Boris Giuliano, il poliziotto che svelò i traffici dei clan che nessuno vedeva

Cultura | 20 maggio 2016
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A Boris Giuliano, esemplare figura di servitore dello Stato, assassinato il 21 luglio del 1979 a Palermo, sono dedicate le due puntate della fiction che andranno in onda su Rai1 lunedì 23 e martedì 24 maggio in prima serata, durante la settimana della legalità.


Quando noi cronisti giungemmo al bar Lux, dove qualche attimo prima era stato ucciso in un agguato mafioso il capo della mobile di Palermo, Boris Giuliano, ci fu impedito di vedere il cadavere del poliziotto amato da tutti. Fu la «squadra», quella creata dallo stesso vicequestore per far fronte alla violenza mafiosa, che si eresse a protezione di quel corpo martoriato per ripararlo dall' inevitabile invadenza mediatica. «Nessuno lo deve vedere morto», ci disse Bruno Contrada, predecessore di Boris ed amico della vittima. Ma tutta «la squadra» si impose di non permettere alcuna invasione sulla scena del delitto: «I suoi assassini non devono avere la soddisfazione di vederlo così come lo hanno ridotto».
E così fu. Non è mai stata pubblicata una sola foto del cadavere di Boris Giuliano. Per i palermitani perbene Boris non è mai morto: è ancora vivo per la nostra memoria collettiva.
Era un grande poliziotto, Boris. In un' epoca in cui la mafia era quasi oggetto sconosciuto si catapultò da volontario a Palermo, lasciando la comoda carriera di manager a Milano. Dal nulla si inventò un gruppo di lavoro che «diversificò» le normali indagini sulla criminalità in direzione di Cosa nostra. C' era già stata la strage di Ciaculli (7 morti fra carabinieri e artificieri) ma la magistratura si interrogava ancora sull' esistenza della mafia e la Commissione parlamentare stentava a decollare, impaurita dalle conseguenze che certe indagini potevano provocare sulla politica. Tutto questo mentre Boris e la sua squadra (De Luca, Boncoraglio, Incalza, D' Antone, Crimi, Speranza, Moscarelli e il «fratello maggiore» di tutti, Bruno Contrada) gettavano le basi per un lavoro che, negli anni successivi, sarebbe stato portato a compimento dal pool antimafia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una radiografia del nuovo corso di Cosa nostra: la raffinazione della droga e il reinvestimento delle enormi risorse nella finanza illegale il cui massimo rappresentante dell' epoca, Michele Sindona, svernava a Palermo sostenuto dalla Massoneria, mentre tutti lo davano a New York prigioniero di un fantomatico gruppo terroristico di sinistra.
Indagò su tutti gli Anni Sessanta e Settanta siciliani, Boris. Su Ciaculli, sulla prima guerra di mafia sfociata nella strage di viale Lazio, sul rapimento del giornalista dell' Ora di Palermo (mai trovato il corpo) e po l' uccisione di Mario Francese, l' agguato mortale al colonnello dei carabinieri, Giuseppe Russo, l' assassinio del segretario provinciale della dc, Michele Reina, l' uccisione del procuratore di Palermo, Pietro Scaglione, i grandi traffici dei cugini Ignazio e Nino Salvo, nuovi alleati della mafia corleonese intanto sbarcata a Palermo. Arrivò, grazie anche alla collaborazione con il Fbi (andò due volte a «specializzarsi» a Quantico), al cuore del business del boss Badalamenti e alla «connection» degli Inzerillo-Spatola con le grandi "famiglie" della Grande Mela.
Grande poliziotto, ma anche uomo buono, padre perfetto e marito eccezionale. Lavorava riuscendo a tener fuori dallo stress i propri cari. Era uno sbirro» con una dote rara: l' umanità. Alla camera ardente in Questura sfilarono anche migliaia di semplici cittadini e tanti, tantissimi piccoli delinquenti dei quartieri popolari che Boris aveva perseguito ma trattandoli con grande umanità. Per esempio trovando una sistemazione a dei bambini in difficoltà dopo l' arresto del padre.(La Stampa)
 di Francesco La Licata

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