Antimafia senza tutela, rivolta contro i giudici tedeschi

Società | 4 dicembre 2020
Condividi su WhatsApp Twitter

Per la sua pizzeria a Francoforte sul Meno, in Germania, ha scelto il nome "Falcone e Borsellino". E ai due magistrati uccisi dalla mafia nel 1992 ha anche intitolato alcuni piatti del menu. Sui muri del locale ha appeso la celebre foto di Tony Gentile che ritrae insieme i giudici e accanto ha messo l'immagine di don Vito Corleone interpretato da Marlon Brando nel celebre film Il Padrino. Tutti intorno buchi a simboleggiare fori di proiettile. Bene e male insieme tra piatti di pasta, pizze e birra. Una violazione della memoria dei due magistrati antimafia denunciata dalla sorella del giudice Giovanni Falcone, la professoressa Maria Falcone, che ha richiesto al Tribunale tedesco di inibire al proprietario del locale, Constantin Ulbrich, di utilizzare il nome Falcone nell’intestazione della pizzeria.

Ieri il deposito del verdetto: ricorso respinto perchè, scrive il tribunale, "sono passati quasi 30 anni dalla morte di Falcone e il tema della lotta alla mafia non è più così sentito tra i cittadini". "Inoltre - prosegue la sentenza - il giudice ha operato principalmente in Italia e in Germania è noto solo a una cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria". A nulla sono valsi i documenti prodotti dalla Fondazione Falcone e dalla sorella del magistrato assassinato a riprova della fama internazionale e in particolare della notorietà in Germania del magistrato palermitano.

«La protezione post mortem della personalità diminuisce con l’aumentare della distanza dal momento della morte. Essa termina quando la memoria del defunto è svanita in modo tale che il suo interesse per i diritti della personalità passa in secondo piano rispetto agli interessi contrastanti. Giovanni Falcone è morto nel 1992, quindi sono passati circa 28 anni. 30 anni fa, il tema lotta alla mafia era sotto gli occhi di tutti. Oggi non è più così per la collettività», scrivono i giudici tedeschi. «Il pubblico di riferimento è costituito da tutte le persone che visitano i ristoranti – continua la sentenza -. A questo proposito, non è possibile fare affidamento sulla reputazione e sull'importanza di cui Giovanni Falcone gode ancora oggi nella cerchia dei procuratori e dei criminologi. Nella valutazione si deve anche tener conto del fatto che l’opera di Giovanni Falcone si svolse principalmente in Italia». "A causa del passare del tempo e dello sbiadimento della memoria del defunto, la protezione non può più essere garantita», specificano i giudici che pure danno atto del valore dell’opera del magistrato assassinato a Capaci.

"E' una sentenza che ci addolora molto. Proprio nel momento in cui il valore del lavoro e dell’eredità umana e professionale di Giovanni Falcone viene riconosciuto a livello mondiale, un magistrato di un paese che soffre sulla sua carne il pesante ingombro della presenza delle mafie scrive un verdetto simile". E’ l’amaro commento di Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia. Una violazione della memoria dei due magistrati antimafia, secondo Maria Falcone, che spiega: "Meno di due mesi fa, e cito solo l'ultimo di una lunga serie di episodi in tal senso, al termine della Conferenza delle Parti sulla Convenzione Onu contro la criminalità transnazionale riunita a Vienna, è stata approvata all’unanimità da 190 Paesi una risoluzione che riconosce il contributo dato da Falcone alla lotta al crimine organizzato internazionale. Numerosi, inoltre, sono stati i riconoscimenti che alla figura di mio fratello sono stati tributati da istituzioni ed enti di un Paese come la Germania che, nel tempo, ha mostrato grande sensibilità ai temi della mafia e della legalità". "Faremo ricorso in appello - conclude - contro un provvedimento che riteniamo ingiusto anche alla luce del valore che assume in una città con una fortissima presenza di italiani che ben conoscono il significato della lotta alla mafia e il sacrificio di chi per la giustizia ha perso la vita". 

Prima Falcone  e Borsellino, poi Saetta e Livatino, ma anche Costa, Chinnici, Mattarella,  Terranova  o Pio La Torre e tutti gli altri martiri di mafia. Caduti per una società più giusta, per la difesa dei più deboli. La sentenza tedesca attacca l'antimafia nella sua essenza, denuncia il presidente del Centro Pio La Torre, Vito Lo Monaco. "Sono passati quasi 30 anni dalla morte di Falcone e il tema della lotta alla mafia non è più così sentito tra i cittadini", scrivono i magistrati tedeschi. “Non deve passare questa devastante linea di distruzione della civiltà, del sentire comune – continua Lo Monaco-. Perciò il Centro Pio La Torre è solidale con Maria Falcone e tutto il fronte antimafia  in questa battaglia di civiltà contro l'ottusità di certa magistratura tedesca”. I pizzaioli dopo le polemiche hanno fatto dietro front ma la sostanza non cambia, è la mentalità che va cambiata, sottolinea ancora Lo Monaco, "perciò continueremo con più vigore la nostra opera di sensibilizzazione delle coscienze nelle scuole".   

 "La miopia, anzi la cecità, di chi ancora non ha capito che le organizzazioni mafiose sono un problema internazionale. In Germania in un processo per tutelare il cognome "Falcone" il giudice ritiene che Falcone sia solo italiano. E' proprio vero, si deve sbattere e farsi male per capire. Ed evidentemente la strage di Duisburg non è stata ben compresa nella sua rilevanza semantica. Non ho parole", sottolinea, tra gli altri Nicola Morra, presidente della commissione Antimafia.

Sulla vicenda interviene anche il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede,  che ha già dato incarico «ai competenti uffici del Ministero di verificare le condizioni per promuovere le più idonee ed efficaci azioni giudiziarie, in Germania e in Italia, a tutela del prestigio dei giudici Falcone e Borsellino e, dunque, delle istituzioni italiane». Non solo. Bonafede scriverà alla Ministra della Giustizia tedesca, Christine Lambrecht: «Analogamente a quanto avviene in Italia, nemmeno lei può entrare nel merito delle decisioni dei giudici. Ma è giusto che io rappresenti alla ministra l’effetto culturalmente devastante di una sentenza di questo tipo».

 di Angelo Meli

Ultimi articoli

« Articoli precedenti