Allarme della Corte dei conti: Sicilia al collasso
Economia | 11 novembre 2015
Una voragine. Il deficit della Regione siciliana viaggia su 4,5 miliardi nel triennio 2016-2018. L'amministrazione deve coprire 1,5 miliardi all'anno di solo deficit, poi ci sono le spese correnti, la compartecipazione alla spesa sanitaria, il contributo alla finanza pubblica, il co-finanziamento dei fondi Ue, i vincoli del patto di stabilità, senza calcolare quelle per investimenti, fermi al palo da tempo proprio per la carenza di risorse pubbliche. Il dato è stato sottolineato stamani dal presidente delle sezioni riunite della Corte dei conti, Maurizio Graffeo, durante l'audizione in commissione Bilancio dell'Ars. Nella relazione sul Dpef 2016-2018, la Corte dei Conti parla di «situazione di grave emergenza», ribadendo i concetti espressi a luglio sul rendiconto del 2014. Non solo: «desta forte preoccupazione - scrive la Corte - la realizzabilità in tempi brevi della ridefinizione dei rapporti Stato-Regione, che dovrebbe assicurare per 2/3 la copertura de disavanzo strutturale di 1,5 miliardi previsto per ciascuno degli esercizi presi in esame dal Dpef regionale». Insomma, la trattativa intrapresa dal governo Crocetta con lo Stato, secondo i giudici, non può certamente essere presa come punto di riferimento per stime previsionali, essendo il confronto ancora aperto. Inoltre, secondo informazioni ufficiose che la Corte dei Conti ha reperito presso la Ragioneria generale della Regione, il percorso del confronto con lo Stato «si profila differente rispetto a quello delineato nella nota di aggiornamento del Dpef». Anche per la chiusura del 2015, i giudici contabili avvertono che permangono «margini di forte criticità sul versante delle entrate in continua flessione per effetto di un ciclo economico che nell'isola non offre segnali di ripresa».
La Corte dei Conti «stronca» il Dpef 2016-2018 approvato dal governo Crocetta su proposta dell'assessore all'Economia Alessandro Baccei, ritenendolo «non conforme» al sistema contabile adottato dal governo centrale per la stesura del Def nazionale e perchè elude «i nuovi principi della programmazione» che «non si inseriscono più in un disegno che parte dalla spesa storica incrementale per le individuare le entrate a copertura della stessa ma in uno nel quale, al fine di garantire l'attuazione dei principi costituzionali in tema di pareggio del bilancio e di divieto di nuovo indebitamento per spese correnti, occorre avere il quadro programmaticamente il più vicino possibile alle effettive risorse finanziarie a disposizione e solo successivamente decidere i programmi da attuare nel corso della gestione». È tagliente il giudizio messo nero su bianco dal presidente delle sezioni riunite della Corte dei Conti, Maurizio Graffeo e dal suo staff, nella relazione sul Documento di programmazione economico e finanziario depositato in commissione Bilancio dell'Ars durante l'audizione di stamattina. Sono tanti i rilievi dei giudici contabili sia sulle previsioni delle entrate sia sulle spese ma soprattutto sulle partite fiscali che il governo stima di incassare dallo Stato a chiusura del confronto anvora aperto sul disavanzo da 3 miliardi tra il 2016 e il 2017, dettaglio che non è sfuggito alla Corte che considera aleatori anche i presunti proventi dalla valorizzazione degli immobili regionali e dalla lotta all'evasione. Graffeo bacchetta il governo anche per le previsioni di crescita del Pil (+0,4% quest'anno e +1% l'anno prossimo) contenute nel Dpef ricordando che «di solito l'incremento significa un aumento delle entrate ma questo non è previsto del documento».
