America Latina, il male e la follia

Un cinema votato alla rappresentazione del male, che come in quest’ultimo America Latina (2022) sembra assumere connotazioni metafisiche con precarie giustificazioni (alcolismo, solitudine, pessimo rapporto con il padre, famiglia disgregata…). Dopo il fulminante esordio con La terra dell’abbastanza (2018) seguito dal non meno violento e tragico Favolacce (2020), i fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo (gemelli romani, oggi poco più che trentenni, registi e sceneggiatori subito considerati tra gli autori più promettenti nel panorama registico italiano) scavano nel buio di una psiche sconvolta, nel “doppio” che vive in ognuno di noi e che qui assume forme paranoiche e deliranti, amalgamando realtà oggettiva e soggettiva, traendo lo spettatore nell’inganno che la seconda prevalga sulla prima, salvo poi scoprire la brutalità e l’orrore d’una realtà ancor più mostruosa e sconvolgente.
“Bisogna sconfiggere il pudore e dare di sé un’immagine piacente e socialmente accettabile. Il motivo dell’esistenza di tanti film mediocri – dice Fabio nel corso di un’intervista rilasciata a CineCritica, che ai due registi ha dedicato uno lungo ‘primo piano’ – è proprio la tentazione di mostrare aspetti irrilevanti di se stessi solo per non rischiare la ritorsione critica del proprio modo di vedere e vivere il mondo. Il risultato sono quei film ‘di nessuno’…che ci fanno sbadigliare e pensare unicamente a cosa mangeremo una volta usciti dal cinema”.
Per questi motivi il cinema anti mainstream dei D’innocenzo, welthanshauung tutt’altro che gradevole e rassicurante (come gran parte del cinema di casa nostra), rappresentazione di un mondo crudele, tragico e violento, è destinato a rimanere elitario, solitario, proprio perché spinge a guardarsi dentro, nei recessi più nascosti dell’anima, in quell’antro buio che un oscuro sentimento di paura non fa mai disserrare. La verità di America Latina - che nel corso del film subdolamente si prepara ad emergere anticipata incuneandosi con frasi spezzettate, immagini sfocate, angoscianti primi e primissimi piani, riflessi, misteriosi incontri (accompagnati da una fotografia algida, acida, a tratti quasi metallica) - infine si mostrerà in poche immagini essenziali, svelando tutto l’orrore e la follia di questo thriller psicologico, disturbante come un horror giapponese, conferma delle straordinarie doti attoriali del camaleontico Elio Germano (qui protagonista assoluto) che sotto le miti vesti d’un affermato dentista, come il Jekyll stevensoniano, cela il volto allucinante di mister Hyde.
Presentato in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2021.
Franco La Magna
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