) e non può essere considerata una risposta sollecita a una necessità indifferibile.  

I costi di investimento sono di almeno 4 volte superiori rispetto ad impianti a freddo di trattamento. La vera priorità è quella   delle attrezzature per la raccolta differenziata e l’impiantistica per riciclo e compostaggio.

L’inceneritore bruciando i rifiuti indifferenziati distrugge le potenzialità occupazionali e imprenditoriale del ciclo e del riciclo delle materie prime e seconde contenute nei rifiuti e necessita di  due tipologie di discarica: ceneri volanti e scorie; produce inoltre, inquinamento atmosferico e accumulo nell’ambiente di sostanze altamente tossiche, che si insinuano nella catena alimentare ed è in collisione con lo sviluppo dei programmi di raccolta differenziata e con l’“Economia Circolare” dell’Unione Europea.

L’alternativa agli inceneritori e alle discariche è quella di dotare –sopratutto le aree più arretrate del Paese- di sistemi in grado di adempiere agli obblighi di pretrattamento dei rifiuti in discarica, un diffusione territoriale adeguata di impianti di compostaggio (uno ogni centomila utenti), programmazione e realizzazione a completamento di impianti di trattamento “a freddo” con recupero di materia dal rifiuto. (sistemi di selezione e di stabilizzazione biologica, convertibili in impianti di trattamento dell’organico pulito (compost) e dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata

La precondizione per un risultato soddisfacente nella gestione sostenibile dei rifiuti è una buona raccolta dell’organico, in modo da rendere il rifiuto residuo meno “sporco” e più valorizzabile, e in questo l’Italia esportata modelli ed impianti nei vari paesi dell’Unione e non solo. Tutto ciò viene messo in crisi dalla necessità di reperire rifiuti per alimentare gli inceneritori.

La raccolta differenziata, le pratiche di riduzione, la minimizzare il rifiuto residuo, il ripensamento della produzione delle merci per favorirne il riuso/riciclo, rappresentano la struttura portante delle strategie ambientali ed economiche dell’Europa.  

L’incenerimento richiede garanzie e ingenti risorse finanziarie, quantità prestabilite di materiali da bruciare, altrimenti  il rischio finanziario, vedi le recenti difficoltà di un grande operatore tedesco, il cui ramo d’azienda “ambientale”, non è stato d’interesse del mercato perché era costituito da inceneritori per la contrazione dei rifiuti da bruciare per effetto dell’economia circolare.

Gli inceneritori  rallentano o bloccano i programmi di espansione della raccolta differenziata e il caso Sicilia è esemplare in questo senso, con scelta fatta nel 2002 di realizzare quattro mega inceneritori per il totale dei rifiuti prodotti. Dei 306 milioni destinati agli investimenti per la realizzazione degli impianti per la raccolta differenziata, solo il 3% di questa somma (10 milioni) è stata investita per la realizzazione di impianti utili per la Raccolta Differenziata, che è stata “uccisa nella culla” anche a causa della scellerata decisione di frammentare il sistema di raccolta in 27 costosissimi società d’Ambito.

Il bando per la realizzazione degli inceneritori in Sicilia garantiva un contratto “vuoto per pieno”, che costringeva per vent’anni a conferire all’incenerimento almeno il 65% dei rifiuti, in ogni caso, i comuni erano obbligati a corrispondere l’equivalente .

In Europa gli inceneritori e le discariche rappresentano il passato e non riceveranno finanziamenti comunitari, perché rappresentano  la strategia inversa al VII Piano europeo per l’ambiente, sostenuto dall’Europarlamento, che ha chiesto l’abolizione di ogni finanziamento a discariche o inceneritori, impegnando la Commissione sulla “economia circolare”.

Senza finanziamenti in conto capitale e senza i sussidi alla produzione energetica da incenerimento (vedi il cosiddetto CIP/6 che ha distorto il mercato del settore in Italia), puntare sugli inceneritori comporterà un aumento delle tariffe dal 40 al 60%.

Il sistema Paese ha bisogno di una strategia chiara e di investire in capacità di indirizzo, che è quella della raccolta differenziata e della riduzione, generalizzando le pratiche virtuose di tanti Comuni al Nord come al Sud, che devono diventare progetti per i comuni viciniori non virtuosi, anziché importare dall’estero tecnologie obsolete di un’economia del passato.   

L’Italia ha avuto un ruolo importante nella innovazione dei sistemi di gestione dei rifiuti, per la produzione di macchinari, tecnologica e ricerca, che esporta nel mondo, per il trattamento, il riciclo e il riuso dei rifiuti.

  L’Europa va  “VERSO UN’ECONOMIA CIRCOLARE” che si prefigge di aiutare gli stati membri a diventare una società del riciclaggio, per non gettare in discarica o bruciare (economia lineare),  la preziosa materia prima contenuta nei rifiuti.

  A partire dal famoso rapporto “The limits to growth” (1972), la crisi ambientale si è venuta inizialmente definendo come i limiti fisici di una crescita fondata sul consumo illimitato delle risorse naturali, ma già anni prima la critica ai fondamenti economici del mercato aveva trovato proposte interessanti e innovative nell’esigenza di passare dall’ “economia del cowboy” a quella della navicella spaziale”, sostenuta da Kenneth Boulding,  e aveva tentato con Georgescu-Roegen di estendere le leggi della termodinamica a regolare l’economia nel consumo delle risorse naturali. La proposta di perseguire uno “stato stazionario” del ciclo produzione–consumo avanzata da Herman Daly sembrava una risposta interessante al “predicament of mankind” denunciato dal rapporto commissionato dal Club di Roma.

