Brexit, purchè in Europa non scatti l'effetto domino
È universale lo sgomento per il risultato del Referendum col quale gli elettori del Regno Unito si sono pronunciati con una maggioranza (pur risicata) per l’uscita del loro paese dall’Ue. Ora si teme l’effetto domino. Tutti i movimenti antieuropeisti hanno ripreso slancio. D’altra parte otto anni di “grande recessione”, sommata alla paura suscitata dalla migrazione epocale di milioni di persone che fuggono dalla guerra e dalla fame, hanno risvegliato sentimenti di ostilità e di egoismo in milioni di cittadini europei impoveriti dalla lunga crisi e disilluse dalle promesse governative di una crescita economica e sociale riparatrice.
Il Governo Cameron, annunciando le sue dimissioni dopo il voto di ieri non ha fatto in tempo (né voluto) fare alcuna autocritica. Aveva pensato di usare il Referendum sulla Brexit per rafforzare il suo governo, ma non ha calcolato che in tutti questi anni di governo conservatore è stato il capofila dell’euroscetticismo che è stato l’incubatore della politica reazionaria di Farange. Inoltre i cittadini europei si sono visti imporre dell’asse franco-tedesco (con il consenso di Cameron) l’austerità come risposta alla grande recessione pagando con la crescita della disoccupazione, la flessibilità del lavoro (cioè lavoro instabile e meno salario), con la riduzione del Welfare sociale mentre si salvavano le banche, però non tutte, solo quelle grandi, che non potevano fallire, mentre quelle piccole, dedite al credito alle piccole-medie imprese, sì.
Di fronte alla crisi la sinistra europea è stata sottomessa al pensiero unico del neoliberismo monetarista, perdendo la simpatia di grandi masse popolari che oggi guardano ai populismi capaci di strumentalizzare le nuove sofferenze sociali e le paure che l’immigrazione l’aggravi.
Come è accaduto per il voto amministrativo del 19 giugno in Italia, il voto di ieri degli inglesi potrà avere un effetto positivo se scuoterà i governi e le classi dirigenti europee dalla loro rinuncia a far pesare l’Europa come istituzione unitaria politica a livello globale per affrontare i nodi presenti della crisi e delle trasmigrazioni intercontinentali.
Quale ruolo dell’Ue nel processo economico a livello planetario? Si vuole un controllo europeo sulla finanza globalizzata, un sistema fiscale unico europeo che tassi la ricchezza in modo progressivo, che allarghi i consumi con più salari e lavoro? L’Ue vuole una politica estera unica che scavalchi gli interessi egoistici nazionali? E infine si vuole l’Ue delle banche, le quali con la politica dell’austerità hanno salvato se stesse dalla crisi facendola pagare ai più con crescita delle diseguaglianze e della disoccupazione o un’Ue dei popoli, dei lavoratori, delle imprese che puntano sull’innovazione e non sul basso costo del lavoro?
Come
sempre un’alternativa esiste, se si vuole cercarla. E questo il
compito delle classi dirigenti che debbono scegliere se rispondere
alle banche e alla finanza o all’economia reale del lavoro, della
ricerca, dell’innovazione.
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