Aspettando le stagioni nella speranza di arrivare in sala
Segnaliamo (anche) questo film del messinese Franco
Calogero, interamente girato e prodotto in Sicilia, stenta a trovare adeguata
distribuzione. Contribuendo a infoltire la lista nera del ‘cinema invisibile’
per implicita, non dichiarata ‘censura di mercato’: equamente divisa tra
distribuzione ed esercizio.
ASPETTANDO LE STAGIONI
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"Seconda
primavera”, un film di Francesco Calogero Con Claudio Botosso,
DesirèeNoferini, Angelo Campolo, Anna Kravos, Nino Frassica, Antonio Alveario,
Tiziana Lodato.Prod. Italia 2015
Di Danilo
Amione
****
Per il suo ritorno dietro la macchina da presa,
quindici anni dopo lo sfortunato e da rivalutare “Metronotte”, Francesco
Calogero, esponente della Nouvelle Vague siciliana anni ’90 insieme a Ciprì e
Maresco e a Scimeca, sceglie di raccontare un altro intreccio amoroso
disvelatore di inquietanti motivi esistenziali. Tutto il cinema del regista
messinese è abitato da fantasmi dell’anima che non trovano pace e riposo.
Anche “Seconda primavera” contiene tutte le inquietudini di un autore
indomito e straordinariamente capace di raccontare il passato attraverso il
presente e viceversa.
L’uno e l’altro carichi di incognite impossibili da
dipanare perché strutturali alla stessa realtà in cui si muovono:quella di Andrea,
cinquantenne architetto misteriosamente vedovo, interpretato con sofferta
partecipazione da un intenso Claudio Botosso, che si ritrova ad ospitare nella
propria villa al mare una giovane donna, Hikma, tanto somigliante alla moglie
scomparsa Sofia e come questa in attesa di una bambina. Qui Calogero non si
diverte di certo a fare il cinefilo, anche se lo è, ma il riferimento a “La
donna che visse due volte” di Hitchcock è sostanziale. La realtà è quella che
ci appare o ad essa se ne sovrappone un’altra frutto di un’ossessione, di uno
stato mentale che hanno parimenti diritto di essere? E’ il gioco del destino,
il caso, a volere ciò o, più o meno inconsciamente, Andrea ha “architettato”
tutto per rimettere in piedi un “set” tragico cui dare un finale diverso dal
precedente? Di sicuro il regista messinese punta sull’onnipresente “fuoricampo”
della moglie scomparsa come momento essenziale per sostanziare questo ennesimo
thriller dell’anima.
E in questo caso non può non venire in mente
“L’avventura” di Antonioni come parametro inevitabile da citare. Dietro il suo
distacco dalla realtà, Andrea, così come il Nico del precedente intenso e
criptico lavoro di Calogero, “Nessuno”, ’92, dà corpo ad una distanza che
rimette in gioco ogni spazio ed essere che lo circonda. Forse anche vanamente
perchè tutti i personaggi che riempiono la sua esistenza non li conosceremo mai
fino in fondo. Rosanna, Riccardo, Vito, Giovanni, Pia, ognuno perso ad
inseguire vanamente e spietatamente la propria (in)felicità, in un girotondo schnitzleriano
che li accomuna ai protagonisti della precedente e fondamentale opera del
regista messinese “Cinque giorni di tempesta”,’97.La vita di Andrea attraversa
le quattro stagioni (in tutto nel film sono, però, sei, come per Kim Ki-Duk)
che la natura ci regala, ma Calogero, seguendo la traccia segnata dai “Quattro
quartetti “ diT.S.Eliot, applica ad esse la sintesi di una vita intera,
obbligata ad adeguarsi agli accadimenti che la segnano.
La “seconda primavera” di questo ciclo stagionale,
ispirato più ad Ozu che a Rohmer, sembra dare al protagonista la possibilità
del ritorno alla vita attraverso un nuovo amore.Ma è solo un’illusione.
L’imprevedibilità e il mistero del più forte fra i sentimenti non regalano
spazi a facili soluzioni. La giovane Hikma ritornerà con il compagno Riccardo,
lasciando solo allo stato potenziale il cambiamento esistenziale di
Andrea.Calogero mette in scena un melodramma in stile Douglas Sirk, dunque
inevitabilmente toccato anche da accensioni fassbinderiane, con gli interni a
far tutt’uno con gli esterni, sprofondati in un mare che non dà serenità perché
il corpo mai trovato della moglie forse giace proprio lì. Ogni spazio che
accoglie Andrea è per lui prigione, limite, impossibilità. Fisicità e stato
d’animo si toccano. La stasi drammatica che Calogero ha imparato da Antonioni
si insedia nel corpo desiderante di Andrea.
Come in “Cinque giorni di tempesta” e in “Metronotte”,
la pioggia segna metaforicamentequesto doversi piegare a qualcosa di
ingovernabile, cui non si può porre rimedio. La solitudine a cui il
protagonista è relegato, altro motivo ricorrente in tutta l’opera di Calogero,
non è, dunque, una scelta ma un prendere atto di una condizione acquisita,
definitiva. Ribaltando ogni facile prospettiva, il regista riempieil vuoto, in
cui Andrea si muove alla fine del film, con i fantasmi della sua mente, gli
unici rimasti a potergli fare compagnia, pronti a riattivare in lui, dopo la
delusione patita, quel sentimento di eternità che appartiene solo all’amore per
la moglie scomparsa. Mostrati allo spettatore sottoforma di filmini
amatoriali(attenzione a non perderli sui titoli di coda),i ricordi di Andrea si
sovrappongono nel finale al suo sorriso, primo momento di una ritrovata
solitaria serenità, che l’artista messinese, genialmente, alla fine di uno
splendido piano sequenza, fa giungere allo spettatore attraverso un esplicito
sguardo in macchina,a sottolineare l’universalità del suo racconto.
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