Anziani e refrattari, chi non si vaccina paga pegno
Vaccinarsi sì, vaccinarsi no. I dati divergono secondo le fonti di elaborazione ma pare che grosso modo tre milioni di italiani ultrasessantenni non si siano ancora vaccinati con la prima dose. Perché? Per tutte le possibili giustificazioni di questo mondo che in definitiva nascondono la più banale delle scuse, non dichiarata: hanno paura come i bambini dell’ago e della vaccinazione. Patetico ed inaccettabile. La vaccinazione prima di tutto serve a loro e per loro. Serve per noi soggetti anziani e fragili. Molto meno per i giovani, peraltro generalmente ben più propensi ad accettarla pur di riguadagnare le loro libertà e dunque la loro vita. Così si assiste al paradosso che chi avrebbe più bisogno di essere protetto nicchia, chi ha meno bisogno invece accetta e contribuisce a fare andare avanti la numerazione del totalizzatore per pervenire alla agognata “immunità di gregge”.
In Sicilia, come al solito, ci distinguiamo quando c’è da rimediare figuracce e da ritrovarci in fondo a tutte le classifiche. Siamo buoni ultimi tra tutte le regioni d’Italia. Nell’isola nella fascia d’età 60-79 anni su di un totale di 1.400.000 uomini e donne quasi 400.000 sono coloro che fuggono dal vaccino. Proprio quelle persone che rischiano di più di lasciarci la pelle se si ammalano di covid rispetto agli appartenenti alle fasce d’età meno anziane e meno fragili. Incredibile quanto siamo bravi a farci del male. Complice una comunicazione pasticciata quanto contraddittoria di e su un vaccino - l’AstraZeneca - ora cresce anche la categoria di coloro che hanno avuta inoculata la prima dose ma non intendono più farsi la seconda. Con evidente, pericolosa riduzione dei livelli di copertura contro il virus e le sue continue varianti. Come quella che va per la maggiore in questa fase, la variante indiana “delta”, particolarmente contagiosa.
Se le cose stanno così, se il nostro senso di comunità e persino il banale buon senso è talmente lacunoso da non farci comprendere neppure che ci si vaccina innanzitutto per proteggere gli anziani - e fortunatamente molto meno le persone di mezza età, i giovani e i bambini - se non comprendiamo addirittura che vaccinarsi serve prima di tutto per autoproteggere noi anziani, ecco una proposta per farla finita con scuse e cincischiamenti tanto inaccettabili quanto riprovevoli. Proposta poco democratica per la verità, che qualcuno riterrà intrusiva e liberticida. Sissignori. Ma ha un pregio. Non “obbliga” a vaccinarsi. Sebbene finisca per …consigliarlofortemente. Con convincenti argomenti. Del resto solo noi in Occidente abbiamo rivestito di difesa delle scelte “personali” e della “libertà” ciò che è solo fifa allo stato puro di un ago e di una siringa. Chiedetelo ai cinesi ma anche ai meno autocratici giapponesi o sudcoreani, insomma agli asiatici in genere, se nelle loro società nelle quali in ogni gesto la comunità prevale sull’individuo fisime e masturbazioni mentali come quelle che da noi ascoltiamo sono concesse o meno. E chiedetelo ad ogni indiano od africano – giovane ed ancor più anziano – cosa sarebbe disposto a dare pur di beneficiare al più presto di una dose di vaccino. Mentre dalle nostre parti giochiamo con scuse, “no”, “forse”, “sì ma”, “vediamo”, “dopo” e via discorrendo.
La proposta-shock è semplice. Una norma – legge, decreto, dpcm, quello che si può blindare meglio dall’assalto dei ricorsi prevedibili di decine di giudici e Tar – che argomenti e disponga quanto segue: chi non si vaccina procura un danno alla collettività ed all’erario in quanto costringe con il suo comportamento refrattario all’aumento nel nostro paese delle spese sanitarie per l’aumento dei ricoveri. E con l’aumento delle spese sanitarie contribuisce alla crescita delle spese complessive per la collettività in quanto la circolazione di virus e varianti, non frenata dalla vaccinazione a tappeto della popolazione, non consente all’economia nazionale e al Pil di riprendersi. Situazione realistica, oggettiva. Allora l’ultrasessantenne refrattario paga pegno. Risarcisce. Concorre alle spese sanitarie e generali della collettività, dà il suo obolo per evitare il fallimento di ancora altre migliaia di imprenditori, baristi, ristoratori, albergatori, operatori dello spettacolo. Mettendoci del suo. Finchè non si torna alla rimozione di tutti i vincoli e delle chiusure e quindi ad una situazione postpandemica di normalità io pensionato sessantaseienne mi vedo trattenuto alla fonte il 25 per cento o il 30 o il 40 della mia pensione. La perdo. Servirà per tappare i buchi che la persistenza della pandemia provoca nel tessuto economico nazionale. E l’impiegato sessantenne ancora in servizio si vedrà decurtato dal suo stipendio la stessa percentuale. Da destinare a “contributo nazionale” alla lotta contro la pandemia e per la riprese economica.
Sarebbe un provvedimento normativo carogna, ricattatorio? Sì, non c’è dubbio. Ma a mali estremi estremi rimedi. Non si può giocare con le vite, le esistenze, le povertà vecchie e nuove in tremenda crescita, i fallimenti economici degli altri per nostra irresponsabile vigliaccheria camuffata da mille altre motivazioni. Fare parte di una comunità, di un corpo sociale, impone obblighi. Specialmente a coloro che più sono da tutelare e tutelati dal resto della popolazione. Anzi, dalla stragrande maggioranza della popolazione. L’inaccettabilità della situazione che vede ancora milioni di anziani non vaccinati per rinuncia, per paure, sta tutta nella lapalissiana constatazione che più si invecchia e più ci dobbiamo rassegnare all’idea che non possiamo permetterci la paura. Visto che, inesorabilmente, ogni giorno che passa ci avviciniamo alle sofferenze crescenti indotte dal peso degli anni ed alla morte. Ed allora che senso ha, che contraddizione inconcepibile è, la paura di questo o quel vaccino, il non volersi vaccinare? Ci avviciniamo alla definitiva chiusura della bottega e stiamo ancora a tagliare il capello in quattro, a disquisire sulla paura del vaccino?
Capiamo bene che una proposta-shock come quelle avanzata, volutamente provocatoria, innescherebbe a sua volta una pandemia di polemiche e rivolte. Ma capiamo altrettanto bene che l’“Era Coronavirus” nella quale dal 2020 siamo sprofondati, con tutto quello che ha comportato e comporterà, non è più il tempo dei pavidi, degli individualismi e degli egoismi insensati. O nei comportamenti sociali si afferma un “nuovo spirito di comunità” o non ne usciremo. Chi è più anziano, chi ha dunque più esperienza di vita e per definizione si presume abbia maturato con gli anni maggiore equilibrio, deve essere il primo a praticarlo il nuovo spirito di comunità. Per sé e per tutti gli altri.
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