Amori familiari, esplorazioni dell’anima e inutili attese al cinema

Cultura | 8 ottobre 2015
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Per amor vostro (2015) di Giuseppe Gaudino. Un attraversamento cristologico dell’inferno, ossia la vita di Anna (scandita fuori campo da un brano musicale alla maniera dei cantastorie), madre di tre figli - due ragazze e un maschio sordomuto - sposa d’un camorrista-usario che ora odia ma dal quale ha accettato in passato, obtorto collo, sostentamento e dal quale finalmente può affrancarsi (riesce ad ottenere un contratto in una tv preparando “gobbi” per gli attori), tentando inutilmente di liberarsene con continui scontri fisici e verbali. Originaria d’una misera famiglia napoletana (la madre la costringe a ritualità magico-religiose, a cui lei non si sottrae), disamorata fino al disprezzo del marito violento e di contro appassionatamente legata dei figli, Anna accetta la corte d’un noto attore di fiction televisive, fatuo e indebitato fino alla collottola. Un amore dalla tragica conclusione, insolitamente anticipata dalla continua iterazione d’un celeberrimo motivetto del Quartetto Cetra (la miglior formazione vocale italiana degli anni del boom economico, di cui si mostra anche una delle deliziose parodie televisive), “Però mi vuole bene” qui usato come vera e propria prolessi.                                                                                                                                      Impiego pressoché totale del bianco e nero (eccettuati pochi i frames a colori, che riportano nell’infanzia della perduta o presunta felicità, per quanto gravata d’innominabile segreto), macchina a mano, a seguire, fermi immagini con successive elaborazioni elettroniche, effetti digitali, uso insistito del dialetto (che ha richiesto la necessaria sottotitolazione in lingua), primi e primissimi piani, dettagli, sogni, incubi montati in un susseguirsi frenetico e frastornante di fotogrammi, stile con cui Gaudino riprende quasi vent’anni dopo la stessa forma scheggiata di “Giro di luna tra terre e mare” - “Per amor vostro” conferma l’allucinata visionarietà d’uno dei registi più anticonvenzionali del panorama autoriale nazionale, espressa in quest’opera nerissima ma dalla chiusa fiduciosa nella renovatio d’un essere umano concusso e mai domo, disegnando una figura di donna straziata, dilaniata, che percorre un suo tormentatissimo percorso di salvezza, a suo modo in odore di santità e ancora capace di donare amore, spesso non ricambiato con la stessa struggente intensità. Ottima prova attoriale di Valeria Golino, Coppa Volpi a Venezia.                                                                                   Interpreti: Valeria Golino - Massimiliano Gallo - Adriano Giannini - Salvatore Cantalupo - Rosaria De Cicco -Elisabetta Mirra - Daria D'Isanto - Edoardo Crò 

 

Inside Out (2015) di Peter Docter. Una centrale operativa cerebrale che regola le emozioni della piccola Riley (ma appaiono anche le centrali dei genitori), protagonisti Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura, attraverso cui vengono prodotti, passano e si accumulano i “ricordi base” (sotto forma di palle di vario colore) in un enorme magazzino o quelli che successivamente verranno dimenticati e spazzati via. Con questa fantasiosa, originale e vincente idea di fondo Pete Docter (coadiuvato da un team di sceneggiatori e già regista di “Up” e di “Monsters & Co”) costruisce un piccolo capolavoro d’animazione, “Inside Out”, che esplora “l’anima” di un essere umano calibrando il “Dentro” e il “Fuori” in un mirabolante crescendo narrativo-emotivo, fino alla prevedibile (edificante) ma non per questo deprezzata e deprezzabile conclusione. Straordinaria operazione tecnica costata cinque anni di lavoro per centinaia di artisti, “Inside Out” è destinato a lasciare il segno nell’ultimo, strabiliante, cinema d’animazione non soltanto per l’ingegnosità inventiva ma altresì per la profondità e complessità dei temi affrontati. Scatto vincente del film anche il recupero in extremis di Tristezza (dall’inizio sempre portatrice di guai) che risucchiata insieme a Gioia dalla centrale operativa, riesce a riportare Riley intristita nella casa di San Francisco (che fino ad allora non era riuscita ad accettare e da cui aveva deciso di fuggire per rientrare nell’amato Minnesota), amorevolmente accolta dagli angosciati genitori. Alla fine le “isole” (dell’amicizia, della famiglia, ecc…) distrutte risorgeranno per intero e le emozioni godranno perfino una nuova “consolle” di comando. Bing Bong (elefante-gatto-delfino), amico immaginario di Riley, resta il più simpatico, divertente e nel contempo toccante personaggio, destinato a scomparire e dissolversi per sempre nella memoria della ragazzina già in odore di pubertà.

 

L’attesa (2015) di Piero Messina. Un’iterazione di primi e primissimi piani; lunghi silenzi; sguardi perduti nel vuoto; buio. La cognizione del dolore tracima nei mutismi di Anna, che vaga sonnambolica, spenta, quasi spersa nella grande villa immersa nell’aspra campagna siciliana. Affranta, straziata, lacerata da un dolore sordo, infinito, per l’improvvisa perdita del figlio - già da anni lontano dalla casa avita ed ora per sempre scomparso, annullato - nella donna il vuoto incolmabile sembra per un attimo, fittiziamente, come riempito dalla presenza di Jeanne, una giovane francese compagna del figlio giunta all’improvviso in Sicilia perché da lui invitata ed ancora all’oscuro del decesso, a cui Anna decide di non rivelare subito la terribile verità. Lo farà soltanto tre giorni dopo, mentendo ancora, ma la pietosa menzogna verrà subito sbugiardata e le due donne - ora unite nella stessa sciagura e il cui rapporto si è progressivamente modificato - potranno abbracciandosi abbandonarsi ad un pianto liberatorio.                                                  Liberamente ispirato a “La vita che ti diedi” di Luigi Pirandello - che riprende e fonde in un unico racconto due sue novelle (ma qui non c’è ritorno del figlio e soprattutto l’immagine che la madre ha di lui non è stravolta dal cambiamento avvenuto nel giovane al punto di non riconoscerlo, figlio che nell’opera pirandelliana muore subito il ritorno dopo sette anni di assenza) - l’esordio di Piero Messina nel lungometraggio contempla, in un film elegante e stilisticamente ineccepibile, un’estetica del dolore spegnendone tuttavia con freddezza (voluta?) ogni palpitante emozione per avvitarsi in una fissità che ne blocca ogni evoluzione narrativa, concentrandosi soltanto sul rapporto tra le due donne. Non esente da incongruenze - l’incomprensibile funzione dell’incontro di Jeanne con due giovani sconosciuti che poi vengono invitati a cena (un “espediente” per spezzare la troppo insistita monotematica?), l’eccessivo prolungamento dell’attesa di Jeanne prima del momento della rivelazione - “L’attesa” resta comunque un prodotto singolare nell’attuale panorama cinematografico nazionale, forse anche pretenzioso per un’opera prima ma coraggiosamente scevro da scimmiottamenti televisivi e da ogni concessione plateale. Del resto Messina aveva già dato prova del suo talento già dal corto “Stidda ca curri” (2004) vincitore del 50° Taormina Film Fest.  Accurata e fantasiosa fusione di location siciliane dislocate in varie province dell’isola. Spettacolare la processione notturna - seguita da Anna - nella monumentale scalinata di Caltagirone (città d’origine del regista), culminante nell’incontro di Cristo con la madre Maria. Forse la speranza di Anna di rivedere il figlio in una dimensione extraterrena.

            Interpreti: Juliette Binoche · Lou de Laâge · Giorgio Colangeli · Domenico Diele · Antonio Folletto · Corinna Lo Castro · Giovanni Anzaldo


 di Franco La Magna

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