Asili nido costosi e introvabili, soprattutto al Sud e in Sicilia
Una
famiglia media italiana, con un bambino al nido, spende al mese 303 euro per l’anno
in corso, +0,9% rispetto all’anno scolastico 2018/19. Secondo i dati forniti dall’Osservatorio
Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva, realizzato nell’ambito
del progetto “Consapevolmente consumatore, ugualmente cittadino”,
finanziato dal Ministero dello Sviluppo economico, la retta più alta è in
Trentino Alto Adige, pari a 472 euro in media, mentre quella più bassa in Molise, 169 euro. Una
famiglia media siciliana, con un bambino al nido, spende al mese 213 euro nell’anno in corso, +3,8% rispetto all’anno
precedente. La media nazionale è di 303 euro. Nell’anno scolastico 2019/2020
la retta mensile più alta è a Catania, pari a 275 euro, seguita da Messina (270
euro) e da Palermo (259 euro). La più bassa, invece, è a Ragusa ed è pari a 140
euro. Le regioni settentrionali si caratterizzano per una spesa media per le
famiglie più elevata, ma in decremento rispetto all’anno
precedente, stabile la spesa al Centro e in aumento, invece, nelle regioni
meridionali (+5,1%). Lecco risulta essere il capoluogo più costoso con 515 euro di
spesa media a famiglia, Catanzaro il più economico con 100
euro.
Trova
posto in un asilo nido poco più di un bimbo su cinque, ma la copertura è assai
variegata fra le diverse Regioni: si va dal 34,3% dell’Umbria
al 6,7% della Campania e ben sei regioni sono sotto la media nazionale
(21,7%).
“Questi
servizi - ha dichiarato Antonio Gaudioso, segretario generale di
Cittadinanzattiva- concorrono a garantire pari opportunità di
educazione e di cura e a ridurre le disuguaglianze territoriali, economiche,
etniche e culturali. Di conseguenza, un’offerta
così eterogenea in termini di disponibilità,
accessibilità economica, qualità risulta essere un ostacolo ad un
uguale accesso, non solo a servizi ma anche a diritti costituzionalmente
garantiti, quali quello al lavoro delle donne e alla crescita delle nuove
generazioni che dovrebbero essere assicurati a livello nazionale,
indipendentemente da differenze geografiche, economiche e socioculturali”.
Sono
11.017 i nidi in Italia, di cui 6.767 privati e 4.250 pubblici; i posti
disponibili sono 320.296, distribuiti fra 153.316 privati e 166.980 pubblici.
Notevoli le differenze regionali: più forte la prevalenza di posti nei nidi
pubblici in Basilicata, Emilia Romagna, Molise, Piemonte, Sicilia, Toscana,
trentino Alto Adige; nei nidi privati invece in Calabria, Campania, Friuli
Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Puglia, Sardegna, Veneto; equilibrata nelle
altre regioni. La percentuale di copertura a livello nazionale è pari al 21,7%
della potenziale utenza (bambini residenti sotto i 3 anni di età),
ma con notevoli differenze tra le singole regioni: in negativo si
distingue la Campania, con una copertura pari appena al 6,7%, in positivo l’Umbria
con il 34,3%; sotto la media nazionale sei regioni: Campania (6,7%), Calabria
(8,8%), Sicilia (9,3%), Puglia (13,6%), Basilicata (14,2%), Abruzzo (19,9%).
Dunque tutte le regioni meridionali sono ben al di sotto della media di
copertura, fa eccezione la Sardegna che raggiunge il 26,1%.
Tra
il 2004 e il 2012 le risorse messe a disposizione dai Comuni per gli asili nido
sono cresciute del 47%, passando da 1,1 a 1,6 miliardi di euro; tra 2012 e 2014
si è registrata una contrazione della spesa, nel triennio 2014-2016 una
stabilizzazione, con una spesa complessiva per i servizi per l’infanzia
nel 2016 di circa 1 miliardo e 475 milioni di euro.
La
quota a carico degli utenti sul totale della spesa è passata dal 17% del 2004
al 20% del 2013, mentre dal 2015 si attesta al 19,4%. La quota percentuale
a carico delle famiglie è più elevata della media in dieci regioni, in vetta il Veneto
dove le famiglie contribuiscono del 26,2% rispetto alla spesa complessiva, all’estremo
opposto la Sicilia le cui famiglie contribuiscono per una quota pari al 6,3%.
A
livello comunale, il 48% prevede esenzioni dal pagamento della retta
per le famiglie in stato di disagio economico e già seguite
dai servizi sociali. A livello regionale, dieci regioni quasi esclusivamente
del Centro Nord (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria,
Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta)
hanno emanato disposizioni per contenere o abbattere i costi a carico
delle famiglie.
In relazione alle Carte dei servizi, essa è presente nell’81% delle amministrazioni prese in esame, ma anche questo dato mostra molte discrepanze territoriali: la carta è assente nel 40% dei capoluoghi di provincia del Sud, nel 12,5% di quelli del Centro e nel 6% dei capoluoghi del Nord. Sono previsti strumenti per rilevare la soddisfazione delle famiglie nell’80% delle Carte dei servizi dei capoluoghi settentrionali, nel 67% di quelli dell’Italia centrale e nel 43% dei capoluoghi del Sud.
Ultimi articoli
- La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione
- Perché l’Occidente si autorinnega
- Ovazza, storia di un tecnico
prestato alla politica