Anche i parroci in rivolta contro il pizzo a Bagheria

Società | 9 novembre 2015
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Le comunità ecclesiali bagheresi che avevano preso posizione contro il pizzo, ottengono immediatamente il «placet» e i ringraziamenti del nuovo arcivescovo, Corrado Lorefice. Dopo la ribellione di 36 commercianti, grazie alla quale 22 persone sono state arrestate nell' ambito dell' operazione «Reset 2», la Chiesa bagherese ha redatto un messaggio che ieri è stato letto nel corso di tutte le messe che sono state celebrate nelle dieci parrocchie cittadine e di Aspra. Il documento era stato inviato anche a monsignor Lorefice, che riceverà l' ordine sacro dell' Episcopato per le mani del cardinale Paolo Romeo in qualità di presidente e degli altri due vescovi, Antonio Staglianò, vescovo di Noto e Paolo De Nicolò, vescovo titolare di Mariana in Corsica e si insedierà il 5 dicembre in cattedrale a Palermo. A inviarglielo, don Francesco Michele Stabile, parroco della comunità di San Giovanni Bosco il quale conosce da tempo in nuovo primate di Sicilia. «Un ennesimo segno di una Chiesa che vuole condividere la "Bella Notizia" con gli uomini e le donne di questo nostro segnato territorio diocesa no. Grazie. Aiutami, aiutatemi, aiutiamoci, a disegnare questo volto della nostra amata Chiesa palermitana», ha risposto il neo arcivescovo, che ha inoltre voluto ringraziato tutti i confratelli di Bagheria per questo documento, «per quello che rivela del vostro prezioso ministero presbiterale».E ieri mattina i pareri dei fedeli sono stati unanimi, condividendo il documento di condanna contro ogni forma di delinquenza. «Per fortuna c' è la Chiesa che fa sentire forte il grido di condanna contro la mafia - dichiara una signora all' uscita dalla chiesa del la Madonna del Carmelo in via Angiò se anche i cittadini fossero coraggiosi, la malavita non avrebbe modo di esistere nella nostra meravigliosa terra».Nel documento, le comunità ecclesiali auspicano che questa svolta di Bagheria sia non solo il frutto di una crescita della consapevolezza che senza legalità non si approda a nulla ma, anche, di una vera crescita di responsabilità morale. E di moralità in tutti i campi e a tutti i livelli le comunità ecclesiali auspicano la necessità. I parrocchiani della Chiesa Madrice, al termine della lettura del documento, hanno appro vato quanto sottoscritto con un fragoroso applauso: «Vorremmo che la testimonianza di questi imprenditori e commercianti diventasse una strada spianata per tutti, anche per la liberazione dal pizzo che a volte viene imposto da taluni non mafiosi a danno della giusta paga dovuta agli operai». Le comunità di Bagheria si sono impegnate a continuare il loro compito di formazione delle coscienze al rispetto della dignità della persona umana, di condanna di ogni forma di violenza e di intimidazione e ribadiscono che anche la sola appartenenza all'associazione mafiosa (anche nelle forme più sottili delle contiguità finanziarie e politiche) è incompatibile con la professione di fede cristiana nel Crocifisso che si è donato per l' umanità. «Le Comunità ecclesiali - si legge ancora nel documento - si stringono insieme a tutti gli uomini liberi attorno a questi nostri coraggiosi fratelli e pregare per loro, per le loro famiglie, per il loro lavoro e auspicano che si possa uscire da un emergenza che non è solo di illegalità, ma emergenza sociale che attanaglia intere famiglie prive dei più elementari diritti. 

L'appello dei parroci contro la mafia 

Da quando nel lontano 15 agosto del 1982 in piena guerra di mafia che investì anche il nostro territorio, allora tristemente chiamato “Triangolo della morte”, le nostre Comunità ecclesiali alzarono il grido a favore di questa città perché non ci lasciassimo vincere dalla paura e ci impegnassimo per la liberazione dalla mafia, tanto cammino è stato fatto. Non sono mancate le difficoltà nel prendere coscienza della pericolosità della mafia per la vita civile, per lo sviluppo della nostra imprenditoria e per la vita religiosa. Si credeva allora, da alcuni, che la mafia non fosse presente nel nostro territorio e, da altri, che la città proprio per la presenza di un ordine protettivo mafioso poteva rimanere indenne dal traffico della droga e dal pizzo. La grande marcia del febbraio 1983 da Bagheria a Casteldaccia, ripetuta trent’anni dopo nel 2013, ha visto protagonista per la prima volta unita nel secondo dopoguerra tutta la società civile (studenti, preti, sindacalisti, operai, professionisti, associazioni di vario genere). La liberazione dalla mafia era diventata patrimonio comune e ora doveva coinvolgere la responsabilità di tutti. Ciò che ci rende fiduciosi è che in questi ultimi anni sono stati incarcerati gli autori di omicidi, intimidazioni, pizzo, e di questo bisogna dare lode alle forze dell’ordine e alla magistratura; ma soprattutto ci rallegra ora la notizia che finalmente non uno, ma 35 commercianti e imprenditori bagheresi hanno sentito il bisogno di non lasciarsi intimidire dai delinquenti estortori e di collaborare con le forze dell’ordine. È un atto di fiducia verso le istituzioni; non vorremmo però che episodi recenti di corruzione di alcuni rappresentanti delle istituzioni compromettano questa fiducia. Vogliamo sperare che questa svolta di Bagheria sia non solo il frutto di una crescita della consapevolezza che senza legalità non si approda a nulla, ma anche, di una vera crescita di responsabilità morale. E di moralità in tutti i campi e a tutti i livelli abbiamo necessità. Vorremmo che la testimonianza di questi imprenditori e commercianti diventasse una strada spianata per tutti, anche per la liberazione dal pizzo che a volte viene imposto da taluni non mafiosi a danno della giusta paga dovuta agli operai. Le nostre Comunità ecclesiali si impegnano a continuare il loro compito di formazione delle coscienze al rispetto della dignità della persona umana, di condanna di ogni forma di violenza e di intimidazione; ribadiscono che anche la sola appartenenza all’associazione mafiosa (anche nelle forme più sottili delle contiguità finanziarie e politiche) è incompatibile con la professione di fede cristiana nel crocifisso che si è donato per l’umanità. A sua volta la fede in Gesù risorto, mentre fa vivere alla comunità una nuova esperienza di liberazione incarnata nel tempo e nello spazio, la rende capace anche di pregare perché gli aderenti alla associazione mafiosa si convertano in questo anno santo della misericordia e tornino al vangelo di Gesù Cristo per sperimentare anche loro la liberazione dalla schiavitù del vitello d’oro, assetato di dominio, sordo e muto dinanzi alla sofferenza degli oppressi. Le Comunità ecclesiali non possono infine non stringersi insieme a tutti gli uomini liberi attorno a questi nostri coraggiosi fratelli e pregare per loro, per le loro famiglie, per il loro lavoro. Auspicano che si possa uscire da un emergenza che non è solo di illegalità, ma emergenza sociale che attanaglia intere famiglie prive dei più elementari diritti.


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