     Il Settimo Programma d’azione europeo in materia di ambiente (periodo 2012-2020) intitolato VIVERE BENE ENTRO I LIMITI DEL NOSTRO PIANETA, coglie dopo  più di quarant’anni il monito del rapporto “The limits to growth”, redatto da Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III. Rapporto, basato sulla simulazione al computer, che presenta gli scenari e le conseguenze  della continua crescita della popolazione sull'ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana.

  L’Unione europea si prefigge oggi come obiettivo generale,  cercare di migliorare la qualità della crescita economica e delle altre attività umane in modo da aumentare in misura significativa l'eco-efficienza.

     Il Programma evidenzia come, nonostante alcuni importanti traguardi raggiunti, sia necessario affrontare ulteriori sfide e si fonda sul principio "chi inquina paga", sul principio di precauzione e di azione preventiva e su quello di riduzione dell´inquinamento alla fonte e definisce un quadro generale per la politica ambientale fino al 2020, individuando gli obiettivi prioritari da realizzare:

-  proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell´Unione;

-  trasformare l´Unione in un´economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell’impiego delle risorse, verde e competitiva;

-  proteggere i cittadini da pressioni e rischi ambientali per la salute e il benessere;

-  sfruttare al massimo i vantaggi della legislazione dell’Unione in materia di ambiente migliorandone l’attuazione;

-  migliorare le basi di conoscenza e le basi scientifiche della politica ambientale dell’Unione;

-  garantire investimenti a sostegno delle politiche in materia di ambiente e clima e tener conto delle esternalità ambientali;

-  migliorare l´integrazione ambientale e la coerenza delle politiche;

-  migliorare la sostenibilità delle città dell´Unione;

-  aumentare l’efficacia dell’azione della UE nell’affrontare le sfide ambientali e climatiche a livello internazionale.

Nel settore dei rifiuti questa strategia richiede – per non essere esclusi da un segmento industriale così importante, come è accaduto nel settore energetico per la strategia UE dei tre 20% al 2020, con un governo italiano che puntava al nucleare- la progettazione dei processi di produzione dei prodotti che devono “essere ripensati per essere utilizzati più a lungo riparati, ammodernati, rifabbricati o, alla fine riciclati, invece di essere gettati. Per far ciò è necessario attivare politiche idonee a favorire modelli aziendali innovativi che instaurino un nuovo tipo di relazione tra le imprese ed i consumatori”, programmi specifici sulla riduzione dei rifiuti e sull’incremento del recupero e del riciclo degli stessi nella prospettiva di abolire il ricorso alle discariche.  Basta adottare come base progettuale l’adozione delle migliori pratiche e delle migliori politiche di gestione dei rifiuti, verso il mondo imprenditoriale basato sulla “ecocreatività” e capace di mettere in campo conoscenze, tecnologie ed innovazione per la realizzazione di prodotti ecosostenibili e l’elaborazione di sistemi del riciclo. Questi sistemi sono in grado di favorire la ripresa economica, sviluppare i livelli occupazionali, perseguire un benessere solidale e duraturo. Dovrebbe sorgere il sospetto che è sbagliato TENERE SEPARATI, o relegare nella politica dei “due tempi”,  i diversi aspetti della crisi, quello finanziario ed economico-produttivo da quello delle risorse naturali, dell’ambiente, dei cambiamenti climatici.

Le azioni sulle quali concentrarsi sono:

1. Realizzazione di centri di preparazione e di ricerca per il riutilizzo dei rifiuti;

2. Realizzazione di distretti industriale del riuso;

3. Raccolta e riciclo dei PSA;

4. Produzione di imballaggi green;

5. Paperless;

6. Riutilizzo eccedenze alimentari. Fondamentale in questo processo il ruolo dell’intero sistema imprenditoriale chiamato a sostenere investimenti nel settore del riciclo, a svolgere attività di ricerca nel campo della progettazione e realizzazione dei prodotti ecosostenibili, a promuovere l’acquisto di tali prodotti.

7. Misure di sostegno regionale  e incentivazione  dei Comuni  a sviluppare misure di fiscalità di vantaggio a favore delle Imprese che decideranno di investire risorse nel campo della prevenzione, del riuso o del riciclo dei rifiuti, ad incrementare il mercato del riciclo mediante il potenziamento degli acquisiti verdi, a promuovere la creazione di una rete di rapporti, culturali, scientifici, istituzionali, territoriali ed economici atti a sostenere e pubblicizzare il sistema imprenditoriale operante nel campo dell’economia circolare, a diffondere le migliori tecnologie disponibili, le buone pratiche ed i migliori risultati promuovendo misure premiali, a promuovere la creazione di un marchio unico per le società operanti nel campo dell’economia circolare dando evidenza alle imprese che partecipano al progetto.

8. Nella messa a punto di proposte imprenditoriali, la qualità e la quantità di raccolta deve essere compatibile con il business. E la “collaborazione” dei cittadini (da incentivare) o comunque dei “fornitori dei rifiuti” sia fondamentale per arrivare ad una separazione quanto più spinta possibile.

9. Favorire un ambiente economico in grado di attrarre nuovi investimenti, in virtù del fatto che esiste un know how specifico ed un territorio aperto all’innovazione (vedi start Up, incubatori d’impresa, dipartimenti universitari, CNR ed ecc.)

10. Efficienza  produttiva e distributiva (vicinanza tra mercati di sbocco e materie di approvvigionamento), il costo di trasporto incida profondamente nei prezzi di acquisto o di vendita o, non da ultimo, in cui la disponibilità di particolari materie prime necessiti di una trasformazione in loco dell’industria alimentare).

 di Aurelio Angelini

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