Amori familiari, esplorazioni dell’anima e inutili attese al cinema
Inside Out (2015) di Peter Docter. Una centrale operativa cerebrale che regola le emozioni della piccola Riley (ma appaiono anche le centrali dei genitori), protagonisti Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura, attraverso cui vengono prodotti, passano e si accumulano i “ricordi base” (sotto forma di palle di vario colore) in un enorme magazzino o quelli che successivamente verranno dimenticati e spazzati via. Con questa fantasiosa, originale e vincente idea di fondo Pete Docter (coadiuvato da un team di sceneggiatori e già regista di “Up” e di “Monsters & Co”) costruisce un piccolo capolavoro d’animazione, “Inside Out”, che esplora “l’anima” di un essere umano calibrando il “Dentro” e il “Fuori” in un mirabolante crescendo narrativo-emotivo, fino alla prevedibile (edificante) ma non per questo deprezzata e deprezzabile conclusione. Straordinaria operazione tecnica costata cinque anni di lavoro per centinaia di artisti, “Inside Out” è destinato a lasciare il segno nell’ultimo, strabiliante, cinema d’animazione non soltanto per l’ingegnosità inventiva ma altresì per la profondità e complessità dei temi affrontati. Scatto vincente del film anche il recupero in extremis di Tristezza (dall’inizio sempre portatrice di guai) che risucchiata insieme a Gioia dalla centrale operativa, riesce a riportare Riley intristita nella casa di San Francisco (che fino ad allora non era riuscita ad accettare e da cui aveva deciso di fuggire per rientrare nell’amato Minnesota), amorevolmente accolta dagli angosciati genitori. Alla fine le “isole” (dell’amicizia, della famiglia, ecc…) distrutte risorgeranno per intero e le emozioni godranno perfino una nuova “consolle” di comando. Bing Bong (elefante-gatto-delfino), amico immaginario di Riley, resta il più simpatico, divertente e nel contempo toccante personaggio, destinato a scomparire e dissolversi per sempre nella memoria della ragazzina già in odore di pubertà.
L’attesa (2015) di Piero Messina. Un’iterazione di primi e primissimi piani; lunghi silenzi; sguardi perduti nel vuoto; buio. La cognizione del dolore tracima nei mutismi di Anna, che vaga sonnambolica, spenta, quasi spersa nella grande villa immersa nell’aspra campagna siciliana. Affranta, straziata, lacerata da un dolore sordo, infinito, per l’improvvisa perdita del figlio - già da anni lontano dalla casa avita ed ora per sempre scomparso, annullato - nella donna il vuoto incolmabile sembra per un attimo, fittiziamente, come riempito dalla presenza di Jeanne, una giovane francese compagna del figlio giunta all’improvviso in Sicilia perché da lui invitata ed ancora all’oscuro del decesso, a cui Anna decide di non rivelare subito la terribile verità. Lo farà soltanto tre giorni dopo, mentendo ancora, ma la pietosa menzogna verrà subito sbugiardata e le due donne - ora unite nella stessa sciagura e il cui rapporto si è progressivamente modificato - potranno abbracciandosi abbandonarsi ad un pianto liberatorio. Liberamente ispirato a “La vita che ti diedi” di Luigi Pirandello - che riprende e fonde in un unico racconto due sue novelle (ma qui non c’è ritorno del figlio e soprattutto l’immagine che la madre ha di lui non è stravolta dal cambiamento avvenuto nel giovane al punto di non riconoscerlo, figlio che nell’opera pirandelliana muore subito il ritorno dopo sette anni di assenza) - l’esordio di Piero Messina nel lungometraggio contempla, in un film elegante e stilisticamente ineccepibile, un’estetica del dolore spegnendone tuttavia con freddezza (voluta?) ogni palpitante emozione per avvitarsi in una fissità che ne blocca ogni evoluzione narrativa, concentrandosi soltanto sul rapporto tra le due donne. Non esente da incongruenze - l’incomprensibile funzione dell’incontro di Jeanne con due giovani sconosciuti che poi vengono invitati a cena (un “espediente” per spezzare la troppo insistita monotematica?), l’eccessivo prolungamento dell’attesa di Jeanne prima del momento della rivelazione - “L’attesa” resta comunque un prodotto singolare nell’attuale panorama cinematografico nazionale, forse anche pretenzioso per un’opera prima ma coraggiosamente scevro da scimmiottamenti televisivi e da ogni concessione plateale. Del resto Messina aveva già dato prova del suo talento già dal corto “Stidda ca curri” (2004) vincitore del 50° Taormina Film Fest. Accurata e fantasiosa fusione di location siciliane dislocate in varie province dell’isola. Spettacolare la processione notturna - seguita da Anna - nella monumentale scalinata di Caltagirone (città d’origine del regista), culminante nell’incontro di Cristo con la madre Maria. Forse la speranza di Anna di rivedere il figlio in una dimensione extraterrena.
Interpreti: Juliette Binoche · Lou de Laâge · Giorgio Colangeli · Domenico Diele · Antonio Folletto · Corinna Lo Castro · Giovanni Anzaldo
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