Ascanio Celestini porta a Catania immigrati, zingari ed emarginati

Cultura | 9 dicembre 2019
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Tornato a Catania, dove ormai ha stregato il pubblico etneo con le sue mirabolanti performance, Matthias Martelli, giullare del nostro tempo, ha nuovamente incantato gli spettatori del “Centro Zo” con la nuova performance In nome del Dio Web, religione laica e tecnologica contemporanea in cui tutti siamo coinvolti. Macedonia di personaggi “alienati” seguaci del nuovo credo virtuale, la Likeomane, la tossica di Like, Don iPhone, Papa Amazon Prime, San Steve Jobs, conducono al riscatto finale ad opera della Setta dei Disconnessi che pongono angoscianti dubbi e ammonimenti sul reale grado di libertà e “connessione” degli esseri umani. La straordinaria mobilità e le continuamente cangianti e comicissime espressioni facciali di Martelli non penalizzano il monologo (ormai fetish del teatro contemporaneo) rendendo anzi la performance a tratti irresistibile ed esilarante.


E con un monologo, qua e la striato d’amara ironia, Ascanio Celestini narra nel suo Pueblo (aiutato dalle musiche di Gialuca Casadei) d’immigrati, barboni, zingari, reietti ed emarginati, soggetti-oggetto della pacifica invasione delle nostre “terre dell’abbondanza” (almeno così credute) dove spesso s’infrange il sogno del riscatto. Sconfitti dalla storia, muti e spesso bistrattati testimoni d’una cultura a noi ignota e incomprensibile, portatori dell’umanità degli umili e “di una magia (parole di Celestini) che nascondono nella testa”, lo spettacolo è stato scelto per due repliche (una saltata per indisposizione dell’attore-autore) dal Teatro Stabile di Catania.


Chissà cosa avrebbe pensato e scritto Luigi Pirandello rivedendo dieci anni dopo i suoi tormentati personaggi del “Berretto a sonagli”. Probabilmente, anzi quasi certamente, l’esatto contrario di quel che ha fatto Antonella Sturiale ne Le tre corde (ricordate? la civile, la seria, la pazza…) che, riprendendo una vecchia idea di Saro Pizzuto (qui attore e regista) - invaghito e profondamente scosso dal personaggio di Ciampa - ha immaginato l’evoluzione-involuzione di tutti i protagonisti di quell’amara vicenda di tradimento coniugale, a loro attribuendo caratteri morali, pentimenti, ripensamenti del tutto scevri dalla poetica del grande agrigentino, fino a giungere ad una sorta di pacificazione collettiva (simboleggiata anche da un valzer finale, in cui tutti piroettano sulla scena) e alla scoperta, per scioccante ammissione del cavaliere Fiorica a Ciampa, d’un “tradimento non consumato” con la “sognante” amante-non amante Nina. Operazione spericolata e non originalissima che tuttavia la travagliata ed elaborata regia di Saro Pizzuto rende allettante, intrigante e convincente, portando se stesso sul palcoscenico in qualità d’onnisciente e onnipresente coscienza negativa (oltre, alla fine, nei panni di Ciampa), ammonendo con falsa bonomia i vari personaggi e ancora inventando le suadenti pantomime (interpretate dall’ottima Agata Ranieri, anch’ella sempre in scena) che seguono costantemente il filo del racconto e i repentini cambi d’umore di tutti i protagonisti di questa rivisitazione (anti)pirandelliana. Altri interpreti (al Teatro del Canovaccio): Fiorenza Barbagallo, Maria Grazia Cavallaro; Iolamda Fichera, Domenico Fiore, Pippo Marchese; musiche Alessandro Cavalieri; scenografia Gabriele Pizzuto; costumi Chiara Viscuso.


Giovanni Marzagalli (in arte John Real), affermato regista etneo ( forse conosciuto più in USA che Italia), già autore di horror girati sull’Etna (“Native”, “Midway-Tra la vita e la morte”, “Il carillon”), firma per la prima volta con il suo vero nome il claustrofobico ed inquietante Obsessio, proiettato in questi giorni al multiplex “CineStar” di San Giovanni La Punta (Catania), rielaborando - con la sceneggiatura di Adriana e Maria Marzagalli - un’agghiacciante storia realmente accaduta di un datore di lavoro statunitense affetto da disturbo ossessivo-compulsivo che stuprava le sue dipendenti dopo averle narcotizzate. Apprezzabile l’intento di Marzagalli (che fa uso di primi e primissimi piani per esplorar microfisionomicamente intenzioni e reazioni psicologiche dei protagonisti) di evitare, per quanto la scabrosità del soggetto ne fornisca abbondante licenza, insistite scene di nudo del corpo della fascinosa e palestratissima Natalie Burn (nei panni di Natali Dixon), divenuta facile preda delle morbose fantasie sessuali dell’enigmatico Trevor McNills (interpretato da Neb Chupin), il ricco e concupiscente datore di lavoro del quale diviene vittima inconsapevole, insieme al più sfortunato collega d’ufficio (Simon Philips). I morbidi ed avvolgenti movimenti di macchina (anche qui molto presenti) non a caso hanno accostato lo stile di Marzagalli, senza nulla sottrarre alla propria originalità che lo allontana da ogni corriva produzione nazionale, a quello di Brian De Palma. Girato quasi tutto in interni, con poche immagini aeree esterne di New York dove la storia è ambientata, Obsessio offre allo spettatore molteplici chiavi di lettura: dalla critica alle degenerazioni carnefice-vittima, a quella più genericamente estendibile alla sottomissione datore di lavoro-dipendenti, al mondo patinato, ma spesso pericoloso, del grande bussines. Ottima la fotografia di Luigi Mingrone, che oscilla tra i freddi interni asettici degli uffici e semioscurità, accompagnata dal “sontuoso” commento musicale di Francesco Marchetti, in costruttiva “antitesi” con il minimalismo del film. Altro interprete Emanuele Leone.

 di Franco La Magna

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