STRONCATO IL DPEF 2016-2018
La Corte dei Conti «stronca» il Dpef 2016-2018 approvato dal governo Crocetta su proposta dell'assessore all'Economia Alessandro Baccei, ritenendolo «non conforme» al sistema contabile adottato dal governo centrale per la stesura del Def nazionale e perchè elude «i nuovi principi della programmazione» che «non si inseriscono più in un disegno che parte dalla spesa storica incrementale per le individuare le entrate a copertura della stessa ma in uno nel quale, al fine di garantire l'attuazione dei principi costituzionali in tema di pareggio del bilancio e di divieto di nuovo indebitamento per spese correnti, occorre avere il quadro programmaticamente il più vicino possibile alle effettive risorse finanziarie a disposizione e solo successivamente decidere i programmi da attuare nel corso della gestione». È tagliente il giudizio messo nero su bianco dal presidente delle sezioni riunite della Corte dei Conti, Maurizio Graffeo e dal suo staff, nella relazione sul Documento di programmazione economico e finanziario depositato in commissione Bilancio dell'Ars durante l'audizione di stamattina. Sono tanti i rilievi dei giudici contabili sia sulle previsioni delle entrate sia sulle spese ma soprattutto sulle partite fiscali che il governo stima di incassare dallo Stato a chiusura del confronto anvora aperto sul disavanzo da 3 miliardi tra il 2016 e il 2017, dettaglio che non è sfuggito alla Corte che considera aleatori anche i presunti proventi dalla valorizzazione degli immobili regionali e dalla lotta all'evasione. Graffeo bacchetta il governo anche per le previsioni di crescita del Pil (+0,4% quest'anno e +1% l'anno prossimo) contenute nel Dpef ricordando che «di solito l'incremento significa un aumento delle entrate ma questo non è previsto del documento».
IL NUOVO CAPOGRUPPO PD MINACCIA IL CROCETTA QUATER
Nuove nubi minacciano gli equilibri appena raggiunti nel Pd con la formazione del Crocetta quater. A creare fibrillazioni è la scelta del nuovo capogruppo all'Ars, tassello che rientrava nell'accordo sul governo tra le varie anime del partito e in base al quale il successore di Antonello Cracolici, nominato assessore, sarebbe stato un deputato della stessa area. Ma ieri dalla riunione dei 'renzianì, secondo quanto apprende l'ANSA, sarebbe emersa l'indicazione che porta al nome di Luca Sammartino, ipotesi accolta con stupore dai parlamentari ex cuperliani, giovani turchi e area Speranza, che sempre ieri si sono riuniti per valutazioni politiche. «La sensazione - dice uno dei nove parlamentare presenti alla riunione - è che l'operazione Sammartino sia messa in campo con l'obiettivo di mettere a rischio la legislatura». Sammartino è tra le new entry nel Pd. Eletto nelle liste dell'Udc, il giovane deputato è poi transitato in Articolo 4, il gruppo creato da Lino Leanza, costretto poi a lasciarlo nelle mani proprio di Sammartino, che è stato l'ultimo capogruppo prima che il movimento si sciogliesse con un gruppetto di parlamentari transitati nel Pd, battesimo tenuto da Davide Faraone nei giorni della Leopolda siciliana. L'area di sinistra conta 9 deputati, quella 'renzianà 10 col solo Giuseppe Laccoto eletto col Pd (gli altri provengono da altre liste e partiti), 3 i parlamentari di area Lupo, oltre al governatore Rosario Crocetta e a Franco Rinaldi, non catalogabile in nessuna delle tre aree. Proprio la scelta del nuovo capogruppo Pd ha costretto il presidente dell'Ars, Giovanni Ardizzone, a rinviare di una settimana il rinnovo delle commissioni parlamentari. Spetta infatti ai capigruppo indicare i componenti delle varie commissioni. I parlamentari del Pd dovrebbero essere convocati a breve, comunque entro martedì prossimo, per l'elezione del capogruppo.Ultimi articoli
- La marcia del 1983, si rinnova la sfida alla mafia
- Bagheria, consiglio
aperto sulla “marcia” - La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione