Aumenta lo sfruttamento delle donne italiane nei campi

Economia | 11 giugno 2015
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Il fenomeno del capolarato non è nuovo agli onori delle cronache. La novità degli ultimi due anni è che lo sfruttamento del lavoro, soprattutto agricolo, si tinge di rosa. Da un’indagine condotta dalla Flai Cgil emerge che, vittime del caporalato sono soprattutto le donne. Questo perché, rispetto agli uomini, si mostrano più docili e concilianti, quindi più facilmente ricattabili. Un produttore di Scanzano Jonico spiega di preferire la donna agli uomini perché “Si presta di più a un lavoro piegato di tante ore. Io ho quasi tutte italiane, andiamo a prendere la manodopera in Puglia, perché quella locale non basta. In tutta Scanzano esistono 600 ettari di coltivazioni di fragole. A 6 donne a ettaro fanno 3600 braccianti donne [1].

Un altro dato singolare emerso dall’indagine, è che ad essere scelte dai cosiddetti caporali che nelle prime ore del mattino intercettano manodopera da impiegare illegalmente nelle aziende, sono soprattutto donne italiane. La ragione è presto detta, sembra che le straniere dopo anni di soprusi e prepotenze si siano ribellate al caporalato e abbiano iniziato a protestare e denunciare, mentre le connazionali risultano, almeno ad oggi, più remissive e affidabili.

Ad essere interessate dall’inedito fenomeno di caporalato al femminile sono, soprattutto, le tre regioni italiane in cui è più forte la vocazione all’agricoltura come la Puglia, la Campania e la Sicilia. Scendendo nel dettaglio, i dati mostrano che il numero maggiore di donne italiane sfruttate e vessate si registra in Puglia (circa 40Mila italiane rispetto alle straniere, appena 18Mila), segue la Campania (45Mila circa sono le donne che lavorano in agricoltura di cui il 46% sono italiane) e la Sicilia (5Mila circa sono italiane mentre 2,7Mila straniere, soprattutto a Ragusa, principale provincia agricola).

In Puglia è soprattutto il brindisino e Taranto l’area dove si conta il numero maggiore di donne reclutate dai caporali per essere sfruttate in lavori nei campi e nelle serre “Alle tre di notte le donne del Brindisino e del Tarantino sono già in strada. Indossano gli abiti da lavoro e hanno in mano un sacchetto di plastica con un panino. Nei punti di raccolta, agli angoli delle piazze, alle stazioni di benzina, aspettano il caporale che viene a prenderle con l'autobus gran turismo per portarle sui campi, dove lavorano sfruttate e ricattate, a volte anche con la richiesta di prestazioni sessuali[2]. Come spiega una vittima del caporalato che ha scelto di rimanere anonima, il meccanismo del reclutamento è il seguente “Nei paesi ci sono delle persone, generalmente sono delle donne, che fanno da tramite tra chi vuole lavorare e il caporale. Raccolgono i nominativi per lui. Il caporale decide dove mandare a lavorare le braccianti e quello che deve essere dato come salario. Cercano di non avere uomini, anche per i lavori pesanti, perché le donne si possono assoggettare più facilmente”[3].  

Una figura davvero peculiare è quella della fattora, persona di fiducia del caporale che, Come spiega Giuseppe Deleonardis, segretario della Flai Cgil Puglia, ha il compito di controllare le lavoratrici “Il suo ruolo è di subordinare psicologicamente le braccianti, garantendo loro assunzioni se rinunciano ai diritti[4].

I caporali sono proprietari di grossi pullman che da aprile a settembre utilizzano per fare la spola tra le province pugliesi, carichi di braccianti per la raccolta delle fragole, ciliegie e uva da tavola. Il potere del caporale si misura, anche, da quanti pullman possiede. Più pullman, più braccianti da gestire e sui quali speculare (da 50 a 200 persone circa al giorno). Se si considera che la percentuale che il caporale prende dall'azienda è di circa 10-12 euro per lavoratore, se ne deduce che si viaggia su grossi margini di guadagno. Secondo una stima del sindacato Flai Cgil Puglia le braccianti pugliesi vittime di caporali italiani percepiscono paghe che variano a seconda del tipo di raccolta, ma che comunque non superano le 27-30 euro per giornate di lavoro di 7-10 ore nei campi o in serra. Nei magazzini di confezionamento della frutta arrivano anche a 15 ore. Spiega Deleonardis “C'è il pregiudizio che le donne iscritte negli elenchi agricoli siano false braccianti invece vivono una condizione di sfruttamento pari agli immigrati. Nel sottosalario, a parità di mansioni con gli uomini, c'è un'ulteriore differenza retributiva: se la paga provinciale sarebbe di 54 euro e all'uomo ne danno in realtà 35, la donna non va oltre 27 euro[5].  L’estorsione, dunque, è la regola. Infatti, il salario ufficiale è di 50-60 euro, ma in realtà le lavoratrici sono costrette a firmare buste paga false che solo formalmente rispettano quanto previsto dai contratti nazionali di lavoro (per le aziende è importante dimostrarne la regolarità per poter accedere ai finanziamenti pubblici), nei fatti, percepiscono un terzo o al massimo la metà del salario dovuto, dovendo restituire al datore di lavoro la parte eccedente. Insieme alla busta paga, la lavoratrice riceve dal datore di lavoro un assegno che la stessa dovrà consegnare al caporale come compenso per la sua attività di intermediazione. Chiaramente rigorosamente in nero.

Questo è quanto emerge dall’analisi della Flai Cgil sul sistema produttivo agricolo. Un mondo inquinato da intimidazioni e violenze di ogni sorta, anche di natura sessuale. Secondo Deleonardis “È una situazione conosciuta da tutti sul territorio. Qui c'è una tolleranza di un sistema di illegalità, non si vuole colpire il caporalato. Abbiamo chiesto al prefetto di Taranto di fare dei controlli, ma possibile che non ci sia mai una verifica se i pullman hanno le autorizzazioni a trasportare persone e in quali aziende vanno?[6].  Secondo i dati forniti dal Ministero del Lavoro, dalle ispezioni in Puglia del 2014 le irregolarità riscontrate sono state 925, per un totale di 1299 lavoratori coinvolti. Davvero pochi se paragonati alle migliaia di lavoratori e lavoratrici che ogni giorno vengono trasportati nei tanti pullman dei caporali per essere impiegati abusivamente e illecitamente nelle aziende. Le cose non migliorano nelle altre regioni del Sud come la Campania, la Calabria e la Sicilia dove cambiano i volti e i nomi dei protagonisti, ma le dinamiche di sopraffazione e violenza rimangono le stesse. Anche se dall’agosto del 2011 il caporalato è reato penale punibile con l’arresto da 5 a 8 anni, di fatto sono stati rari i casi in cui se ne è vista l’applicazione. La scarsa incisività della giustizia nel fronteggiare il fenomeno caporalato non agevola, certamente, la propensione alla denuncia. Al contrario, contribuisce a rafforzare nelle vittime un senso di impotenza e rassegnazione ad un sistema  che non può non apparire ai loro occhi irrimediabilmente compromesso.